
TRIESTE
Alla voce “Segni particolari” nel suo passaporto, riprodotto nella mostra “Casanova in viaggio”, inaugurata ieri sera all’Istituto regionale per la cultura istriano-fiumano-dalmata di Trieste, sta scritto: “Mi è sempre piaciuto prendere strade traverse e ho vissuto di continuo nell’errore”. E fu uno dei suoi tanti “peccati” a portarlo nei “porti e approdi dall’Adriatico al Levante: Trieste, l’Istria, Fiume e la Dalmazia”, come sottotitola la rassegna organizzata dall’Irci insieme con l’Università Ca’ Foscari – Dipartimento di Studi linguistici e culturali comparati, la Regione del Veneto e numerosi partner pubblici e privati, con la curatela affidata ai componenti del Comitato nazionale istituito dal Ministero della Cultura nel corso del 2025 come definitivo riconoscimento delle opere di Giacomo Casanova e della sua rilevanza nella cultura italiana ed europea.
Acuto osservatore di fatti, usi e costumi
La particolarità di questa proposta culturale è che allarga lo sguardo oltre il mito, e al carattere libertino del grande veneziano, quello che in definitiva lo ha reso planetariamente famoso – con l’apporto decisivo della cinematografia –, privilegia lo scrittore e lo storico, l’acuto osservatore di fatti, usi e costumi dei popoli e dei luoghi visitati nel corso del suo peregrinare europeo. Nei suoi 73 anni, Casanova ebbe modo di conoscere e sperimentare la realtà di un centinaio di città, incontrando tanto la gente comune – e sì, anche molte donne – come i potenti e i personaggi più influenti dell’epoca. Le note autobiografiche, composte nel castello dei conti Waldstein a Dux (Duchcov), in Boemia, dove fu bibliotecario per tredici anni, dal 1785 al 1798, sono un affresco originale dell’Europa del Settecento. Inclusa la costa orientale dell’Adriatico.
Casanova testimoniò e raccontò nelle sue memorie le condizioni in cui versavano le città, la popolazione, la vita sociale e le malattie che affliggevano gli abitanti, l’indole delle genti, la natura del territorio, le strutture militari e sanitarie, i pericoli della navigazione, l’economia di una regione che si confrontava con gli effetti devastanti delle guerre. Orsera, Pola e Curzola, ma anche l’asburgica Fiume, da poco proclamata porto franco dall’imperatore Carlo VI, e poi Trieste, dove fu agente segreto della Serenissima. Ma non solo: si avvicinò a Pirano, Cittanova, Zara e Ragusa (Dubrovnik), da cui provenivano molti suoi amici, ebbe un “dialogo” a distanza con l’illuminista capodistriano Gian Rinaldo Carli sul “sogno americano”, visto da ciascuno da una sua partiucolare angolazione. Tra gli autografi originali, le “Lettere americane” (1780) del Carli, costituiscono una delle chicche esposte all’Irci.
Un aggancio con l’attualità
Altre curiosità consentono un aggancio con l’attualità: sono i brand più noti che riportano nel prodotto o in una linea il nome di Casanova: dall’aceto balsamico di Modena, a un tipo di specchi di Murano, ma anche oggetti come orologi, grappe, creme, profumi, scarpe (di stampo settecentesco), fino a due caffè (tra cui uno dell’Antico Caffè Greco di Roma), una maschera carnascialesca e uno sfizioso spocchiello da bavero. E, ancora, incisioni e stampe che rappresentano le tappe di Casanova sino al Pireo, a Salonicco e Costantinopoli, cimeli del Settecento, documenti dell’Istria e dei suoi uomini illustri del tempo del veneziano, manifesti e locandine di film dedicati a Casanova, carte da gioco, tarocchi e giochi vari o tavole e fumetti (come “Casanova e Miele”, una storia breve realizzata da Milo Manara nel 1986 contro l’onnipresente presenza degli spot pubblicitari nella vita quotidiana, con tanto di omaggio Federico Fellini).
“L’Irci è un posto dove scopriamo tasselli che non conoscevamo – ha rilevato il senatore Roberto Menia al vernissage – e da questa mostra anch’io ho molto da imparare su un personaggio che non è stato banalmente un uomo dai facili amori, ma un uomo colto, illuminato, studioso”. La narrazione proposta “dimostra competenza altissima e credibilità”, la capacità dell’Irci di creare momenti importanti, certificata dalla collaborazione con la Ca’ Foscari e la Regione Veneto, ha detto l’assessore regionale Pierpaolo Roberti, complimentandosi con gli organizzatori. Roberti ha ricordato che la Regione Friuli Venezia Giulia sta lavorando con il Veneto su progetti che riguardano la conservazione dell’identità e della cultura di questi territori, in particolare i dialetti veneti. Il presidente del Consiglio comunale di Trieste, Francesco di Paola Panteca, si è detto emozionato di apprendere cose nuove di una terra che non è quella delle sue origini ma che ama profondamente.
Frutto di un anno di lavoro certosino
La rassegna è frutto di un anno di lavoro certosino, ha visto all’opera un centinaio di persone, fra Trieste e Venezia; “collante” e iniziatore il professor Antonio Trampus, triestino che da anni vive nella città lagunare. Qui, nel capoluogo giuliano, si è realizzato quello che non poteva realizzarsi a Venezia, ha fatto notare Trampus. Al direttore Piero Delbello il merito di aver approfondito la dimensione “pop” di Casanova e il suo essere simbolo del made in Italy. E già questo potrebbe bastare per visitare l’esposizione. Da vedere, entro il 30 settembre (aperta, a ingresso libero, tutti i giorni con orario 10.30-12.30/16.30-19).
Destinato a durare nel tempo, lo strepitoso catalogo in versione bilingue, italiano-inglese, a cura di Antonio Trampus e Gianluca Simeoni (edito dalla Libreria antiquaria Drogheria 28, titolare Simone Volpato), che in 240 pagine, mette in scena un’epoca, una personalità frutto del suo clima, e al contempo offre un ritratto più vivido, rispetto a quello che emerge dai documenti istituzionali e ufficiali, delle nostre terre.
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