Senza l’amore non si è niente

Francoise Truffaut, registra francese di fama internazionale, innovatore e ispiratore di sogni...

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Senza l’amore non si è niente

L’adorazione per il regista Francoise Truffaut, nel mio caso, è nata in modo del tutto impulsivo, esattamente come lui racconta sia accaduta la sua infatuazione per il cinema: a sette anni, cresciuto dai nonni, marinava la scuola per chiudersi nelle sale dei cinematografi e guardare i suoi maestri, Hitchcock, Ford, Renoir… Nel mio caso, a quattordici anni, all’epoca di VHS, godevo del calore familiare e decisi di adottarlo anche come “maestro di vita”. Si spalancò davanti ai miei occhi una vetrina di conoscenza sulle relazioni umane, ma anche sul mondo del cinema, sugli attori e sul misterioso universo femminile.
Le sue “lezioni” erano un balsamo di vita che aveva la sua “somministrazione” a cadenza settimanale con i film su supporto VHS del quotidiano l’Unità e i relativi allegati critici sull’opera e la vita dell’autore. Occorre precisare che nel 1990 ero un ragazzino introverso, sempre di corsa sulla mia bicicletta in compagnia del mio amico occhialuto Giuseppe e studente presso un liceo scientifico religioso di Parma. Poter guardare il miglior cinema d’autore su nastro magnetico e per pochi soldi era semplice: bastava ingurgitare meno merendine e investire nell’edicola sotto casa. Qualche minuto dopo la mia camera si trasformava nella più bella sala di cinema d’essai.

 

Il gioco degli specchi
Quell’anno fu alquanto turbolento a causa delle incomprensioni con i miei professori laici e religiosi e anche con i miei genitori. Della vita e dell’amore non capivo proprio nulla, se non che fossero questioni di una certa complessità. Il mio desiderio di trasgressione restava solo un’idea chiusa nel mio cranio e volevo intaccare, sporcare quell’immagine da “bravo ragazzo”, ma ero come paralizzato. Figuriamoci l’idea dell’amore e la scoperta del sesso opposto: una nebulosa chimera. Messi in soffitta i vecchi miti di Bruce Lee e Che Guevara che non avevano prodotto in me risultati di alcun tipo forse potevo fare un passo indietro e almeno tentare di chiarire qualcosa sulla vita per riflesso, attraverso le opere del maestro Truffaut. D’altronde di questo trattavano i suoi film: un continuo gioco di specchi tra autobiografia, mondo letterario e cinema stesso.

Il percorso ideato e proposto dal quotidiano, l’Unità, iniziò proprio col racconto più biografico che descrive la sua infanzia nel film dal titolo “I 400 colpi”. Una trasposizione delle sue gesta da piccolo delinquente per scappare dalla vita familiare, i problemi con la scuola e il conforto trovato nel chiudersi per ore nelle sale del cinematografo. Mi ricordava un po’ la mia situazione e questo rendeva il piccolo protagonista vicino. Apprezzai il suo coraggio. Da quel capolavoro presi l’abitudine, anche negli anni successivi, di recarmi al cinema da solo e di apprezzare il senso di protezione e appagamento che ne deriva. Truffaut realizzerà in seguito tutto un ciclo di film che descriveranno molti dettagli biografici della sua vita attraverso il suo alter ego, il piccolo attore Jean-Pierre Léaud con il personaggio di Doinel. Avevo davanti ai miei occhi un bellissimo romanzo di formazione in movimento a 24 fotogrammi al secondo.

Francois Truffaut

Autobiografia e film
Consumavo metri di nastro magnetico apprezzando questo suo coraggio di trasformare il materiale personale, contaminarlo con i soggetti letterari e impressionarlo su pellicola e farne quei capolavori ad uso di dominio pubblico rivisitando i generi del noir, del giallo e della commedia. In sua compagnia vivevo storie di delinquenza infantile, di abbandono materno, dell’amore in tutte le sue sfaccettature, ma anche sull’amicizia, la crescita, il matrimonio, il divorzio, il dolore per la fine dell’amore, l’omicidio, la morte, la xenofobia, il parto, il dubbio, e tanto sull’universo femminile. Pur nella confusione regnante, mi era finalmente chiara una cosa: la propensione del maschio adulto di rincorrere ideali e donne, senza mai capirle e in una spirale dall’esito doloroso. Non per niente Truffaut ha realizzato un film intitolato “L’amore fugge”, in cui non è mai del tutto chiaro se il protagonista insegue l’amore o ne è inseguito e se in fondo ci sia un lieto fine.

Legami autentici
Sempre di corsa, anche nei “400 colpi”, il piccolo Antoine Doinel mandato in un istituto per delinquenti minorenni, per aver rubato una macchina da scrivere, scappa e fugge lungo la spiaggia. Non è chiaro se stia scappando dalla governante, dalle autorità o se stia cercando di tornare dalla madre… Il regista non fornisce una risposta a riguardo. In film come “Jules e Jim”, “Le due inglesi” e “Finalmente domenica”, Truffaut esplora le profondità dell’amore e che cosa significa veramente trovare e sviluppare un legame autentico con qualcuno. La sua fede nelle condizioni umane e nella forza delle nostre relazioni è l’ispirazione finale di questi film.

Molti dei suoi film trattano le relazioni amorose uomo-donna, ma anche quelle tra ragazzi che spiano il mondo dei grandi, “I Monelli” ad esempio. Non mancavano i “triangoli amorosi”, come “Jules e Jim”, ma anche i triangoli speculari come nella “Calda amante”, fino a ritrovare Doinel in “Baci Rubati”, ora ventenne, che va a letto al contempo con una coetanea, con una donna sposata e con delle prostitute.

Mettersi in discussione
Tutt’altro quindi che di morale comune è fatto il cinema di Truffaut, che assecondava le mie aspettative di ragazzino nell’imbattermi prima o poi in qualche scena di nudo che non si presentava mai. Sul più bello il bacio s’interrompe o i volti sono coperti. Francoise Truffault aveva le sue ragioni stilistiche; quelle scene avrebbero distratto e rallentato il ritmo della narrazione. Nel mio caso aumentavano la frustrazione, perché rapito da quel mondo m’immedesimavo nel ruolo del protagonista maschile e non potevo manifestare indifferenza per la bellezza di Jeanne Moreau, Catherine Deneuve e della mia preferita, Fanny Ardant.

Francois Truffaut e Alfred Hitchcock

Critico o regista?
La passione di Truffaut per il cinema, visibile in ogni inquadratura, era così forte che scrisse la sua dichiarazione d’amore con un film del 1973: “Effetto Notte”. La storia di un regista, interpretato da Truffaut stesso, impegnato a risolvere le numerose difficoltà che incontra mentre cerca di portare a conclusione la sua opera. Nel film come nella sua vita, la capacità di mettersi in discussione, di lavorare con passione a ogni suo progetto e di rendere possibile e normale ciò che ci fa sentire incompresi è un dono che ha lasciato ai suoi attenti spettatori. Quando gli è stato chiesto se da ragazzino pensava di voler fare il critico cinematografico o il regista, rispose: “Non lo so. So solo che volevo avvicinarmi sempre di più al cinema”. Così con tanta incoscienza e con quella frase nella testa, l’anno seguente, finita la maturità studiai tutta l’estate per partecipare al concorso della Civica scuola di Cinema di via Ariberto a Milano, corso di regia, e per entrare alla scuola d’attore al Piccolo Teatro.

Fonte d’ispirazione
La fortuna giocò a mio vantaggio e superai entrambi i concorsi a distanza di tre mesi. Cosa dovevo scegliere? Mi dissi che a stare dietro la camera avrei fatto sempre in tempo… In questi giorni ho rivisto il documentario del 2016: “Quando Truffaut incontrò Hitchcock”. Costruito sul materiale audio della famosa intervista-maratona del ‘62 presso gli studi dell’Universal e combinato con recenti materiali video. Sentire le loro voci piene di passione nell’affrontare i loro progetti e i temi legati al cinema è stata un’autentica gioia e ancora una volta fonte d’ispirazione verso nuovi avvicinamenti, perché “senza l’amore non si è niente”.

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