Storia della Dalmazia «Va recuperata e rivista in chiave attuale»

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Storia della Dalmazia «Va recuperata e rivista in chiave attuale»

FIUME | È Dario Saftich il laureato del Premio giornalistico “Paolo Lettis” del Concorso d’Arte e Cultura “Istria Nobilissima”, edizione 2018. È la quarta volta che il giornalista e commentatore de “La Voce del Popolo” si presenta al Concorso principe della nostra realtà comunitaria. L’aveva già fatto nel 1999, nel 2001 e nel 2015, anno in cui ottenne il primo premio per un estratto dei migliori editoriali pubblicati sul nostro quotidiano. In quest’ultima edizione la commissione gli ha assegnato il premio per il miglior lavoro giornalistico con la seguente motivazione: “per l’attento lavoro svolto sul territorio e in particolare nell’area dalmata e la puntuale analisi di un fenomeno di grande attualità come quelle dei migranti, con citazioni dell’epoca. Editorialista di spicco de ‘La Voce del Popolo’, evidenzia nei suoi interventi anche le realtà meno note del territorio fiumano-dalmata”. Il riconoscimento ottenuto al Concorso è stato un’ottima occasione per porgli delle domande e approfondire i temi affrontati negli articoli premiati.

Secondo lei, qual è il valore che possiede il Premio giornalistico “Paolo Lettis” di Istria Nobilissima?

“Considero il Premio di fondamentale importanza dal momento che permette agli articoli premiati, con i loro determinati temi che altrimenti cadrebbero nel dimenticatoio, di avere una sorta di coda lunga. Ovvero di avere un proseguimento dopo l’effimera durata quotidiana dovuta al giornale. Questa ‘nuova vita’ permette inoltre di riflettere su quello che è accaduto con l’occhio rivolto al futuro”.

Quali sono i temi che ha affrontato negli articoli premiati?

“Ho aderito al Concorso con una serie di articoli riferiti all’attualità politica e alla storia della Dalmazia. Quest’ultima rappresenta una storia troppo spesso omessa nell’ambito della Comunità Nazionale Italiana soprattutto per motivi ideologici. Una storia che, a mio avviso, va recuperata e rivista, anche in chiave di un’interpretazione attuale. Dobbiamo farlo per cercare di trarre insegnamento da quello che sono state le vicissitudini di una regione dove la componente italiana ha sofferto più che in altre zone. Infatti, proprio in Dalmazia si sono verificati i primi fenomeni d’esodo della popolazione italiana dall’Adriatico orientale. Sono discorsi che s’inseriscono poi nell’ottica stessa delle migrazioni, perché tutti questi sconvolgimenti etnici verificatisi nelle nostre regioni hanno portato ad altri fenomeni migratori”.

Qual è l’insegnamento che possiamo trarre da tutto ciò?

“Se guardiamo all’intera immagine da una certa distanza storica, possiamo accomunarlo come un unico fenomeno che ha portato a grandi cambiamenti nel passato e che probabilmente si ripeteranno anche nel futuro. Basti pensare alla Rotta Balcanica, alle scene al confine tra la Croazia e la Bosnia ed Erzegovina, dove i migranti si radunavano, e alle peripezie per procedere attraverso le maglie della polizia. Questa situazione va collocata in un contesto storico, ricordando l’epoca in cui gli emigranti eravamo noi – ad esempio gli esuli che sono emigrati nelle Americhe –, e anche ricordando il fatto che Fiume, nel passato, è stata un importante snodo di transito di flussi emigratori d’oltreoceano. Un insieme di situazioni che alla lontana fanno rivivere quella che è l’emergenza migratoria alla quale assistiamo ai giorni nostri. Ho cercato, quindi, di contestualizzare quello che è avvenuto nel passato con quello che accade e anche con ciò che potrebbe avvenire nel futuro. Soprattutto in un momento di calo demografico nelle nostre regioni. E per il quale, per forza di cose, occorre una strategia d’importazione di mano d’opera dall’Est Europeo, come in parte sta già avvenendo, ma anche da zone più lontane, come avviene nei Paesi dell’Europa Occidentale. Il quadro completo va inserito poi, in quello che sono i complessi rapporti etnici in queste terre, che in futuro, con larga probabilità, diventeranno ancora più complessi con l’afflusso di genti da altri continenti”.

Un altro argomento degli articoli premiati sono quelli storici riferiti alla CNI?

“Sono testi che affrontano il problema del bilinguismo e di quello che sono gli odonimi storici di Fiume. Una questione che circa un anno e mezzo fa, è ritornata alla ribalta. Il primo evento è stato la tavola rotonda a Palazzo Modello, a cui hanno partecipato nomi di rilievo e che ha lasciato un segno tangibile su quelli che sono ora gli sviluppi della situazione”.

Penna critica e osservatore attento per tutte le questioni legate alla CNI, come ha vissuto le parole “Viva Trieste, viva l’Istria Italiana, viva la Dalmazia Italiana” di Antonio Tajani?

“Per chi è abituato alla terminologia dell’Europa Sudorientale, le parole di Tajani possono essere parole controverse, anche se possono essere interpretate in maniera diversa. All’epoca del socialismo eravamo abituati all’uso del genitivo, del complemento di specificazione. Non si diceva il ‘popolo croato’ per gli abitanti della Croazia, ma si diceva invece, ‘i popoli della Croazia’. Nella Jugoslavia multietnica occorreva quindi utilizzare un determinato linguaggio di circostanza. Questa terminologia con la caduta dei muri, ha subito delle modifiche, ma fino a certo punto. Dalle nostre parti è rimasta una certa attenzione eccessiva per l’uso dell’aggettivo, che all’epoca socialista era vista come qualcosa di pericoloso, come qualcosa di nazionalistico – lo stato croato, il popolo croato –. Questa eccessiva attenzione pervade ancora sempre nelle sfere politiche del Paese e, molto probabilmente, ha contribuito anche a dare una chiave di lettura alle parole di Tajani che forse è sproporzionata. Presa alla lettera si può interpretare in tutte le maniere. È una dimostrazione di quanto occorre porre tanta e delicata attenzione quando si parla di sensibilità di altre culture e popoli che non sempre interpretano le stesse parole alla stessa maniera”.

Come vede la nostra realtà comunitaria; qual è il suo problema principale?

“Il problema della minoranza italiana è un problema di lingua a contatto. È chiaro che chi appartiene a una minoranza linguistica si trova sempre nella situazione di dover fare i conti con le interferenze linguistiche e dialettali. Nel nostro caso, tutti gli appartenenti alla minoranza sono bilingui, ma oltre a ciò c’è il problema o vantaggio della diglossia, ovvero il rapporto lingua-dialetto.
Questo può essere visto come un problema, ma anche come un arricchimento. Sicuramente si pone la questione della presenza dell’italiano nell’ambiente sociale, per la quale non si è riusciti a passare da quello che sono le cose scritte nei documenti bilaterali, al bilinguismo reale che faccia dell’italiano una lingua parificata anche nell’uso pubblico”.

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