Una vita dedicata ai microfoni e alle scene

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Una vita dedicata ai microfoni e alle scene

Annunciatore radiofonico, celebre cantante nella Jugoslavia di Tito, attore e direttore del Dramma Italiano di Fiume, giornalista, ma anche noto telecronista di Tv Capodistria. Un curriculum d’eccezione, quello del fiumano Bruno Petrali, classe 1925, che varca la soglia dei 94 anni. Bruno Petrali è stato testimone dei cambiamenti sociali a Fiume, ma anche uno dei personaggi principali che ha scritto parte della storia culturale del capoluogo quarnerino. Infatti, è stato il primo annunciatore professionista di Radio Fiume nel marzo del 1946. Nel 1969 Bruno Petrali divenne direttore della compagnia, incarico che ricoprì fino al 1982, anno del suo pensionamento. È sotto la sua direzione che incominciarono le trasferte del Dramma Italiano in Italia e vennero realizzati quattro progetti per la televisione jugoslava volti a diffondere la cultura della minoranza italiana nell’allora federazione. Quattro progetti che consistevano in spettacoli in lingua italiana con sottotitoli in croato. È il caso di lavori quali “Il feudatario” di Goldoni, “La piccola contrada”, di Jurković, “La Fiorina”, del Ruzzante, e poi una riduzione di “Questi fantasmi”, di De Filippo. Con “L’avaro” di Marino D’Arsa, la compagnia del Dramma Italiano è stata invece al Parioli di Roma, nell’ambito di un evento organizzato in collaborazione con l’Ital-Jug e il Ministero dei Beni culturali italiano. Un successo che ancor oggi molti reputano ineguagliabile.

La soglia dei 94 anni è stata una perfetta occasione per incontrarlo e per parlare della sua attività artistica e professionale nel corso di un appuntamento in cui sono stati rievocati tanti episodi. A partire dalla sua Fiume, che non voleva mai lasciare, ma parlando anche degli avvenimenti che hanno portato alla nascita (e alla chiusura per circa due anni) della redazione italiana di Radio Fiume, anni in cui gli attori del Dramma Italiano partecipavano a riviste radiofoniche e della sua carriera canora.

Che cosa rappresenta per lei Fiume, città che ha visto mutare completamente?

“È tutto. La mia Fiume appartiene ovviamente a un determinato periodo storico, quello della mia infanzia, quando nelle strade si parlava italiano. Poi con il cataclisma sociopolitico la mia città ha completamente cambiato fisionomia, e il suo popolo autoctono è diventato straniero a casa propria. Come tanti altri, anch’io ho avuto la possibilità di andarmene. Optai per l’Italia, ma alla fine è stato il cuore a farmi restare”.

Lei è stato il primo annunciatore professionista di Radio Fiume nel marzo del 1946?

“Fui attratto dal fatto che alla Radio avrei potuto cantare. E grazie alle mie capacità canore, ma anche a quelle di dizione, visto che avevo frequentato un corso specifico a Milano, mi presero a Radio Fiume. Ricordo che la prima cosa che lessi agli ascoltatori, fu un commento politico pubblicato da ‘La Voce del Popolo’”.

Che ricordi conserva di quegli anni?

“Ero poco più che ventenne e ci mettevo tanta passione nelle cose che facevo. Tutte le trasmissioni erano dal vivo. Gli annunci dei brani musicali e dei notiziari venivano fatti contemporaneamente in croato e in italiano. Spesso ne usciva fuori una situazione stramba e ridicola. Ricordo la rivista ‘Bora’, che curavo assieme a Mario Kinel. Era uno spettacolo radiofonico leggero in cui si susseguivano numeri musicali e comici collegati da un’esile storia. La realizzavo con l’aiuto degli attori del Dramma Italiano. Dovevo stare molto attento agli argomenti che affrontavo, e consistevano nel parlare male del capitalismo, del loro stile di vita. Ho in mente ancora oggi quei momenti trascorsi al microfono con Gianna Depoli, Carlo Montini, Nereo Scaglia, Raniero Brumini e tanti altri. Mentre tra i miei colleghi ricordo le bellissime Mira Polić e Gordana Bonetti. Nella redazione italiana, invece, Mariuccia Smojver, Fede Fattori e soprattutto la bella Valnea Jelučić, che ha lavorato poi anche a ‘La Voce del Popolo’”.

Alla fine del 1954 è stata abolita la sezione italiana di Radio Fiume. Come reagì?

“Le ragioni che portarono prima al ridimensionamento della nostra redazione e poi alla sua totale chiusura furono la diretta causa del mutato clima nei confronti della componente italiana. Popolazione che, in quel periodo, continuava a intraprendere la via dell’esodo. La decisione era del partito e noi giornalisti della redazione italiana non potevamo protestare. Se qualcuno avesse avuto il coraggio di farlo, era chiaro come e dove sarebbe finito. Per me, come anche per tutti i miei colleghi, fu un brutto colpo. Tutto ciò accadeva poi anche sulla scia della crisi di Trieste. Così i programmi in italiano, che occupavano circa metà della programmazione giornaliera, passarono a soli 10 minuti. Questa situazione durò per circa sei mesi prima della definitiva chiusura, decretata nel 1954. Poi, per due anni Radio Fiume non trasmise una sola parola in italiano”.

In seguito è stato attore e direttore del Dramma Italiano. Com’era lavorare al Teatro fiumano?

“Dopo il terribile ridimensionamento di Radio Fiume mi proposero di passare a RTV di Capodistria, cosa che rifiutai in quanto mi stavo già affermando come cantante. Poi, grazie alle conoscenze con gli attori del DI, con cui collaboravo alla radio, passai, nel 1954, alla compagnia fiumana in qualità di attore. Furono felici di assumermi perché avevo una buona dizione e un’altrettanta presenza scenica. Dato che alternavo la carriera da cantante a quella di attore, escogitavo di tutto per non ottenere ruoli di un certo spessore. Lo facevo perché appena rimanevo fuori da un progetto avevo la possibilità di viaggiare e cantare, e quindi, di guadagnare qualcosa in più oltre al classico salario del Teatro. Ricordo Gianna Depoli, l’affascinante Maria Piro, che vionse il concorso nazionale italiano come la più bella commessa d’Italia. E poi ancora le due stelline rovignesi Ester Segalla e Femi Benussi. Quest’ultima fece carriera a Cinecittà. Voglio ricordare anche Galliano Pahor, che volli al DI nonostante le perplessità di alcuni. Nel 1969 mi promossero a direttore della compagnia perché si accorsero che avevo una certa dimestichezza con i finanziamenti. Ricoprii questa carica fino al 1982, anno del mio pensionamento. È un periodo che rievoco volentieri, nonostante mi avessero cionfessato più tardi che avevo un’indole da ‘dittatore’. Con me sono iniziate le trasferte in Italia. Durante la mia direzione abbiamo realizzato quattro progetti per la televisione jugoslava. Erano filmati di spettacoli in lingua italiana con sottotitoli in croato. Lavori come ‘Il feudatario’, di Goldoni, ‘La piccola contrada’, di Jurković, ‘La Fiorina’, del Ruzzante, e poi una riduzione di ‘Questi fantasmi’, di De Filippo. Con ‘L’avaro’, di Marino D’Arsa, siamo stati invece al Parioli di Roma, evento organizzato in collaborazione con l’Ital-Jug e il Ministero dei Beni culturali italiano. Ebbe un grande successo”.

Quali tra i tanti registi con cui ha lavorato le è rimasto maggiormente impresso nella mente?

“I primi registi che abbiamo avuto nella compagnia erano Osvaldo Ramous e Nereo Scaglia. Non erano dei classici registi, ma comunque delle persone di un’immensa cultura e conoscenza teatrale, che realizzavano dei buoni lavori. Poi ho desiderato vedere che cosa si potesse fare con un vero regista. Il primo che riuscii a portare a Fiume fu Francesco Macedonio, che si era già imposto a Trieste grazie alle ‘Maldobrie’. Con lui realizzammo la prima regia in cui si vedeva il potenziale della compagnia. Era lo spettacolo ‘Cantata del fantoccio lusitano’, di Peter Weiss. Ancora ogg ricordo lo stupore di Macedonio nel veder recitare Gianna Depoli. Non poteva smettere di meravigliarsi nel trovare in una compagnia come la nostra, un’attrice di tale spessore. Poi portai Giuseppe Maffioli, che, oltre a essere un valente regista, è stato un attore del cinema italiano. In seguito Sandro Damiani mi presentò Nino Mangano, con il quale la compagnia, anche dopo il mio pensionamento, collaborò a lungo. Erano tutti registi con cui instaurai da subito una chiara intesa professionale e un profondo rapporto d’amicizia”.

Oltre a essere stato commentatore televisivo, attore, direttore è stato anche cantante di successo?

“Il canto e la musica hanno fatto poarte della mia vita fin dall’infanzia. Cantavo a casa assieme a mia madre, dai Salesiani, in chiesa e a scuola. La mia prima canzone in croato era ‘Neve’, scritta originariamente da Mario Kinel in italiano e poi tradotta. La versione in croato è stata subito un successo che mi impose come diretto rivale al celeberrimo cantante Ivo Robić. La scelta di cantare in croato mi rese popolare nell’ex Jugoslavia, altrimenti sarei rimasto del tutto inosservato. Grazie a tale notorietà sono stato invitato ovunque, da Belgrado, dove ero più noto che a Fiume, fino a Lubiana. Ho realizzato diverse canzoni che sono state incise su vari dischi. Va detto che le radio dell’ex Jugoslavia proponevano pure le mie interpretazioni delle canzoni italiane, cosicché ho contributo alla diffusione dalla canzone italiana in tutto il Paese”.
Un capitolo importante nella sua vita è stato anche lo sport, in particolare il calcio, passione che aveva fin dalla più tenera età, poi tornata utile anche nella professione di telecronista.
“Quello da telecronista è stato un periodo molto bello della mia vita. Tuttavia comportava una vita di ulteriori sacrifici. Per fare il telecronista, come per tenere a mente i copioni, occorre avere una buona memoria, ma anche e soprattutto tanta passione per il calcio. Con TeleCapodistria, il calcio jugoslavo è stato conosciuto anche in Italia, dove ero molto seguito. E grazie a tale connubio la mia voce da commentatore era nota in tutta Italia. Dall’altra parte era completamente sconosciuta a Fiume, perché il segnale televisivo in lingua italiana qui non arrivava”.

Qual è il suo elisir di lunga vita?

“Direi di avere avuto… fortuna. Veramente tanta. In tutta sincerità però, ho la sensazione che tanti anni siano trascorsi in un attimo. Ti rendi conto degli anni che hai soltanto per gli acciacchi che con il passare del tempo ti affliggono. Ad ogni modo mi direi ottimista: occorre godersi ogni momento della vita e trascorrere quanto più tempo con le persone che più si amano”.

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