Un minuscolo scrigno di emozioni

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Un minuscolo scrigno di emozioni

FIUME | È uscita per le pubblicazioni della Comunità degli italiani di Fiume, la raccolta di poesie “Lacrime e perle”, che riunisce i versi di Giacomo Scotti, personalità letteraria poliedrica, narratore, poeta, saggista, favolista, autore di scritti di carattere storico.

Il volume è un piccolo scrigno di emozioni, ricordi, riflessioni, saggezza. Una saggezza che, riteniamo gli derivi, in primis, dalle sue origini contadine e dal suo forte radicamento in una terra del Meridione, che per secoli ha forgiato i suoi figli a forza di lavoro, fatica, sacrifici, pazienza, speranza, dolore. Potremmo definirla una saggezza contadina ereditata geneticamente – oggi si parla in campo scientifico addirittura di “memoria delle cellule”, che si depositerebbe nelle spirali del DNA – la quale ineluttabilmente avrà influito nel suo approccio alle circostanze della vita, nei rapporti umani, nel suo “gusto” per la vita. Una saggezza che, nonostante le avversità, lo ha portato a resistere e a lottare tenacemente, senza cedere alla disperazione, alla resa definitiva o, peggio, ad atti di fatale autolesionismo.
Codesto ricettacolo poetico – che raccoglie le sillogi “Fiume, Istria ed altro”, “Accanto al mare”, “In cammino la vita”, “Disperatamente in croce”, “Al limite della vita” – racconta l’infanzia dell’autore e il suo percorso di vita, che lentamente lo sta portando al tramonto. Da qui, una rassegnata riflessione retrospettiva, il lento distacco dalle cose della vita, distacco reso più dolce e anche malinconico dall’affluire dei ricordi d’infanzia e del suolo natio. “I lenti rintocchi di una campana/portati dal vento/ ripetono la voce della mia piccola patria lontana” riflette il poeta, mentre gli affiorano altre tenere reminiscenze: “La fretta della vita da bambino/i giochi delle corse a piedi scalzi/ sui prati nell’infinito; il magro cibo reso saporito dal bisogno di vivere”. Si racconta con semplicità nel rievocare il fervore di vita alla festa del santo patrono quando …la piazza/ straripava di donne, di ragazzi,/ la domenica, gonfia nel profumo/del pane dilatato dai cortili”/. Fortunati i bimbi che hanno vissuto un’infanzia così, nonostante la povertà. Ingabbiati nei grattacieli, e, per ore e ore, chiusi nelle aule scolastiche, con compagno di giochi la play station, i ragazzini “di città” non proveranno mai le ebbrezze dei fanciulli di paese.
Una porzione significativa dei versi di Scotti esprime l’amore per le sue due patrie però pure un sentimento di lacerazione, una schizofrenia interiore che lo “crocifiggono disperatamente” nel dividersi tra due mondi, due culture, due lingue. Sono sentimenti di strazio che possiamo ben intendere, in quanto comuni a tutte le genti di confine, agli esuli, agli sradicati. Una condizione che ti fa crescere, ma che porta anche sofferenza. “Il Sud… mi attraversa l’anima perché radice… Quell’anima che desta alla memoria/ cortei di zappatori e tristi nenie/ di donne alle fontane/…Chi venuto da un succo ancora denso/di secoli… non ha che la bandiera del suo cuore/ fatta a brandelli e il dono del dolore” si confessa Scotti in “Vecchie nuove radici”. E ancora: “Figli e nipoti ho sparso altrove e gente/diversa ho fra i miei amori… Mi sento in croce disperatamente”. La sofferta identità dell’autore si palesa in due versi. “Ma ignoro a chi appartengo/ora che sono giunto alla sera”.
Poc’anzi si faceva riferimento alla saggezza di matrice contadina dell’autore; e non ci pare un’osservazione tanto sbagliata. Scotti, infatti, nonostante i tanti travagli della vita, non si incattisce, e il suo cuore non diventao duro, o cinico. Al contrario, egli scopre che l’unica risposta a un’esistenza travagliata è una filosofica accettazione, ma soprattuto l’amore. “Anche la vita è maestra/dell’uomo quando è solo./Scende allora nei propri/ abissi inesplorati/…da quel fondo il cui cuore/risale lentamente rivestito/di un profondo guscio d’amore”/.
Con il procedere della maturità, le poesie di Scotti diventano più interiori, meditate, essenziali, librandosi a volte fino a vette di spiritualità. Il senso dei propri limiti e della caducità della vita li esprime in una breve poesia: “Con la faccia di cera e nel silenzio/nulla nel nulla/ della notte che dorme”/. Volgendo il pensiero a “sorella morte” il poeta così si esprime: “Spero che negli estremi istanti/potrò ghermire gli ultimi ricordi/in musica. La musica che l’universo illumina e accompagna/i tristi vivi e i morti”.
La silloge si chiude con pochi versi in cui il poeta si paragona a un cero che lentamente si scoglie, per concludere quasi serenamente “Mi illumino di me prima di spegnermi”. Un verso forte che fa quasi eco al celebre “M’illumino d’immenso”. Con la differenza che Scotti s’illumina del proprio essere, di ciò che lui è, mentre Ungaretti si spalanca all’Infinito.
Nella silloge l’autore esprime anche le sue inquietudini, l’amore per il mare, la natura – versi che si distinguono per vivacità d’immagini e freschezza di sentimento – per la sua compagna di vita.
“Lacrime e perle” è una raccolta che con la sua confessione sincera coinvolge il lettore. Sono pagine spontanee, fluide, ricche d‘immagini poetiche e contenuti che si leggono volentieri. Frutto di una vita, questi versi trasmettono una positività di fondo, la tenacia nel vivere, pure quando la sorte non è amica. Queste raccolte poetiche, estranee a ogni omologazione che “vorrebbe” un approccio e un sentire molto diversi alle vicende dell’esistenza, vengono sentite quasi come un balsamo, in un momento culturale e in un clima sociale pesante, che, nel prossimo futuro, non fa intravedere sbocchi positivi.

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