Una vita desolante diventa uno spettacolo teatrale

L’anima errante di Bekim Sejranović rivive sul palco dello Zajc

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Una vita desolante diventa uno spettacolo teatrale
Una scena dello spettacolo. Foto: IVOR HRELJANOVIĆ

Se dovessimo descrivere la vita di Bekim Sejranović, potremmo immaginarlo come una piccola nocciolina schiacciata dalla macchina asfaltatrice della vita. Così è stata la sua esistenza, segnata da eventi tutt’altro che gentili. Scomparso quasi cinque anni fa, ha lasciato cinque romanzi, una raccolta di racconti e una sceneggiatura cinematografica. Avrebbe potuto donarci molto di più.

Sabato, al Teatro Nazionale Croato Ivan de Zajc di Fiume, ha debuttato lo spettacolo “Nigdje, niotkuda” (Da nessuna parte, dal nulla), adattamento teatrale di uno dei suoi romanzi. In un teatro gremito, il pubblico ha reso omaggio all’eccellente regia di Ivica Buljan e all’adattamento di Goran Vojnović. Il fascino di Bekim è irresistibile: leggendo i suoi libri, è impossibile non affezionarsi a lui.
Lo spettacolo segue la vita di Bekim, dall’infanzia a Brčko, passando per Fiume e Oslo. Sul palco, due figure di Bekim: il giovane protagonista del romanzo, interpretato da Tarik Žižak, e il Bekim scrittore, più maturo, portato in scena da Leon Lučev. Due facce della stessa medaglia: uno scrive, l’altro vive. La storia di Bekim è segnata da un’infanzia caotica, genitori in una relazione tossica, affidato ai nonni in un contesto bosniaco. Fin da bambino, ha fluttuato nella vita come una foglia trascinata dalla corrente, senza mai trovare un posto stabile. In Norvegia diventa docente universitario, ma dentro si sente vuoto, senza appartenenza. Uno degli aspetti più interessanti per il pubblico è stato il suo periodo a Fiume: studente alla scuola nautica di Buccari, giornalista, frequentatore del club Palach, dove suonava nella band Paranoya. Ana Vilenica, in norvegese, ha narrato il periodo vissuto su un’isola remota, mentre Leon Lučev ha dato voce alla disperazione di un uomo senza punti fermi. “Tutto è più bello finché non si trasforma in realtà. I figli sono ancora migliori finché non nascono”, dice sul palco Bekim.
Bekim era un uomo normale, ma la sua normalità pesava in un mondo caotico. Si definiva punk, libero, ma la libertà non sempre porta sollievo. Alla morte della madre, non provò nulla. I genitori si amavano, ma il loro era un amore malato. Cresciuto tra parole pesanti, senso di colpa e rancore, dopo la morte del nonno Alija si trasferì a Oslo, senza mai colmare il vuoto dentro di sé. La relazione con Selma dura tre mesi, poi finisce. Viaggia fino al punto più a nord della Norvegia, ma il passato lo richiama: torna a Fiume, a Buccari, rivive le notti folli al Palach, il conforto effimero trovato in alcool e droghe per placare un dolore profondo. Sul palco, la sua vita si intreccia con la colonna sonora di un’epoca: i Paraf, i Let3, la sua Paranoya. La guerra incombe, il disorientamento cresce. Bekim, senza documenti, senza identità definita, vaga senza appartenenza. Come si diventa croati? Come si ottiene un’identità? Domande che si pone nei neonati uffici della Croazia indipendente, ma che rimangono senza risposta. Sul palco riaffiorano i ricordi di Lars e Suzi, dell’amore consumato tra un amplesso e l’altro. La musica continua con Zoran Prodanović Prlja, frontman dei Let3, che canta “Nigdje. Niotkuda”, un brano del 1989. Un titolo che sintetizza la vita di Bekim: da nessuna parte, dal nulla. E mentre Bekim e Selma si ritrovano per litigare ancora una volta, lui continua a non sentire nulla. Ama, ma è anestetizzato. Soffre. La sua vita è sempre stata effimera, e l’amore solo un sogno che si dissolve prima di diventare realtà.

Foto: IVOR HRELJANOVIĆ

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