Un «Michelangelo» dai toni forti e viscerali

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Un «Michelangelo» dai toni forti e viscerali

FIUME | È stata una prova sofferta e tormentata quella del Dramma croato, offerta venerdì sera all’“Ivan de Zajc” di Fiume, in occasione della prima di “Michelangelo” opera di Miroslav Krleža, adattata per il teatro dal regista sloveno Sebastijan Horvat e dal drammaturgo serbo Milan Marković Matthis. Sofferta perché il lavoro di Krleža in questa prova non si è rivelato un percorso ideale a dimostrare quanto l’opera del maggiore scrittore croato del Novecento sia intrisa di tematiche socialmente utili e contemporanee, ma bensì uno spettacolo caotico e confusionale.

Secondo l’idea del drammaturgo Milan Marković Matthis e del regista sloveno Sebastijan Horvat, “Michelangelo”, con una durata di oltre due ore, si compone di due parti. Una prima, onirica, che si presenta come una messa in scena dai toni esageratamente forti e viscerali, e una seconda, dove il regista e drammaturgo – probabilmente consci di che cosa hanno realizzato nella prima parte –, corrono ai ripari e pongono l’intera faccenda sul comico. Ma andiamo per ordine.
La parte iniziale – che è anche quelle che si basa di più sugli elementi narrativi del “Michelangelo Buonarroti” di Krleža – descrive il mondo interiore, con tutte le allucinazioni del maestro rinascimentale impegnato a realizzare gli affreschi del Dies Irae della Cappella Sistina. È una messa in scena prevalentemente fisica, coreografica, con pochissimi dialoghi e monologhi, quasi non verbale. Lo spettatore s’imbatte in un Michelangelo pervaso da un turbinio di visioni, in un esasperato e viscerale confronto con un Dio malefico, ma anche con i propri demoni, aiutanti, persone dal mondo esterno, muse e voci interiori. E nel creare questo mondo tenebroso e sconvolgente, il regista utilizza elementi dell’azionismo viennese con orge e rituali di sangue.
Secondo l’impostazione del regista sloveno, lo spettacolo è inteso a evidenziare la dialettica che intercorre tra arte, politica, potere e ricchezza, e quindi a rappresentare un mondo meschino di falsità che si sta sgretolando. Sebastijan Horvat spiega che l’arte non è la medicina, ma è il veleno della società con cui si deve confrontare e combattere. Secondo lui l’arte non è l’espressione libera di un individuo, ma è il risultato di una funzione sempre al servizio di qualcuno o qualcosa. E quindi fittizia.

Totale confusione

Poi, nella seconda parte, segue un cambio di registro, dove il regista assieme al drammaturgo, quasi consapevoli del groviglio artistico visuale che hanno creato, corrono ai ripari proponendo qualcosa di completamente diverso. Ebbene, utilizzando un’impostazione di metateatro, lo spettatore viene a sapere che la prima parte non era che la prova in costume del “Michelangelo” di Miroslav Krleža. Segue la parte dietro le scene dove gli attori sono sopraffatti, esausti, il regista e drammaturgo sono in conflitto artistico e morale per quello che hanno tentato di realizzare. Il drammaturgo rifiuta la paternità dell’adattamento, in quanto il regista non ha seguito le sue indicazioni. Quest’ultimo poi, in piena crisi artistica, privo di qualsiasi sicurezza, parla con un macchinista per capire quanto sia possibile comprendere il messaggio che intende trasmettere. Inevitabilmente ne nasce una confusione con litigio generale, che sfocia poi con la fuga del regista e il messaggio che il gruppo di attori si arrangi come meglio crede. Sorge spontanea la domanda “è questa la libertà dell’artista” che Horvat tanto critica? Pur riconoscendo che questa seconda parte sia quella più interessante e artisticamente palpabile, ciò non riesce a rimediare all’effetto generale di confusione dovuto alla prima parte.

Ottima coralità degli attori

Nonostante le note negative, occorre rilevare che nel lavoro è presente una recitazione indubbiamente elaborata, ricca e intensa, con l’intero gruppo di attori che presta anima e corpo ai rispettivi ruoli. Al lavoro prendono parte gli attori del Dramma croato, Olivera Baljak, Tanja Smoje, Jelena Lopatić, Marija Tadić, Nikola Nedić, Jerko Marčić, Jasmin Mekić, Aleksandar Cvjetković ed Edi Ćelić, l’attore del Dramma Italiano, Giuseppe Nicodemo, e Rakan Rushaidat nel ruolo del protagonista. Tutti molto bravi e completamente dediti alla coralità della scena. Va detto poi che il tutto è coadiuvato dalla scenografia di Igor Vasiljev, altrettanto potente, composta da un cubo a tre piani, quasi a volere suggerire le impalcature utilizzate da Michelangelo nella Cappella Sistina. Scenografia che, ahimè, penalizza visualmente gli spettatori della platea, impossibilitati a seguire l’azione che accade al terzo piano. Non meno interessanti sono i costumi di Belinda Radulović, le musiche di Karmina Šileca, il Coro dei fanatici diretto da Igor Vlajnić e le luci di Aleksandar Čavlek.
Tuttavia, una volta svanito l’effetto iniziale per l’apparato scenico visuale assieme alla meraviglia per l’ottima resa degli attori, viene a mancare la connessione. In questo lavoro non c’è un graduale passaggio da una scena all’altra, ma soltanto un susseguirsi di quadri violenti e spossanti. In definitiva lo spettacolo si rivela un vortice grottesco con troppe e inutili simbologie della nostra contemporaneità che asfissiano inutilmente lo spettatore ma anche l’opera stessa di Krleža. Non è il “Michelangelo Buonarotti” di Miroslav Krleža, ma un progetto d’autore di Sebastijan Horvat e Milan Marković Matthis non ben definito. Siamo ben lontani da quel “Michelangelo Buonarroti” di Krleža, allestito dal Dramma Italiano nel 2001, con Pier Luigi Zollo nella parte di protagonista.

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