
Il pensiero e la figura di Sergio Sablich, a vent’anni dalla scomparsa, sono più attuali che mai. Perché spesso viene citato per il suo fondamentale lavoro di critico musicale, di autore di libri che si aprono ad una necessaria riscoperta, perché la sua passione per la musica e per il cinema (ma anche per i successi della Juventus… – al commento il pubblico reagisce divertito), continuano ad indicare la strada, a coinvolgere colleghi, estimatori ed amici.
Così Sablich, che era nato a Bolzano ma da genitori fiumani, diventa per l’AFIM un esempio di eccellenza nel mondo, un personaggio che conferma una geografia umana di particolare competenza e fama, motivo d’orgoglio per chi si riconosce nelle medesime radici identitarie.
E proprio l’AFIM, grazie al coinvolgimento del pianista Giovanni Bellucci, ha immaginato una serie di eventi a lui dedicati, di cui, il primo, è andato in scena venerdì sera nella sala del Buonumore del Conservatorio Cherubini di Firenze: seguiranno – sempre con i concerti del pianista Giovanni Bellucci – gli eventi del 5 aprile al Teatro Ivan Zajc di Fiume, il 17 maggio alla Reggia di Venaria di Torino e a giugno a Zagabria grazie al coinvolgimento dell’Istituto Italiano di Cultura e dell’Ambasciata d’Italia.
La serata fiorentina ha segnato un inizio di grande spessore. Posti in sala esauriti, uno straordinario programma di interventi ed esecuzione pianistica. E la sorella, Marina Sablich, che sottolinea il moto della serata “Dedicato a Sergio, 20 anni dopo. Con le migliori intenzioni”. Forse a lui tutto questo non sarebbe piaciuto – avverte Marina -, schivo com’era, ma certo avrebbe gradito l’intervento del collega Alberto Batisti del Conservatorio Cherubini dove Sergio ebbe modo di insegnare considerandolo non un ripiego ma “una prima strada”, dell’amico giornalista e critico musicale Angelo Foletto e del famoso pianista Giovanni Bellucci che ha immaginato per Sergio un programma straordinario, filologicamente coerente.
A dare il via alla serata fiorentina, il Presidente dell’AFIM, Franco Papetti – ricordando giustamente che l’evento si svolge con il Patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri in occasione del Giorno del Ricordo – con una riflessione su ciò che rappresenta il concetto del ritorno per i Fiumani sparsi nel Mondo: è un impegno culturale che vuole porre le basi di un giusto rapporto delle nuove generazioni nate dopo l’esodo con i luoghi di provenienza delle famiglie. Un modo di lenire le ferite della storia ma anche di immaginare un diverso futuro fatto di collaborazione con chi considera Fiume un riferimento importante, con chi oggi a Fiume risiede continuando a parlare il dialetto, mandando i figli alla scuola italiana, frequentando la Comunità, riconoscendosi nel pensiero dei grandi della letteratura, dell’arte, della storia e della musica che, come in questo caso, ritrova un ruolo da protagonista.
Sergio aveva frequentato il Conservatorio di Firenze ma ne era diventato anche docente per poi affrontare altre importanti sfide – come ha ricordato Alberto Battisti, Docente di Storia della Musica – la direzioni di istituzioni musicali nazionali. Di lui il Conservatorio concerva la preziosa donazione della famiglia Sablich, la sua biblioteca con anche i volumi che egli aveva scritto: due in particolare, uno su Ferruccio Busoni, recentemente ristampato, e l’altro su Luigi Dallapiccola.
“Nella sua lunga carriera, sempre in movimento, a volte s’era trovato al posto giusto al momento giusto – ha aggiunto il critico musicale Angelo Foletto – a volte al momento sbagliato che non gli ha risparmiato dolore e delusione”. Un uomo di passione, Sablich, “aperto alle sfide. Un aneddoto: ha scritto un libro sull’Altro Schubert, che inizia con una frase particolare ‘Schubert – scrive nell’incipit – non sapeva ballare’. E’ vero, era grosso, goffo e non lo faceva. Ecco Sergio riusciva ad essere divulgativo e profondo, perché conoscendo molto bene le cose, applicando un estremo rigore, aveva la capacità di renderle semplici. Così in tutte le sue attività. Non c’erano vie di mezzo, a ogni cosa la massima priorità…e molti si chiedevano come riuscisse a non trascurare nulla pur essendo sempre da un’altra parte rispetto a dove avrebbe dovuto essere”.
C’è rammarico per tutte le cose che Sablich non ha potuto fare – ha continuato Foletto -, “ecco perché il titolo del mio intervento ‘Sergio rimembri ancora?’ né vederne la realizzazione…che l’avrebbe fatto impazzire di gioia. Come avrebbe amato il concerto a lui dedicato stasera”. L’idea di Sergio infatti è stata spiegata attraverso le scelte musicali proposte dal pianista Giovanni Bellucci, grande protagonista della serata. Suonando e commentando i vari passaggi, ha dato prova della rara capacità in un esecutore, di presentarsi anche nei panni di narratore coinvolgente, stimolante ed esaustivo. Ma è stata la sua esecuzione al pianoforte ad entusiasmare ed emozionare il pubblico, trascinato dal virtuosismo di Bellucci. Come anticipato da Foletto, affrontare l’opera di Ferruccio Busoni negli anni ‘80, poteva sembrare un azzardo? Durante il concerto, la capacità introspettiva del pianista, ha risposto al quesito dando un significato alla sfida che Sablich aveva inteso cogliere. Ferruccio Busoni innovatore e campione del parafrasare, di trasferire dal medium organistico a quello pianistico la sostanza di un’opera per esaltarne le qualità astratte. Un suo estimatore – ha raccontato Bellucci -, incontrandolo e riconoscendolo lo chiamò… Maestro Bach-Busoni, in un lapsus tanto profetico quanto divertente, unendo in un’unica entità i due protagonisti della stroia della musica. Dove finisce l’opera del compositore e lascia spazio al genio dell’interprete? Tradurre è tradire, ci si chiede spesso nei convegni letterari. Laddove l’arte riesce ad esprimersi, la sintesi diventa un’opera a se stante, che si muove in un universo autentico, incontrovertibile.
Bach, Busoni, Schumann, Liszt ma anche Weill che fu allievo di Busoni per un periodo, nel programma del concerto; una realtà di scambi, contaminazioni, esaltazione della purezza e della specificità. Un concerto pieno di stimoli e di spunti di riflessione. Con una chiusura di dolcissima Rapsodia Ungherese, per Sablich, per Busoni ma anche per quella cultura trasversale fiumana un po’ latina, un po’ slava, un po’ ungherese. La diversità come unicità.
Al genio del pianista Bellucci il lungo applauso del pubblico e l’abbraccio di Marina Sablich che ha chiuso con i saluti a tutti, AFIM, Conservatorio, Lyceum, gli amici che ancora una volta hanno fatto in modo di ricordare Sergio con la parola e con la musica. Gli sarebbe piaciuto?

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