Racconti fiumani tra fantasia e realtà. Un lama in Circolo

0
Racconti fiumani tra fantasia e realtà. Un lama in Circolo
Foto: Florinda Klevisser

Come possiamo gestire le questioni dell’ego?”.
A questa domanda seguì un attimo di silenzio. Tutti in sala pensavano al proprio io e a quanti problemi gli stava causando, perfino nelle più semplici delle attività. Il silenzio dell’interprete non derivava da vorticosi pensieri su sé stesso, ma perché cercava una parola adatta a tradurre questo concetto così astratto per un lama, un monaco tibetano che all’ego aveva rinunciato molti decenni prima.
“Scusi, ma cosa intende con precisione? In tibetano non c’è una parola per indicare l’ego e non so come tradurla per rendere nel migliore dei modi la sua domanda”.
Intervennero più persone per spiegare cosa volevano sapere dal monaco, ognuno approfondendo la precisione scientifica dell’intervento precedente, e la risposta che ne derivò fu per molti di loro parziale. In terza fila, un volto si illuminò nel sentire la domanda che esprimeva esattamente quello che voleva sentire. O meglio, che voleva che qualcun altro sentisse.
Il succo della risposta prolissa del monaco fu che dal pensare solo a sé stessi nascevano tutti i mali della mente. Una verità tanto semplice quanto complessa, soprattutto in un mondo in cui si è sempre troppo presi dai propri problemi o interessi.
Dalla terza fila, lui la guardava. Osservava ogni movimento del suo corpo per capire se le parole del monaco sortivano l’effetto sperato. Lei era attentissima. Ma già dopo pochi istanti il suo sguardo iniziò a vagare tra gli stucchi dorati d’ispirazione viennese della sala.
“No. Concentrati. Ascolta Rinpoche-La”, pensava cercando di mandarle un messaggio telepatico. Osservava con disappunto la reazione della ragazza, sempre più assente. Evidentemente non aveva capito quanto era importante quello che stava spiegando il monaco. E quanto era importante per lui che lei capisse! Quell’egocentrica! Era un’occasione unica per farle rendere conto che doveva guardare al di là dei propri stessi programmi e che farebbe bene a girarsi nella sua direzione, dove lui l’aspettava, ormai da tempo. Era sempre più convinto che era proprio per il suo egocentrismo che si occupava di mille attività inutili nelle quali lui, imperterrito, continuava a seguirla. Era così che era finito lì quel giorno, nella Comunità degli Italiani di Fiume, un luogo per lui nuovo, anche se era nativo della città e anche se l’argomento non lo interessava minimamente. Continuava a guardarla rapito dalla sua bellezza, che ben si sposava con l’eleganza degli stucchi barocchi di quel Salone delle feste di fine Ottocento. Il monaco, intanto, continuava a intonare parole semplici d’amore e compassione, che creavano un’energia armoniosa tra i presenti, affascinati dalla calma e dalla serenità di questo essere quasi sacro, venuto da Dharamsala a Fiume solo per loro. Era uno dei monaci di fiducia del Dalai Lama, istruito in anni di duro lavoro per diffondere le dottrine del buddismo tibetano. Aveva il tipico aspetto da monaco buddista: testa rasata e kesa rossa arancione arrotolata sapientemente intorno al corpo tonico e d’età indefinibile. Parlava di felicità e di come ottenerla, superando le varie difficoltà che si incontrano nella vita. Quello che raccontava con parole semplici e facilmente comprensibili derivava da oltre duemila anni di studi e riflessioni. Stava impartendo ai presenti i fondamenti della neuroscienza buddista, che per molti avrebbe rappresentato una vera e propria svolta nel modo di affrontare la vita (e la pandemia che si stava per scatenare nel mondo). La lezione, ben otto ore di fila tra spiegazioni teoriche e risposte alle domande più disparate (dai perché della vita a quelli della morte), stava volgendo al termine. Ne indicava la prossimità lo scricchiolio delle sedie sulle quali gli studenti si stavano preparando al rito finale, prendendo una postura corretta con la schiena ben diritta. Era arrivata l’ora della meditazione dei nove respiri, con i quali in pochi minuti veniva ripulita la mente dai pensieri negativi in una pratica di igiene mentale. Come al solito, ad essa era seguita una sequenza di semplici esercizi di yoga, che facevano da seduti. Alla fine erano tutti energizzati e scoppiarono in una bella risata finale che riecheggiò nella sala (anche perché l’ultimo esercizio prevedeva di scuotere energicamente le mani al cielo ed era piuttosto buffo da vedere).
Era ormai sera. Le si avvicinò. A un orecchio le sussurrò un invito a cena, in un ristorantino in zona in cui andavano spesso a mangiare il brodeto di pesce immergendovi pezzi di polenta, magari abbrustolita. Lei si scostò bruscamente.
“Scusa, ma non ne ho voglia. Ho imparato troppe cose importanti, voglio fare una passeggiata sul Molo longo per riflettere. Se vuoi vieni anche tu”.
A lui bastava passare del tempo con lei, accettò e sorrise. Alla fine, tanto si faceva sempre quello che voleva lei, quell’irresistibile egocentrica. E lui voleva soltanto passare dell’altro tempo in sua compagnia. Non chiedeva altro. Mentre aspettava con impazienza di lasciare quel bellissimo palazzo, realizzato a fine Ottocento dagli architetti più famosi del tempo, Fellner e Helmer, si guardò intorno. Quel Salone delle feste era meraviglioso. Parlava di tempi d’oro in cui Fiume era all’apice della sua fortuna economica e immaginava le feste che qui si facevano un secolo prima quando il palazzo ospitava la Cassa di Risparmio e il Casino Patriottico. Quello che non sapeva è che ancora oggi qui si balla e vengono organizzati concerti e conferenze per gli italiani che ancora vivono in città e per tutti i simpatizzanti della lingua e della cultura italiana.
I pensieri lo portarono a fantasticare sulla passeggiata che li aspettava. Adorava la vista della città dal Molo longo, lungo anche di fatto e non soltanto di nome e, in più, alquanto romantico. In fondo, gli era andata più che bene. Si sentiva eccitato all’idea e si era avviato verso l’uscita canticchiando mentalmente.
“Ciao ragazzi. A domani!”.
“Ma no, veniamo anche noi. Aspetta che finiamo di sistemare e andiamo tutti insieme”.
Lei non aveva nemmeno sentito quella conversazione tant’era assorta nello spostare le sedie insieme a quel suo amico, quello che aveva organizzato il seminario. Lo guardava e rideva, come non faceva mai con lui. La gelosia lo prese a schiaffi e si sentì tradito.
“Che faccio? Non posso rinunciare ora. Ma che fame! Posso resistere. Camminare mi farà bene. E poi la tengo d’occhio. Quello lì potrebbe approfittare di ogni mia distrazione! Ma no, lui non la considera. Posso stare tranquillo. Ma sei pazzo? Chi vuoi che non si accorga di quant’è bella e poi è uomo e tutti gli uomini sono uguali, se vedono l’occasione si buttano…”. Era come se due parti del suo essere stessero bisticciando nella sua testa. Il suo essere affamato e il suo essere innamorato e gelosissimo. Altro che controllo mentale. Forse non aveva ancora assimilato bene quelle pratiche, che gli sembravano così semplici a dirsi.
Prima di rendersene conto, erano tutti fermi ad ammirare l’aquila bicipite quasi nascosta sotto le scale all’ingresso del palazzo e un attimo dopo stava già passeggiando, visibilmente imbronciato, sul Molo longo insieme a una decina di persone che chiacchieravano allegramente discutendo le cose che avevano imparato. E poi, in un lampo, avevano già percorso avanti e indietro i 1.707 metri della diga foranea ed erano fermi davanti al terminal passeggeri1, da dove partivano i traghetti per le isole del golfo del Quarnero. Era il momento che attendeva. Ora l’avrebbe riaccompagnata a casa e sarebbe tornata a essere solo sua.
“Ciao ragazzi, ci vediamo domani. Non vedo l’ora!”.
Era sempre più impaziente. Le si avvicinò e quasi si scontrarono. Lei gli diede un bacio sulla guancia e gli disse con candore: “Ciao, a domani. Sempre alle 9, non ti addormentare mi raccomando”.
Lo trattava come un ragazzino! E chi si credeva di essere!
“Dai, ti riaccompagno a casa così parliamo un po’, tanto abitiamo vicino”. “Scusa, ma vado a dormire dal mio ragazzo. Sai che io e Carlo stiamo insieme, vero? È stato veramente bravo a organizzare tutto questo bell’evento e domani veniamo un po’ prima così prepariamo la sala. Grazie per essere venuto e buonanotte. A domani”.
Rimase a guardarla ammutolito. Nella sua testa sentiva il rumore di un treno che stava per travolgerlo e il treno c’era veramente, anche se era dall’altro lato di quello specchio di mare. Vedeva la locomotiva all’altezza del Molo Carolina. Fiume era una delle poche città in cui un treno merci attraversava tutte le sue rive. Ai fiumani piaceva. Forse perché ricordava loro i bei tempi delle industrie fiorenti o semplicemente per l’indiscutibile fascino esercitato dai treni.
“Ciao”, disse, con voce traballante, ma lei era già lontana e la sentiva ridere camminando abbracciata alla persona sbagliata. Invece di riprendere a camminare, si sedette su una bitta a osservare la città che si rifletteva con mille luci colorate nel mare. Davanti a lui erano ormeggiate delle barche a vela, alcune da competizione, poi c’erano i motoscafi e dietro a loro i mega yacht che da qualche anno attiravano l’attenzione di chi passeggiava sulle rive. Erano uno più bello e più lussuoso dell’altro. Poi, dietro a loro, c’erano dei palazzi di prestigio di fine Ottocento e inizio Novecento, con le loro decorazioni che attraverso simboli parlavano del mare e della marineria che tanta importanza hanno per la città. Dietro ancora, s’intravedeva il resto della Cittavecchia e dei rioni che s’inerpicano sui colli. Si vedevano benissimo Belvedere e Cosala, con la chiesa il cui campanile a punta era stato ispirato dai cipressi del vicino Cimitero monumentale. I dettagli diventavano sempre più nitidi al suo sguardo e come aumentava la sua attenzione, così anche la sua mente diventava più chiara e il pensiero più nitido. Stava tornando a essere sereno. D’un tratto gli comparvero nella mente varie scene che riguardavano la ragazza e guardò come in un film il loro rapporto. Ci teneva alla loro bellissima amicizia. Domandandosi se gli sarebbe mai bastata, s’incamminò verso casa dove in frigo aveva una bella marinada, la versione fiumana delle sarde in saôr. Il pensiero del loro sapore un po’ acidulo, ma così buono, soppiantò quello di lei.
“Ha proprio ragione il monaco. In fondo siamo persone semplici e lo stesso vale per i nostri bisogni. E io, ora, ho proprio bisogno di mangiare! E poi… domani è un altro giorno!”.

1 Per Circolo s’intende la Comunità degli Italiani di Fiume, nella quale nel febbraio del 2020 Geshe Lobsang Choegyal Rinpoche (nella foto sopra) ha tenuto un Seminario di due settimane sulla neuroscienza buddista
2 Ora sede della Lürssen Design Center Kvarner

Tutti i diritti riservati. La riproduzione, anche parziale, è possibile soltanto dietro autorizzazione dell’editore.

L’utente, previa registrazione, avrà la possibilità di commentare i contenuti proposti sul sito dell’Editore, ma dovrà farlo usando un linguaggio rispettoso della persona e del diritto alla diversa opinione, evitando espressioni offensive e ingiuriose, affinché la comunicazione sia, in quanto a contenuto e forma, civile.

No posts to display