«Quando canto rivelo me stessa, il mio essere»

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«Quando canto rivelo me stessa, il mio essere»

TRIESTE I Tamara Obrovac a Trieste Estate: l’artista di Pola si esibirà il 21 agosto alle ore 21 al Bastione rotondo del Castello di San Giusto, accompagnata dai musicisti del suo quartetto, Matija Dedić al pianoforte, Zvonimir Šestak al contrabbasso e Krunoslav Levačić alla batteria. Artista poliedrica, flautista, compositrice, anima di diverse formazioni musicali, mescola il folk alla musica classica, alle improvvisazioni jazzistiche, che insieme riassumono il suo percorso formativo e che l’hanno portata a esibirsi con grande successo in tutto il mondo. Ma entriamo nella sua Istria, nella sua storia di artista, attraverso la sua stessa voce…

Come scopre la passione per la musica la ragazzina Tamara a Pola?

“A casa nostra non si suonava e non si cantava, ma ero circondata dalla musica che è tradizione locale, sentivo la vicina di casa che accompagnava con la voce le faccende domestiche. La passione è sbocciata a scuola dove, in prima elementare, la mia brava insegnante Klunić, ci faceva cantare in coro ed era bellissimo. Poi un giorno aggiunse la seconda voce e io pensai a qualcosa di divino, di irraggiungibile. Al momento credetti che fosse lei a cantare tutte e due le voci e ne rimasi affascinata. Questa rivelazione ha continuato a crescere in me, era la mia strada”.

Che cosa significa comunicare attraverso le note?

“Le note, intese come scrittura, sono uno strumento di comunicazione, non possono rivelare tutto il mondo musicale, ma aiutano a esprimere ciò che abbiamo dentro. Sono un canovaccio al quale va aggiunto il valore intrinseco della comunicazione vera e propria. Comunicare la realtà, la sincerità, la verità interiore, le emozioni. Le note sono una traccia, tutto il resto viene da sé”.

Perché l’importanza del riferimento all’idioma locale, l’istriano, come punto di partenza e ispirazione?

“La musica del linguaggio è l’altra componente della sincerità che cercavo. Quando canto rivelo me stessa. E io chi sono? Non certo un’americana, e quindi devo cantare in istriano. Anche per un’altra ragione, la mia lingua madre, questo dialetto pittoresco, ancestrale, onomatopeico, carico di vibrazioni mi permette di evidenziare la componente emotiva. Ho scelto il dialetto di Canfanaro, Gimino, Pedena, forte, suggestivo. Sono vibrazioni che contano (e cantano) nell’animo dell’artista”.

Come nascono le sue composizioni?

“Non lo so. Siamo un tramite, non è un processo cosciente, viene da dentro, è il modo di percepire il mondo che si elabora dentro di noi, ed esce in modi diversi: a volte inizia con una nota, a volte da un verso o addirittura da un errore involontario che rivela un nuovo traguardo. È una bellissima, incredibile e imprevedibile sfida, fatica e passione, genio e intuizione. La regola suggerisce di iniziare sempre da un testo, è la via più facile per creare, le parole suggeriscono le immagini e la musica, ma non è sempre così. Chi crea spesso rinuncia alle regole, per dare ascolto alla propria sensibilità, all’estro, alla fantasia”.

L’esperienza più entusiasmante?

“Hahaha… Voglio raccontare un episodio curioso. Dopo un mio concerto a Buccari, mi ritrovo a casa di un amico scrittore che abita in loco ed è padre di un ragazzino di cinque anni. Salta, corre, chiacchiera e quando gli chiedono che cosa vuole fare da grande, forse colpito dal concerto al quale ha appena partecipato, risponde: voglio essere Tamara Obrovac. Ne abbiamo riso tanto, ma è rimasto come un momento topico, da portarsi dentro”.

Esibirsi in Istria e all’estero, emozioni diverse?

“Certo, a casa dove mi conoscono e comprendono la mia lingua, le reazioni sono spontanee e immediate. Ma se ho di fronte un pubblico aperto, che si lascia trasportare, il risultato è meraviglioso ovunque. Con il mio gruppo suoniamo da vent’anni in tutto il mondo, anche in Paesi lontani che non colgono la suggestione della lingua, ma succhiano le emozioni. Succede che quella sincerità emotiva, la chimica della musica passi comunque e allora rimane il messaggio e tutto diventa possibile. È meraviglioso”.

Il ritorno a Trieste… che cosa le evoca questa città?

“Trieste, la mitica città dello shopping. L’ho conosciuta a quattordici anni, nel grande caos del commercio al dettaglio. Ricordo la confusione dei negozi presi d’assalto da compratori compulsivi che giravano con enormi borse. P.zza Ponte Rosso mi aveva colpita moltissimo, ero esterrefatta per la confusione, l’assalto alle bancarelle. Non volli più tornarci per tantissimo tempo. Più tardi l’ho scoperta come città, con la sua bellezza, le sue ricchezze: quando ho potuto guardarla dentro ho sentito di amarla. Peccato non si comunichi di più, in tutti i sensi, siamo vicini, la storia che ci ha diviso è tragica, ma marginale rispetto a tutto ciò che ci unisce. Sono felice di potermi esibire per il suo pubblico”.

Il sodalizio con gli altri artisti di che cosa ha bisogno per essere così forte ed efficace?

“Veniamo da località diverse, ma tutto il resto ci unisce, è come in un matrimonio, se c’è amore, allora funziona. Sono musicisti a tutto tondo e grandi professionisti, aperti nel creare e nel contribuire a completare le mie canzoni, sono la sostanza”.

Una donna fortunata?

“In questo senso sì, spesso oberata dal lavoro organizzativo, dalle pratiche burocratiche che un concerto comporta, che comporre comporta, ma mi dico spesso: se è questo il prezzo da pagare per continuare a cre
are e a presentarmi al pubblico allora il gioco vale la candela”.

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