Un percorso forse fin troppo… didattico

Il primo atto del concerto-spettacolo «Viaggio temporale nell’opera», che ha inaugurato ufficialmente la stagione 2024/2025 al TNC «Ivan de Zajc» di Fiume, è andato in scena giovedì scorso e ha offerto una carrellata di arie operistiche meno note o quasi sconosciute al grande pubblico

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Un percorso forse fin troppo… didattico
L’inchino al termine del concerto-spettacolo. Foto: IVOR HRELJANOVIĆ

Viaggi temporali nel mondo dell’opera: per tutti quelli che già la amano e per quelli che devono appena innamorarsene! Con questo slogan il Teatro nazionale croato “Ivan de Zajc” aveva annunciato l’apertura della stagione 2024/25, il cui primo atto è andato… in onda giovedì sera, offrendo una carrellata di arie operistiche meno note o quasi sconosciute al grande pubblico, introdotte dalla voce narrante dell’attrice fiumana Neva Rošić, figlia di quel Đuro Rošić che fu il primo sovrintendente dello Zajc nel secondo dopoguerra. Si è trattato di un percorso (forse fin troppo…) didattico per raccontare agli spettatori i brani che stavano per ascoltare, interpretati da cantanti di casa e ospiti, i quali hanno potuto “appoggiare” le proprie interpretazioni sulle tradizionalmente solide fondamenta dell’Orchestra sinfonica, diretta in questa circostanza dal Mº Marco Alibrando, 37enne direttore d’orchestra nativo di Messina, il quale debuttò a soli 24 anni a Firenze. Da quel momento, un’intensa attività lo ha portato a dirigere in prestigiosi Festival quali il Rossini in Wildbad (Adina), il Rossini Opera Festival di Pesaro (Duetti Amorosi) e il Festival di Spoleto (Delitto e Dovere), fino a raggiungere il golfo mistico del teatro fiumano.

Un modo originale di aprire la stagione
È stato un modo inconsueto e originale per aprire la stagione teatrale, che il pubblico ha comunque apprezzato, in attesa del secondo atto, in programma giovedì prossimo. L’altra sera, il primo viaggio nel tempo è partito da un Claudio Monteverdi quarantenne (1607) per concludersi con un giovane, appena 32enne Giuseppe Verdi (1845). È durato quasi tre ore, durante le quali si sono alternati, a bordo della “macchina del tempo”, i soprano Anamarija Knego, Claire Rutter e Karla Mazzarolli, i mezzosoprano Diana Haller, Michaela Selinger e Lorena Krstić, i tenori Marko Fortunato e Bože Jurić Pešić, il baritono Jure Počkaj e il basso-baritono Giorgio Surian, senza dimenticare il coro guidato dal Mº Matteo Salvemini e l’intervento dei ballerini dello “Zajc” Maria Matarranz de las Heras, Valentin Chou e Michele Pastorini. L’intero “viaggio” è stato interessante, ma i viaggiatori più apprezzati sono stati i due mezzosoprano Diana Haller e Michaela Selinger, particolarmente ispirate.

Diana Haller.
Foto: IVOR HRELJANOVIĆ

L’inizio con le musiche di Monteverdi
Tutto è iniziato, come dicevamo, con Claudio Monteverdi (1567 – 1643). Gli ideatori e registi del programma, il sovrintendente Marin Blažević e Diana Haller, hanno scelto L’Orfeo (1607), con Jure Počkaj a interpretare un’aria del secondo atto, con Orfeo che fa ritorno ai suoi boschi e ai suoi prati (“Ecco pur ch’a voi ritorno”). Mentre i pastori lo accompagnano con lieti canti (“In questo prato adorno”), Orfeo si rallegra della sua felicità (“Vi ricorda, o boschi ombrosi”). Poi è stato il turno del re inglese del barocco, Henry Purcell (1659 – 1695) con l’opera King Arthur/Re Artù (1691). Chiamato da Cupido, il genio del Freddo (Giorgio Surian, fuori scena) canta un’aria cromatica, “What power art thou”, in cui i brividi sono resi dall’indicazione di tremolo nella parte strumentale e per la voce e dai fiocchi di neve come elemento visivo della scenografia, composta peraltro da nove pannelli diafani dell’altezza di circa sei metri.

Händel e Vivaldi
Dopo questa introduzione, eccoci al compositore tedesco Georg Friedrich Händel (1685 – 1759), del quale è stata scelta l’opera Rinaldo (1711), composta su libretto di Giacomo Rossi. Si tratta della prima opera su libretto italiano specificamente composta per Londra e costituì la base per il successivo quarantennale successo di Händel in Gran Bretagna. L’aria prescelta è stata “Furie terribili” (primo atto), che vede come protagonista Armida, incantatrice, regina di Damasco, amante di Argante, re saraceno di Gerusalemme, interpretata da Anamarija Knego. Ed eccoci arrivare a uno dei massimi esponenti del barocco musicale, Antonio Vivaldi (1678 – 1741). L’opera proposta è Bajazet (1735), con l’aria “Sposa son disprezzata”. Nella sua versione originale presente nell’opera La Merope (1734), l’aria si intitola “Sposa, non mi conosci”, scritta dal compositore Geminiano Giacomelli. I compositori in quei tempi erano soliti utilizzare la musica di arie già scritte in precedenza e di inserirle in nuovi lavori. Vivaldi inserì quest’aria nel Bajazet, composto successivamente all’opera di Giacomelli e prese il titolo, appunto, di “Sposa son disprezzata”, eseguita con grande passione da Michaela Selinger.
La fermata successiva della “macchina del tempo” ha visto riproporre un Georg Friedrich Händel più maturo, con Ariodante, opera seria in tre atti musicata in gran parte tra l’agosto e l’ottobre del 1734 ed eseguita la prima volta nel 1735. Qui è stato proposto il duetto “Se rinasce nel mio cor/Si godete al vostro amor”, con protagoniste Lorena Krstić e Karla Mazzarolli, sostenute dal coro.

La scena della grande cerimonia
Molto apprezzata e applaudita l’aria “Forêts paisibles” (Foreste pacifiche) tratta da Les Indes galantes (1735), l’opera più conosciuta del compositore francese Jean-Philippe Rameau (1683 – 1764). Questa è la scena della grande cerimonia del calumet della pace che viene introdotto con una danza. Alla ripresa del ballo viene poi sovrapposta la parte vocale, eseguita magistralmente da Michaela Selinger e Jure Počkaj. I ballerini, seduti in prima fila, hanno coinvolto anche il pubblico, come pure il coro dell’Opera, sistemato in parte sul lato destro della platea, in parte nei palchi del mezzanino. L’apprezzamento del pubblico avrà probabilmente convinto il direttore d’orchestra a proporre proprio questo brano come bis a conclusione del programma.
Una brillante Diana Haller ha eseguito poi l’aria “Divinités du Styx”, tratta dal primo atto dell’opera Alceste (1767) del compositore tedesco Christoph Willibald Gluck (1714 – 1787). Il re Admeto sta morendo e il suo popolo è disperato. Il dio Apollo rifiuta il loro sacrificio animale, proclamando che Admeto vivrà solo se un’altra persona verrà sacrificata al suo posto. La regina Alceste crede di essere la vittima che Apollo ha in mente, ma dichiara che rinuncerà alla sua vita solo per amore…

Una riscrittura del mito di Orfeo
La “macchina del tempo” prosegue il suo viaggio per fare tappa alla stazione… proposta da Joseph Haydn (1732 – 1809), che ha dato l’opportunità a Marko Fortunato di cantare “In un mar d’acerbe pene/Son fra turbini e tempeste./Ho perduto il caro bene,/E mai più non troverò”, tratto da L’anima del filosofo ossia Orfeo ed Euridice (1791), una riscrittura del mito di Orfeo, con enormi differenze testuali e musicali rispetto all’opera di Gluck (Orfeo ed Euridice, Vienna 1762), che Haydn ben conosceva avendola diretta più volte. È stata poi la volta di Michaela Selinger a esibirsi nell’aria “Va pure ad altri in braccio”, tratta dal terzo atto dall’opera La finta giardiniera (1775), che Wolfgang Amadeus Mozart (1756 – 1791) compose all’età di 19 anni. Anche in questa occasione la voce cristallina a una presenza scenica ineccepibile hanno strappato un applauso prolungato al pubblico fiumano, cosa successa anche nel brano successivo, che ha visto l’altro mezzosoprano, Diana Haller, interpretare un altro brano di Mozart, stavolta tratto dall’Idomeneo (1781), opera seria in lingua italiana. “Oh smania! Oh furie!… D’Oreste, d’Ajace” è l’aria di Elettra, penultima scena dell’opera, che ha riconfermato, semmai ce ne fosse il bisogno, la bravura di Diana Haller.
Il “viaggio” è proseguito poi con Claire Rutter e Bože Jurić Pešić che si sono esibiti in un duetto – “Taci, Giason!… Dei tuoi figli la madre!… Son vane qui minacce… Nemici senza cor!” – tratto da Medea (1797), opera in tre atti di Luigi Cherubini (1760 – 1842) composta su libretto ispirato alla tragedia classica omonima di Euripide. Dopo la pausa è stata la volta dell’Otello (1816), seconda di una serie di nove opere composte da Gioachino Rossini (1792 – 1868) per Napoli. È stata una nuova occasione per Michaela Selinger per mettersi in mostra, con l’aria “Assisa a piè d’un salice”.

Foto: IVOR HRELJANOVIĆ

Il grande Giorgio Surian
Ancora Rossini, stavolta per il grande (in tutti i sensi) Giorgio Surian. L’opera prescelta è Il viaggio a Reims del 1825 (titolo completo: Il viaggio a Reims ossia L’albergo del Giglio d’oro) – “Medaglie incomparabili…” è il titolo dell’aria –, l’ultima opera del compositore pesarese in lingua italiana e la prima composta in Francia. Stazione successive, Carl Maria von Weber (1786 – 1826), con l’opera Der Freischütz/Il franco cacciatore (1821), che ha visto Bože Jurić Pešić destreggiarsi con l’aria “Nein, länger trag’ ich nicht die Quälen”.
Nuovamente applausi scroscianti per Diana Haller, che con Marko Fortunato ha presentato al pubblico La sonnambula (1831) di Vincenzo Bellini (1801 – 1835). L’opera, melodramma in due atti, culmina in una delle più sublimi arie per soprano: la celebre “Ah, non credea mirarti”, che la protagonista canta in stato di sonnambulismo. A seguire Il Pirata (1831), opera in due atti di Bellini, che inizialmente ebbe grande fama, ma che col tempo cadde quasi nell’oblio, non reggendo il paragone con le tre opere più famose di Bellini (Norma, I puritani o La sonnambula) e scontando una vocalità lontana dagli standard imposti a partire dal teatro verdiano. “Col sorriso d’innocenza… Qual suono ferale echeggia… Oh, Sole! ti vela di tenebra fonda…” è il titolo dell’aria eseguita da Claire Rutter, con il sostegno del coro.

La genesi dell’opera «Maria Stuarda»
Stanco e umiliato dalle continue tresche della moglie, il Duca Alfonso (Giorgio Surian) ha deciso di eliminare l’ennesimo rivale. È questa, in sintesi, la trama dell’aria “Vieni, la mia vendetta”, tratta dal primo atto dell’opera Lucrezia Borgia (1833) composta da Gaetano Donizetti (1797 – 1848) su libretto di Felice Romani, tratto dall’omonima tragedia di Victor Hugo. Ancora Donizetti a bordo della “macchina del tempo”, stavolta con Maria Stuarda (1835). “Morta al mondo… Figlia impura di Bolena…”, la scena del confronto tra Elisabetta (Anamarija Knego) e Maria (Diana Haller), ha visto la partecipazione anche di Bože Jurić Pešić, Lorena Krstić, Jure Počkaj, Giorgio Surian e del coro. Interessante la genesi, piuttosto infelice, dell’opera. A parte il ritardo causato dal giovane e inesperto librettista (Bardari all’epoca era diciassettenne, studente di legge), un motivo fu la zuffa tra le due prime donne, Giuseppina Ronzi de Begnis e Anna del Serre (nei ruoli di Maria ed Elisabetta), venute alle mani nella scena dello scontro delle due regine, insultandosi tra di loro pesantemente, al punto che la de Begnis accusò la rivale di essere la favorita del compositore. Donizetti, ormai stufo dei litigi, replicò: “Io non proteggo nessuna di voi due, ma due puttane erano quelle (Elisabetta e Maria) e due puttane siete voi due”, ponendo fine alle liti tra le due. Così come è successo nella Norma belliniana, così pure il contrasto tra i due personaggi femminili che, all’inizio erano soprani, fu sottolineato nel corso del tempo dalla consuetudine di far cantare il ruolo di Elisabetta a un mezzosoprano, o viceversa, come nel nostro caso.
Ed ecco l’ultima stazione del nostro viaggio nel tempo, con Giovanna d’Arco (1845) di Giuseppe Verdi (1813 – 1901), dramma lirico tratto parzialmente dal dramma Die Jungfrau von Orleans (La Pulzella d’Orléans) di Friedrich Schiller. Brava Anamarija Knego nell’aria “Pronta sono! Son guerriera!”, assistita da Bože Jurić Pešić e Jure Počkaj. E ora tutti in carrozza per il secondo viaggio…

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