Un’esperienza artistica per riflettere, andare oltre e… vedere

Maria Matarranz de las Heras, Valentin Chou e Michele Pastorini, membri del neoformato Yellowbizz art collective, anticipano i contenuti dello spettacolo di danza che debutta oggi al TNC «Ivan de Zajc» di Fiume

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Un’esperienza artistica per riflettere, andare oltre e… vedere
Michele Pastorini, Maria Matarranz de las Heras e Valentin Chou. Foto: GORAN ŽIKOVIĆ

Quante volte siamo convinti di comprendere, a prima vista, ciò che ci circonda e accade attorno a noi e di cogliere l’essenza di ciò che viviamo e vediamo? Non è che invece, credendo di farlo, cadiamo nella trappola delle supposizioni, dei fraintendimenti e dei cliché, trovandoci, in effetti, ben lontani dalla realtà? È questo, essenzialmente, il succo dello spettacolo “What do you see, or not”, la cui première andrà in scena questa sera (ore 19.30) al Teatro Nazionale Croato “Ivan de Zajc”, proposta dai tre membri del Balletto fiumano, stavolta riuniti nel neofondato Yellowbizz art collective: Maria Matarranz de las Heras, Valentin Chou e Michele Pastorini.

Tre storie intrecciate
Ideato e coreografato da Pastorini, lo spettacolo vedrà la partecipazione dal vivo del ReVibrant trio, tre eccellenti musicisti dell’Orchestra sinfonica fiumana, nello specifico Golnar Mohajeri al violoncello, Pedro Rosenthal Campuzano alle percussioni e Osman Eyublu al violino. A detta di Pastorini, la performance si immerge in storie di attimi persi e verità nascoste, invitando a intraprendere un viaggio di danza teso a mettere in discussione ciò che crediamo di comprendere, sfidandoci a osservare e spingerci in profondità. In tale contesto, ha spiegato che “la stessa parte dall’idea di volere affrontare quello che è un concetto al contempo molto basico e complesso: si cresce con l’insegnamento di non giudicare dalla prima impressione. Personalmente, nonostante mi appartenga, mi ritrovo a trent’anni a commettere questo tipo di errore e penso che molti di noi lo facciano, in quanto l’uomo in genere quasi istintivamente sente il bisogno di rispondere alle domande che gli si presentano date dalle situazioni a cui assiste, che vede. A volte succede che magari si arriva a un momento e si crede di aver capito, ma si è perso un istante fondamentale affinché si possa comprendere realmente la situazione”.

I personaggi
Partendo dal succitato concetto di base Pastorini ha costruito i tre personaggi della storia/balletto, che, a sua detta, nonostante non siano stati creati pensando strettamente a loro, sono sostanzialmente la “teatralizzazione” dei caratteri dei danzatori. “Di base avevo delle immagini, delle idee, dei concetti – ha rilevato, specificando che “comunque si rifacevano proprio al desiderio di affrontare la tematica e fare capire al pubblico quanto sia facile, date le prime impressioni, fraintendere. Costruendo la drammaturgia, man mano i protagonisti hanno cominciato ad avere delle esigenze diverse, voglia di crescere, di prendere vita, di esprimersi, il che ci appartiene anche sul piano personale, per cui è inevitabile che li abbiamo fatti nostri. Hanno delle identità che vengono vissute sul palco e fuori da esso, ognuno con una sua storia e le sue paure, i traumi, i pregiudizi, che enfatizzano degli atteggiamenti proprio in quanto fraintendono. In effetti, devo ammettere di avere scelto delle situazioni e dei momenti che, per quanto mi riguarda, sono anche terapeutici e che al di fuori del palco probabilmente non potrei risolvere con facilità”.

La forza di Maria
La bravissima Maria Matarranz de las Heras Maria interpreta/balla il ruolo di una donna alla ricerca di uno spazio, di un rifugio, di un luogo in cui sentirsi bene, a cui appartenere e in cui sentirsi “vista” e accettata. Essendo una persona facilmente adattabile, non si tira indietro e prova tante cose, si confronta con svariate esperienze. A tale riguardo ha raccontato che “inizialmente la ragazza si approccia ai due uomini in quanto desiderosa di fare propria la loro forte energia vitale, di sentirsi potente e vuole mettersi in mostra, al fine che le persone vedano quello che sa fare e quanto sia brava. Durante il suo cammino incontra il personaggio vestito da Michele, con il quale intraprende una relazione apparentemente tossica, ma è tutta una questione di prospettive e punti di vista. Inizialmente sta bene, fino a quando non conosce Val, un uomo completamente diverso, e si lascia andare anche lì. A causa dei tormenti e delle lotte interiori della donna, quest’ultimo se ne va e lei, non sopportando l’idea di stare da sola, ci riprova con il primo. A questo punto non si tratta più dell’esigenza di appartenere a un luogo, bensì di non rimanere in solitudine, di non sentirsi rifiutata, in qualche modo di essere visibile. L’abbandono di Val per Maria è una grande lezione: non desiste e non si demoralizza, bensì ne prende atto e, malgrado la consapevolezza che ritornare con Michele sarebbe stato inutile e non avrebbe funzionato, non essendo ancora pronta ad affrontare la realtà, lo ricerca. Facendolo, però, tradisce sé stessa e alla fine, rendendosene conto, orgogliosamente e con un gesto meraviglioso, se ne va. La sua forza è la mia e, inizialmente, mostrarla non è stato semplice, anche perché la porta a denudarsi e a riflettere su sé stessa, a farsi una miriade di domande, ad affrontare le proprie paure e insicurezze, a essere vulnerabile”.
Riallacciandosi alle sue parole, Pastorini ha rimarcato che la donna sceglie una forza voluta e non appare mai debole, il che è difficile in quanto bisogna dimostrare di esserci con un certo tono. A tale riguardo ha riferito che “lei esiste in una modalità precisa, ovvero quella di scegliere di essere comunque forte. Si tratta di bisogni che derivano dalle sue esperienze e, in questo caso, l’ouverture è molto chiara e Maria la racconta bene, facendo capire subito che è una ‘rigettata’ e che fa una continua ricerca di come essere capace di adattarsi alle situazioni e farlo con stile. È l’unica donna nello spettacolo e ha un ruolo molto importante, in quanto non è una vittima e non è la debole fra i tre, anzi. Paradossalmente, drammaturgicamente parlando, il mio carattere, che inizialmente appare molto forte e aggressivo, alla fine è quello più fragile di tutti, che perde il controllo. Ho voluto giocare su quello che potrebbe sembrare, ma in realtà non è: la mia aggressività si trasforma e, durante lo sviluppo della relazione, si evince la mia dipendenza dalla sua dominanza. In effetti, nonostante sia presentato in maniera chiara, ognuno potrà scegliere cosa vedere”.

La cura della gentilezza
A creare una sorta di equilibrio è il carattere di Valentin Chou, che a suo dire per certi versi gli assomiglia nel modo in cui si approccia alla vita, caratterizzato da una tranquillità e un modo di fare pacato con le persone. “A modo del personaggio della storia, anch’io sono una persona calma, mi piace risolvere le cose serenamente e non amo alzare la voce. Come lui, amo fare le cose per bene, nel modo giusto e prendermi cura delle persone. Il mio ruolo viene narrato nel primo capitolo, in cui conosce quello di Michele e ha come scopo trasmettergli degli insegnamenti, non combatterlo. Dimostrandosi calmo, dà la sensazione di sapere sempre quello che fa, di avere tutto sotto controllo, il che può intimorire le persone. Ad un certo punto, trovandosi a dover fare cose che non desidera, si percepisce un po’ di tensione, ma ritorna presto alla gentilezza, alla cura del trasmettere ed esprimere l’amore. Egli non vuole essere irruente e, se a tratti lo diventa, succede in quanto è spinto ad agire in quel modo. In effetti, nonostante gli piaccia essere circondato dalle persone e stare in loro compagnia, è un personaggio che ama e ha bisogno della solitudine”, ha concluso il ballerino francese.

Una compagnia autonoma
“L’idea di costituire una compagnia di ballo autonoma – ci ha riferito ancora Pastorini – è nata da una stima reciproca a livello professionale e da una bella amicizia con Val e Maria, come pure dal sentirsi comodi stando insieme, conoscendo le forze e le debolezze dell’altro e sapendo come proteggerle. Durante una serata, tra una pizza e una birra, è nato il nome e abbiamo incominciato a metterci immediatamente all’opera, coinvolgendo, oltre a noi tre, Vivient Balint in qualità di collaboratrice esterna, la quale si occupa della parte amministrativa”. In tale contesto, quest’ultima ha riportato che “il mio ruolo è stato quello di aiutare i miei amici, che individualmente e in vari campi avevano già contribuito in vari modi all’arte sia in Croazia che all’estero, a consolidare quella che era la loro idea. Se non avessi creduto in loro in qualità sia di persone che di artisti non mi sarei mai presa la responsabilità di fare da filo conduttore. Il nostro è uno scambio reciproco e uno stimolo continuo, un alimentarci e darci forza e ispirazione per quelli che saranno i passi futuri”. A conferma delle sue parole, Michele, Val e Maria hanno ribadito che “in qualità di Collective è nostro desiderio condividere le esperienze effettuate come ballerini durante le nostre carriere, come pure avere la possibilità di cimentarci anche nei ruoli di coreografi, costumisti, scenografi e altro. Ci interessa lavorare e rapportarci con i giovani artisti, insegnare loro quello che abbiamo messo in pratica durante i nostri percorsi, trasmettergli le esperienze, organizzare laboratori in giro per il mondo, affrontare anche la parte psicologica relativa all’essere un danzatore, agli stress e alle fragilità che si trovano a vivere. Vorremmo fare loro da supporto dal punto di vista mentale ed emozionale”.

Foto: GORAN ŽIKOVIĆ

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