È Bruno Paladin il laureato del Premio Romolo Venucci – Categoria Arti Visive del Concorso d’Arte e Cultura “Istria Nobilissima”, edizione 2018. Personaggio eclettico, creativo e curioso, Paladin è uno degli artisti che ha ottenuto il maggior numero di premi e menzioni al Concorso principe della nostra realtà comunitaria. Ha al suo attivo più di 20 riconoscimenti. La sua arte, oltre alla pittura, scultura e ceramica, si estende anche alla grafica, al design, alla scenografia, alla creazione di burattini e maschere. Dal 1973, anno che segna l’inizio del suo percorso artistico, Paladin ha esposto in una settantina di mostre personali e in circa cinquecento mostre collettive in Croazia e all’estero. Ha partecipato anche a numerosi simposi, colonie e conferenze sia nazionali sia internazionali che definisce “una fucina d’oro, fonte d’ispirazione per creare momenti nuovi” nella sua creatività.
All’ultima edizione di Istria Nobilissima, l’artista connazionale si è imposto con il trittico “Possibili divisioni del territorio II”. Nella motivazione al premio si legge “La difficoltà scontata di controllare la tecnica dell’acquarello si esplica eccellentemente nella vibrazione del segno, quanto della superfice pittorica”. Abbiamo incontrato il pittore fiumano nel suo atelier dove ci ha raccontato non solo le particolarità dell’opera premiata ma ci ha fatto anche un breve resoconto della propria attività professionale e artistica, raccontandoci così anche molto di sè.
Lei vanta una partecipazione a Istria Nobilissima di lunga data. Cosa l’ha spinto a candidarsi la prima volta?
“Partecipai la prima volta nel 1977, con un quadro che aveva come tematica le maschere. La tecnica era china bianca su sfondo nero a cui seguiva un procedimento al quale aggiungevo consistenti gradualità di colori che a loro volta donavano all’opera un insieme di forti contrasti. Scelsi di prenderne parte perché ero profondamente attratto dall’ambiente culturale. La mia prima partecipazione fu caratterizzata dalla menzione onorevole che influì sulla mia decisione a occuparmi seriamente di pittura”.
Che cosa contraddistingue la sua arte?
“Tento di non ripetermi mai. Cerco sempre di portare avanti un discorso di ricerca. Sono tra i pochi artisti che si confronta con pittura, grafica, ceramica e design, perché mi piace avere la possibilità di poter sperimentare”.
All’ultima edizione è stato premiato per l’opera “Possibili divisioni del territorio II”. In che cosa consiste?
“La storia ci insegna che per certi territori, che spesso hanno una piccola influenza geopolitica e commerciale, gli Stati coinvolti nella disputa sono arrivati ad abbracciare le armi piuttosto che dialogare. Siamo anche testimoni, purtroppo, di come la storia si ripeta. Sia in Croazia con il contenzioso sui confini con la Slovenia, sia in altre parti del mondo. Sono tutte situazioni che possono portare a conflitti, e pertanto condizioni con una certa dose di psicosi che intacca il livello psicologico delle persone diffondendo un senso d’incertezza e di precarietà. Tutto ciò inevitabilmente influisce anche su di me, sul mio stato d’animo, cosa che si riflette sulla mia espressione artistica. Le opere premiate consistono in una geometria del paesaggio immaginario osservato da una visuale dall’alto, come quelle aeree. Il procedimento consiste nello ‘scomporre’ questo piano pittorico per montarlo poi in un’altra composizione, che diventa così geometrica e astratta. I risultati di tale metodo artistico sono molto interessanti perché creano delle forme particolari”.
Qual è la tecnica utilizzata?
“È quella dell’acquarello su carta. Ho adoperato però non la carta tradizionale ma una particolare riciclabile, che viene impiegata come isolante da porre sotto il pavimento. Per renderla quanto più adeguata ad assorbire i colori ad acquarello, ho realizzato un impasto come base che offre la possibilità di avere degli effetti completamente diversi da quelli che di solito la carta tradizionale per acquarello comporta. Infine, ho tratteggiato le linee di demarcazione con dei fori. Anche qui, sempre grazie alla particolarità della carta, ho avuto dei risultati molto interessanti. Con questi metodi e le relative tecniche ho realizzato complessivamente una trentina di lavori, di cui ho scelto tre opere per il Concorso ‘Istria Nobilissima’”.
I suoi precedenti lavori erano caratterizzati da un’energica presenza di colori. Ha cambiato la sua prospettiva artistica del mondo?
“È certamente cambiata. Nel profondo rimango un’ottimista, però la realtà attuale prevale. Di conseguenza la visione è bianco-nera. Sono innamorato del colore, ed è una costante nel mio percorso artistico. Però l’utilizzo del colore dipende dallo stato d’animo in cui mi trovo, e dal mondo che mi circonda. Quella attuale non è una visione pessimista, continuo a essere ottimista, perché nel profondo sono un sognatore”.
Quando avvenne questo cambiamento?
“Un primo distacco dalla vivacità del colore è accorso circa 25 anni fa, con la serie ‘Segnisimboli babilonesi’, che in pratica era il risultato di quello che stava accadendo nell’ex Jugoslavia, con il disfacimento e gli avvenimenti bellici. In quelle opere il colore era scomparso, i quadri erano diventati monocromatici, anche qui scomponevo l’opera in parti, scambiando a caso i piani pittorici, sui quali continuavo a dipingere. Il risultato era un’opera astratta. Erano astrazioni geometriche, legate alle incomprensioni, all’impossibilità di comunicare. Quadri che presentavano lettere, o parti di esse, dell’alfabeto latino, cirillico, greco e arabo”.
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