
A novembre 2024 si sono celebrati i cent’anni dalla scomparsa di Giacomo Puccini. I teatri lirici l’hanno ricordato allestendo numerose sue opere. Del grande compositore c’è però una dimensione personale, umana, intima che, se si esprime nelle emozioni della musica, non racconta però i retroscena, le vicende della sua vita. “La cameriera di Puccini”, in scena al Teatro dei Fabbri di Trieste, nell’ambito della rassegna di teatro contemporaneo della Contrada, fa luce di un grave fatto che colpì il maestro di Torre del Lago attraverso un allestimento che coniuga la prosa alla lirica.
L’arrivo del giornalista
Nicola Zavagli, drammaturgo e regista, immagina un giornalista, giovane e inesperto, che arriva con mille difficoltà alla villa del compositore per intervistarlo. Ma non lo trova. Se ne è andato, non si sa dove. A ricevere l’uomo in malo modo è la cameriera di Puccini. Da subito si capisce che lei nasconde qualche fatto scabroso, che vorrebbe raccontare, ma sa di non dovere. Scopre che il giovane non sa niente dell’artista, non conosce se non vagamente le sue opere. Confonde Boheme con Turandot, Puccini con Verdi. Il giornalista è però bravo a stuzzicarla, facendo leva sul suo grande affetto per il padrone, finché la donna si apre e racconta della vita familiare. L’oggetto dei suoi strali è la moglie del compositore.
Per inciso Elvira Bonturi aveva conosciuto Giacomo Puccini e, invaghitasi di lui, aveva lasciato il marito, Narciso Gemignani, ricco commerciante lucchese, portando con sé la figlia Fosca e lasciando al consorte il piccolo Renato. Giova ricordare che al tempo di questi fatti Puccini è ancora male in arnese, non gode di fortune né economiche né di successo. I due si sposeranno solo successivamente alla morte del Gemignani.
Traumi e tragedie
Una scelta così ardita, soprattutto in quel tempo, si portava dietro una gelosia irrefrenabile della donna verso il compagno, reo di avere storie con altre donne. E così, chiacchiera dopo chiacchiera la cameriera racconterà al giornalista la vicenda del caso Doria Manfredi, che fece scandalo a Torre del Lago, costringendo Puccini ad abbandonare la villa. Doria era un ragazza di campagna, figlia dell’uomo con cui il compositore andava a caccia. Alla morte di questi l’artista si sentì in dovere di prendere a servizio la ragazza, schiva e timida, quando aveva solo 16 anni. La moglie Elvira, man mano che la ragazza si faceva sempre più bella, cominciò a sospettare di una tresca tra lei e suo marito.
Per inciso, Puccini si era invaghito della cugina di Doria, Giulia, ragazza bella e indipendente.
Elvira fece cacciare di casa la giovane. Nel paese incontrandola la copriva di insulti pesantissimi, chiamandola sgualdrina. Finché la ragazza si suicidò. Aveva inghiottito tre pastiglie di un prodotto tossico per le pulizie, che erano sparite dalla villa del compositore. Il medico legale avrebbe appurato che era ancora vergine.
Sempre per inciso, Elvira dovette scappare da Torre del Lago per fuggire dalla furia dei paesani, Puccini pagò i Manfredi per evitare la causa, che gli avevano intentato. Stette un anno ad elaborare il trauma subito, profondamente addolorato per la fanciulla sventurata. Alcuni critici musicali affermano che la giovane cameriera si nasconda nella Liù di Turandot, un risarcimento a suo modo per il male fatto.
La cameriera del nostro spettacolo è Beatrice Visibelli, che per un’ora intrattiene il pubblico raccontando, con un simpatico accento toscano, il dramma del suo adorato Puccini, mettendo alla gogna la terribile Elvira. Ad intervistarla Francois Meshreki. Lo spettacolo si alterna ad arie incentrate sui personaggi femminili delle opere di Puccini: “O mio babbino caro” di Lauretta dal “Gianni Schicchi”, “Mimì” da “Boheme”, “Tosca”, “Turandot” e “Butterfly”. A cantarle il soprano Angela Romeo, accompagnata al pianoforte da Magdalena Jones.
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