Suggestiva serata belliniana con la «veggente» Norma

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Suggestiva serata belliniana con la «veggente» Norma

FIUME | È stata accolta calorosamente la première di “Norma”, ultimo titolo nella stagione lirica 2017-2018 andato in scena lunedì sera al Teatro Nazionale Croato “Ivan de Zajc” di Fiume, con la direzione del Maestro ospite Stefano Rabaglia e la direzione artistica del celebre mezzosoprano Dunja Vejzović. È da un po’ di tempo che gli spettacoli del Teatro fiumano vengono frequentati, oltre che dal pubblico nostrano e zagabrese, pure da spettatori “esteri” – inglesi, ungheresi, rumeni, tedeschi, asiatici, italiani – ed è molto piacevole, durante le pause, sentire questo chiacchiericcio “da Babilonia” che fa molto “Europa culturale” – invece della solita Europa politica delle élite. Tale realtà ci pare di buon auspicio e ottima ouvertire al fatidico 2020, nel quale Fiume – già protagonista industriale della Mitteleuropa e città di prestigiosa tradizione operistica – si presenterà al vecchio continente con tutte le sue risorse creative e artistiche.

Apoteosi della melodia belcantistica e fremente di drammaticità, “Norma”, tragedia lirica in due atti fu scritta su libretto di Felice Romani, tratto dalla tragedia Norma, ou “L’infanticide” di Louis-Alexandre Soumet (1786-1845).
Composta in meno di tre mesi, nel 1831, fu data in prima assoluta al Teatro alla Scala di Milano il 26 dicembre dello stesso anno, inaugurando la stagione di Carnevale e Quaresima 1832. Quella sera l’opera, destinata a diventare la più popolare tra le dieci composte da Bellini, fu accolta freddamente a causa, tra l’altro, della severità della drammaturgia e dell’assenza del momento più sontuoso, il concertato, che tradizionalmente chiudeva il primo dei due atti. Alla seconda recita invece fu festeggiata come si addice a un capolavoro. Musa ispiratrice di “Norma” fu la leggendaria Giuditta Pasta, che incantava con il suo stile “sublime aulico”.

L’irresistibile forza delle passioni

“Norma” è stata paragonata, a ragione, alla mitica Medea euripidea per irresistibile forza delle passioni – che fatalmente trascinano la sacerdotessa druida alla tragedia finale – per la classica perfezione della forma e la drammaticità degli accenti, elementi che richiamano la cultura architettonica e la drammaturgia dell’Antica Grecia. Tale opera, per la trasparenza della partitura, per i virtuosismi belcantistici, il vigore dei “recitativi” rappresenta una grande sfida per i cantanti in quanto li mette a nudo, ossia nell’impossibilità di “barare”.
Lo spettacolo fiumano rivela chiaramente il nitore concettuale dell’insieme. La regia sapiente fa un tutt’uno con la musica, con la scenografia severa, imponente e funzionale – il merito va a Christian Romanowski, che firma la regia, le scene e le luci – e con i costumi quanto mai appropriati di Dženisa Pecotić.
La risultante è una creazione in cui l’essenziale logica della tradizione e la stilizzazione della modernità si fondono in maniera esemplare in un fatto artistico di forte coerenza e suggestione.
Norma è un personaggio estremamente complesso. Creatura ctonia (è madre e amante), e creatura cosmica (gran sacerdotessa, iniziata al culto di Irminsul), va dai teneri sentimenti materni e amicali, alla disperazione e gelosia di donna tradita, alle passioni più estreme e alle furie omicide.
La soprano ospite Daria Masiero, artista di chiara esperienza, ha tracciato codesto personaggio in maniera coerente e partecipata, esternando la sua cultura musicale nel fraseggio ordinato e nelle agibilità, valide ma non sempre “cristalline”. L’artista si è fatta apprezzare nella leggendaria “Casta Diva”, capolavoro assoluto e ineguagliabile di lirismo melodico. Tuttavia il personaggio di Norma richiede una voce da soprano drammatico, corposo e squillante, qualità che non abbiamo riscontrato in Daria Masiero; inoltre, l’avremmo voluta più “tigre”, più aggressiva in certi punti. Peccato che in “Casta Diva” – e qui chiamiamo in causa la regia, oltre che l’interpretazione – non si riesca a creare quel clima di magia metafisica (ma dov’era la Luna, la deità quivi venerata?), di allucinata spiritualità pagana. “Casta Diva” è tutta una crescente invocazione la cui estasi mistica viene raggiunta nei “sospiri e singulti” della parte centrale, con i melismi di semitono e cromatici. Il ruolo della giovane Adalgisa si adatta molto bene al mezzosoprano lirico di Diana Haller, la cui sentita interpretazione e il suo talento scenico hanno conquistato il pubblico. Il fraseggio morbido, l’emissione vocale fluida, le colorature pulite e il consistente registro grave sono le peculiarità della sua esecuzione che la rivelano come affidabilissima interprete belcantistica.
Il tenore italiano Mario Zeffiri (Pollione), scenicamente molto valido, si è distinto per il registro medio e grave molto sonoro e robusto, mentre ha palesato difficoltà nel passaggio dalla tessitura media e quella acuta. Buona impressione ha fatto pure Slavko Sekulić nella parte di Oroveso, il quale è cresciuto in senso tecnico, musicale e della dizione. Continui così.
Nei ruoli comprimari hanno partecipato Emilia Rukavina (Clotilde) e Matej Predojević Petrić (Flavio).
Bravo il coro del Teatro – istruito da Nicoletta Olivieri e Domenico Briški –, compatto e timbricamente ricco, al quale si è aggiunto pure il coro dell’Accademia musicale di Pola. L’eccellente Maestro Stefano Rabaglia ha fatto gustare pienamente lo spirito belliniano, plasmando l’orchestra al canto e al fraseggiare tornito, agli slanci drammatici, dosando puntualmente il rapporto tra le parti e con il palcoscenico. Ottima l’orchestra, sempre pronta ed espressiva.
Il pubblico ha generosamente remunerato tutti gli artisti.

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