Un’analisi equilibrata di Jasenovac tra ricerca scientifica e aspetti morali

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Un’analisi equilibrata di Jasenovac tra ricerca scientifica e aspetti morali

FIUME | Jasenovac è stato tra il 1941 e il 1945 il più grande campo di sterminio nell’ex Jugoslavia. Una pagina nera della storia del XX secolo tutt’oggi oggetto di controversie. Lo storico Ivo Goldstein, figlio del noto editore e pubblicista Slavko Goldstein, ha di recente presentato nell’Aula consiliare della Città di Fiume, il libro “Jasenovac”, una voluminosa monografia, pubblicata dalla casa editrice “Fraktura” di Zagabria, che in quasi mille pagine, corrobora non soltanto la fenomenologia delle atrocità commesse, ma rappresenta pure un esempio equilibrato tra ricerca scientifica e aspetti morali in un periodo in cui, in Croazia, l’argomento è ancora tema di violenti scontri politici, essendo legato a un doppio filo di giudizi dal punto di vista storico.
Abbiamo incontrato l’autore Ivo Goldstein, riconosciuto sia come storico (insegna storia contemporanea all’Università zagabrese e vanta la pubblicazione di ben venti libri), sia come attivista della minoranza ebraica in Croazia (è stato tra l’altro anche Ambasciatore della Repubblica di Croazia in Francia), per un’intervista.

Qual è la genesi di questa monografia, soprattutto vista alla luce di un periodo in cui l’argomento di Jasenovac è motivo di scontri politici e revisionismi?
“La pubblicazione di questa monografia non è scaturita dalle diatribe dovute al revisionismo storico che interessano il nostro Paese, ma anche quelli europei, dove la memoria dell’Olocausto rischia di venire strumentalizzata. In qualità di storico mi occupo da oltre due decenni del campo di sterminio del regime ustascia. Sono stato testimone al processo di Dinko Šakić, il comandante del campo di sterminio di Jasenovac nello Stato Indipendente di Croazia (NDH), estradato nel 1998 in Croazia e condannato per crimini di guerra e contro l’umanità a 20 anni di prigione. Nel 2011, insieme a mio padre, Slavko, ho pubblicato il libro ‘Jasenovac i Bleiburg nisu isto’ (Jasenovac e Bleiburg non sono la stessa cosa nda), mentre nel 2015 con la pubblicazione di ‘Josip Broz Tito’, si è imposta la volontà di realizzare un’opera monografica che analizzasse l’intero aspetto del campo di sterminio. Avrei voluto che ci partecipasse anche mio padre, ma purtroppo è venuto a mancare e ho dovuto scrivere il volume da solo. La pubblicazione ‘Jasenovac’ anche se può essere letta come una sorta di risposta alle preoccupanti tendenze revisionistiche, vuole invece presentare il frutto delle mie ricerche al pubblico. In altre parole la mia interpretazione su questa tragica storia della Seconda guerra mondiale, non solo ai lettori della Croazia, ma anche a tutti quelli dei Paesi limitrofi. L’ho scritto perché ritengo che la storia su Jasenovac debba essere conosciuta e mai dimenticata”.

Quali sono gli aspetti che contraddistinguono la sua pubblicazione?

“Nel lavoro affronto tutta una serie di argomenti, a partire dalla classificazione dei detenuti a Jasenovac. Per capire chi erano, in base a quali criteri avveniva la relegazione coatta, quali erano le possibilità di evasione, chi nutriva la possibilità di evadere e chi, invece, si rassegnava alla detenzione, anche perché vigeva il sistema dell’1/10, ossia per la fuga di un prigioniero ne venivano fucilati 10. E poi ancora in che modo i detenuti speravano nella salvezza, le modalità del lavoro coatto, l’alimentazione e le morti d’inedia, di malattie, di sfinimento e in seguito a crudeltà varie, senza dimenticare le strategie di sopravvivenza”.

Quali erano le condizioni per restare in vita?

“Occorreva innanzitutto spogliarsi dell’umanità. Le persone, una volta incarcerate, venivano disumanizzate, perdevano le fattezze umane. I loro corpi diventavano dei meri e vuoti contenitori in attesa di morire. Individui che vivevano quotidianamente violenze fisiche e psicologiche, soprusi e intimidazioni. Coloro che riuscivano a sopravvivere al ‘primo girone’ di violenze finivano per impazzire e di conseguenza venivano uccisi”.

Quale interpretazione propone la sua monografia?

“Per comprendere l’intera tragedia del campo di sterminio di Jasenovac occorre conoscere i dettagli e le tante sfaccettature che contraddistinsero questa macchina della morte. Nella monografia i fatti accorsi a Jasenovac vengono interpretati attraverso il prisma del singolo individuo, sia della vittima, sia dell’aguzzino. A tale scopo la monografia presenta tutta una serie di biografie, a partire da quelle delle cariche principali, i comandanti che amministravano il campo, seguite poi da quelle dei militari che avevano una responsabilità di comando inferiore, fino a coloro che assassinavano persone nel campo di sterminio per mero divertimento. Grazie alle nozioni biografiche raccolte si evince che non erano delle menti criminali, ma delle persone ‘normali’, con una vita tranquilla e ordinata prima dell’inizio del conflitto mondiale, e che poi, con la guerra, hanno subito una metamorfosi trasformandosi in criminali mostruosi”.

Quante persone sono state sterminate a Jasenovac?

“Il numero esatto non lo sapremo mai. Tuttavia grazie ai dati conservati al Memoriale del campo di concentramento di Jasenovac, come anche al Museo delle vittime dell’Olocausto di Belgrado, che rappresentano la base per ogni seria e scrupolosa discussione, è possibile identificare un determinato numero di vittime, per nome e cognome. Nel Memoriale di Jasenovac si citano 84mila individui, mentre nel Museo della capitale serba sono circa mille in più. Oggidì molto spesso si sente dire che queste liste non sono attendibili perché contengono degli errori. È vero. Ce ne sono, ma riguardano una piccola parte dei nominativi erroneamente riportati nella lista. Allo stesso modo esiste un lungo elenco di nomi di individui morti che non sono riportati nelle liste delle vittime di Jasenovac, per il semplice motivo perché non è dato sapere quale sia stato il luogo dell’assassinio. Se potessimo includere anche queste vittime nella lista di Jasenovac, il numero complessivo sarebbe di circa 100mila persone sterminate”.

Quali erano le loro nazionalità?

”La maggior parte delle vittime era di etnia serba, circa 50mila, seguiti dai rom, circa 15mila e da altrettanti ebrei. Tra le vittime ci furono anche tantissimi croati, sterminati non secondo un piano di eliminazione generale, come quello attuato per i serbi, i rom e gli ebrei, ma perché colpevoli di attività sovversive e d’opposizione al regime ustascia”.

Nel campo trovarono la morte anche molti bambini?

“Nel complesso del campo di Jasenovac una sezione a parte era interamente dedicata ai bambini. Furono deportati bambini serbi, rom, ebrei e anche croati, ovvero i figli dei padri di famiglia che entrarono nelle unità partigiane. Gli ustascia li deportarono per ritorsione. Tantissimi furono assassinati, molti morirono di fame e di malattie. Occorre ricordare il ruolo dell’attivista austriaca Diana Budisavljević che riuscì a salvare parte dei bambini internati”.

Con la pubblicazione di questo volume ritiene che la sua attività di ricerca sul campo di sterminio di Jasenovac possa considerarsi conclusa?

“Mi è difficile dirlo in questo momento. La professione di ricercatore storico mi porta a occuparmi di svariati argomenti del XX secolo e in particolar modo di quelli legati alla Seconda guerra mondiale in Croazia. Tutte ricerche che spesso implicano nuove scoperte. Tra alcune settimana verrà pubblicata l’edizione serba di ‘Jasenovac’, che sarà arricchita da alcuni capitoli che nella versione croata non sono stati inseriti. Ad ogni modo di nuove monografie sul campo di Jasenovac non ce ne saranno”.

Che cosa risponde ai revisionisti risoluti nel negare che Jasenovac fosse stato un campo di sterminio e a coloro che addirittura tendono a banalizzare e minimizzare la gravità di questo genocidio, nell’intento di assolvere i suoi ideatori ed esecutori?

“In linea di principio non mi occupo dei revisionisti. Non mi abbasso ai loro livelli. Li considero dei dilettanti, nel vero senso della parola, che esibiscono le proprie prove secondo interpretazioni e fatti errati e distorti. Lo fanno prendendo in esame solamente alcune fonti parziali, sorvolando su altre. Con ‘Jasenovac’ ho voluto scrivere una monografia sul campo di sterminio del regime ustascia che aprisse dei nuovi temi da approfondire”.

Tuttavia volumi revisionistici vengono pubblicati con una certa regolarità e spesso anche presentati con la complicità della Chiesa?

“Purtroppo la Chiesa cattolica è uno dei più ferrei promotori di opere che riabilitano il regime ustascia e minimizzano la gravità del campo di Jasenovac. Sulla rivista della Chiesa cattolica croata, ‘Glas Koncila’ (La voce del Concilio), vengono di continuo pubblicati articoli revisionistici. Sono dei testi ignobili, pieni di menzogne e falsità. Spero che il discorso di alcune settimane fa dell’arcivescovo di Zagabria, Josip Bozanić, possa contribuire affinché la Chiesa cattolica si ricreda su queste attività revisionistiche. Soltanto in questo modo possiamo sperare di arrivare a un dibattito reale e coretto su ciò che fu il campo di sterminio di Jasenovac”.

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