Pola. L’agonia e l’esodo di una città perduta

Nell’ultima sua fatica letteraria, lo studioso Roberto Spazzali affronta un periodo storico ben preciso che vide la Berlino dell’Adriatico spopolarsi quasi completamente

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Pola. L’agonia e l’esodo di una città perduta

Roberto Spazzali è uno studioso meticoloso, attento, aderente ai documenti, che inquadra in modo preciso nel contesto della storia, di cui narra nelle sue pubblicazioni. Di Pola aveva già scritto in “Pola operaia” edito dal Circolo Istria. Nell’ultima sua impresa “Pola, città perduta. L’agonia, l’esodo (1945-47)” edito da Ares, sotto l’egida dell’IRCI- Istituto Regionale per la Cultura Istriana, Fiumana e Dalmata, affronta un periodo storico ben preciso che vide la Berlino dell’Adriatico, come venne soprannominata la città, spopolarsi quasi completamente.

 

Momenti di speranza e paura

Durante la presentazione tenutasi nella Sala Luttazzi di Magazzino 26, Franco Degrassi, presidente dell’IRCI, ha riferito delle impressioni che il libro gli ha scatenato: “l’ho letto tutto d’un fiato, ne ho colto le atmosfere, che peraltro pervadevano tutta l’Istria, momenti di speranza che si alternavano a grandi incertezze, fino alla strage di Vergarolla, quando la situazione volse al peggio e la gente decise per l’esodo. Nel libro, piuttosto corposo che conta seicento pagine, Spazzali fa emergere i tanti retroscena, i personaggi che si prodigavano per volgere al meglio lo stato delle cose, spesso sconosciuti, ma anche la tanta improvvisazione con cui furono affrontate le varie fasi dell’esodo”.

La copertina del volume di Spazzali

Mario Micali e Giuseppe Meneghini

“Lo scorso anno ci fu un florilegio di polemiche sul volume negazionista ‘E allora le foibe’ – ha raccontato Spazzali. Provai fastidio per come si voleva fare strage della storia. Non si può fare retorica sui vivi, la cui anima è morta con l’esodo, anima che non hanno potuto ricostruire perché sradicati dalla comunità, dal tessuto sociale che non hanno più ritrovato. Lavorando sulle fonti e sui documenti mi sono imbattuto in due personaggi, i prefetti Mario Micali e Giuseppe Meneghini, di cui non si è parlato molto, i quali vennero incaricati di organizzare l’esodo. Meneghini nel febbraio del ‘47 si reca a Pola per capire la situazione e scrive a Micali di aver trovato una strana situazione: ‘la città è in uno stato di depressione, vorrebbero partire, ma li si deve sollecitare per fare i bauli. Quando però le masserizie arrivano in porto tutti si affrettano per farle imbarcare’ – ha ricordato lo storico triestino”.

L’autore del volume, Roberto Spazzali

Gli anni ‘45, ‘46 e ‘47

“A Washington ci sono le registrazioni complete dei notiziari di Radio Venezia Giulia, dai quali si evincono le tante coincidenze, le cronologie dei fatti che sono importanti per la nostra storia. Pola è un’enclave nel ‘45, come Berlino appunto, collegata all’Italia attraverso una scassatissima ferrovia. Una linea Morgan circonda la città. La gente del circondario la varca quotidianamente per portare le merci al mercato, i giovani per andare a scuola, ci sono posti di blocco britannici. In Adriatico c’è ancora l’insidia delle mine. Quando a Pola si annuncia che il Trattato di pace entrerà in vigore il 10 febbraio 1947 e si presuppone che le truppe jugoslave entreranno in città, tutta la popolazione va in subbuglio. Fausto Pecorari, altro protagonista dei fatti di quegli anni, si precipita a calmare le acque. E intanto in Istria le popolazioni sono vessate dai soldati jugoslavi, ai posti di blocco i ragazzi vengono fermati. Nel marzo del ‘46 con la ripresa del CLN a Pola si apre una stagione di nuove speranze – ha continuato lo storico – una doccia fredda arriva in luglio con la visita della Commissione alleata, che gelerà tutte le aspettative. In quel luglio partirà il comitato per l’esodo, attivato da Giuseppe Giacomazzi, altro personaggio cardine dell’esodo polesano. In agosto parte l’escalation di violenze, da Caporetto a Pola ci sono attentati, sabotaggi, aggressioni, incidenti di frontiera; a ferragosto a Doberdò scatta l’allarme per le truppe americane a Gorizia, si teme il peggio; la situazione si fa pericolosa anche perché nella città c’è un presidio militare jugoslavo che fomenta il disordine. Viene infatti fermato ed arrestato un reparto carico di armi e bombe. Il 18 agosto c’è l’attentato a Vergarolla. Meneghini aveva pronto il piano per l’esodo già nel ‘46 e, quando si capisce che la situazione sta per esplodere. Sempre Meneghini pensa che ormai la gente possa partire per essere sistemata in Italia. Un’operazione che godrà fortunatamente dell’aiuto della Pontificia Opera di Assistenza, oggi Caritas. Il Toscana partiva sempre mezzo vuoto – ha concluso lo storico -: la maggioranza preferiva il piroscafo Pola per giungere a Trieste e chiedere qui il certificato di esule. Chi aveva questo certificato veniva assistito, chi non ce l’aveva era uno sconosciuto”. Di chi è la colpa di tutto ciò? Di tutti e di nessuno. E come disse Guido Miglia “la colpa è della guerra. Il nostro impegno è di scongiurarne un’altra”, attraverso però la puntuale conoscenza di quanto è accaduto.

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