«Per me cantare in ciacavo è come respirare»

Chiacchierata con Duško Jeličić Dule, cantautore, musicista e uomo dalle mille risorse, che nei primi anni Novanta diede inconsapevolmente il via, con i suoi «Bonaca», all'onda musicale istro-quarnerina «Čaval»

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«Per me cantare in ciacavo è come respirare»
Foto: Željko Jerneić

In un mondo ormai quasi del tutto globalizzato, emerge la necessità, o meglio il dovere di tutelare il dialetto, quale lingua delle nostre radici, della nostra identità, del nostro essere. Lo si fa in vari modi, parlando e scrivendo, tramandandolo ai propri figli, permettendone il libero uso tra i banchi di scuola, ma sempre più spesso anche cantando e componendo brani nelle varie parlate dialettali. Per fare un breve esempio, in Italia negli ultimi anni si sta facendo sempre più largo tra gli artisti musicali delle nuove generazioni il rap, e l’ultima tendenza trap, caratterizzati da strofe e beat scritti e cantati in napoletano. Una tendenza dall’inaspettatamente ampio seguito di fan, anche e soprattutto di giovanissimi, un pubblico nuovo che con ogni presenza ai concerti e con ogni visualizzazione e like su YouTube e TikTok, contribuisce a sdoganare un qualcosa che soltanto qualche anno fa sembrava inimmaginabile, ovvero portare uno dei dialetti italiani, in questo caso appunto il napoletano, in giro per lo Stivale, senza più relegarlo all’Italia del Sud, dov’è nato.
A parte il Bel Paese, della cui ricchezza dialettale potremmo parlare all’infinito, anche la Croazia, seppure molto più piccola, abbonda di parlate locali, che generalmente, in quanto a zone, si differenziano, per lessico e cadenza, da un paesino all’altro, anche a distanza di pochi chilometri. Tra questi c’è, innanzitutto, il ciacavo, dialetto ad ampia diffusione, che si parla sia in Istria, che nel Quarnero, come pure in determinate zone della Dalmazia, soprattutto sulla costa e sulle isole. Ne abbiamo scritto a più riprese nei numeri precedenti di questo nostro inserto di approfondimento, interpellando al riguardo interlocutori rispettabilissimi, seppure non specializzati in linguistica, ma ugualmente autorevoli in quanto all’argomento in sé, i quali sono riusciti a trasmetterci, ciascuno a modo proprio e nel proprio stile, il grande amore verso la loro lingua materna, la loro parlata, il ciacavo appunto.

Un ricco curriculum
Stavolta abbiamo scelto di interloquire con un altro esponente di questo storico dialetto, uno che il ciacavo lo mastica davvero bene, nonostante le sue origini dalmate e zagabresi. Uno che lo parla, lo sogna, lo scrive, ci compone musica e lo canta. E per non farsi mancare nulla, ne lancia pure delle tendenze.
La persona di cui stiamo parlando, ma che gran parte di voi lettori probabilmente conoscerà già, è Duško Jeličić Dule, brazzano per padre e zagabrese per madre, ma abbaziano di adozione – si è trasferito con i genitori nel capoluogo liburnico che aveva poco più di dieci anni e non vi si è più mosso (i suoi Jeličići hanno comunque origini a Selce, vicino a Crikvenica) –, uomo dalle mille risorse, inossidabile leader del gruppo Bonaca (oltre che fondatore, factotum e oggi presidente onorario della mitica Balinierada, la gara dei carretti con cuscinetti a sfera, che anima Abbazia nel periodo di Carnevale e negli ultimi anni anche d’estate, ma questa è un’altra storia), il quale in queste nostre aree non ha di certo bisogno di presentazioni. Tralasciando il suo ricco curriculum, in quest’occasione lo abbiamo voluto intervistare unicamente come “padre“ del ČAval, movimento nato nei primi anni ‘90 nell’area istro-quarnerina, che raccoglie in sé esponenti delle note musicali in ciacavo.

Tutto iniziò da «Petersin i češanj»
Seduti comodamente davanti a un caffè in uno dei bar sul molo abbaziano, abbiamo chiesto a Duško Jeličić Dule come e quando è iniziato tutto.
“Prima di rispondere, devo fare una premessa – ha esordito –. Come tanti altri miei colleghi e compositori che scrivono e cantano in ciacavo, anch’io composi la mia prima canzone in questo dialetto che imparai a parlare una volta trasferitomi nel Quarnero e che da allora sento mio come nessun’altra lingua al mondo. I primi due brani che scrissi furono ‘Opatijo, Opatijo’ (letteralmente: ‘Abbazia, Abbazia’) e ‘Mačak z Voloskega’ (‘Il gatto di Volosca’), di cui conservo ancora oggi, molto gelosamente, l’unico 45 giri, sfornato negli anni ‘70, dopo di che tutti i seguenti dischi che con i Bonaca facemmo, cominciarono a uscire su cassetta e in seguito su compact disc. All’epoca la canzone in ciacavo non era tanto in voga tra il grande pubblico, nel senso che non se la sentiva molto in radio. Quando verso la fine degli anni ’80 scrissi ‘Petersin i češanj’ (‘Prezzemolo e aglio’), un pezzo rock, decisi di mandarlo a Radio Fiume, dove però rimase chiuso per anni in fonoteca senza mai venir messo in onda. Un giorno, erano in primi anni ‘90, incontrai il mio caro amico Miro Paušić, in arte Luca Montecchi, DJ abbaziano, che all’epoca, assieme a Vjeko Alilović (oggi produttore esecutivo del Festival delle Melodie dell’Istria e del Quarnero, MIQ, nda), lavorava a Radio Fiume come redattore radiofonico. Mi chiese se avessi qualcosa di mio da passare in radio. Gli risposi di controllare negli archivi, nei quali avrebbe probabilmente trovato il mio brano ‘Petersin i češanj’, ancora vergine in quanto a pubblicazione. Mi ascoltò e lo mise in onda da lì a qualche giorno. Fu un vero e proprio boom, nel senso che finimmo in classifica, la mitica TOP 15, che conteneva artisti sia internazionali che di casa e che a quei tempi era l’unica. Eravamo noi, i Bonaca, accanto a Madonna, Zucchero e altri pezzi da novanta. In poco tempo raggiugemmo il primo posto, riuscendo a scalzare addirittura gli Enigma e la loro grandissima hit ‘Sadeness (Part I)’. Come dicevo, erano i primi anni ’90, quando a causa della guerra, si era fermato per qualche edizione il Festival MIQ. Dopo il grandioso riscontro della nostra ‘Petersin i češanj’, Vjeko mi chiese se avessi qualche altro brano per la radio. Corremmo in studio da Andrej Baša (musicista, compositore, arrangiatore, produttore discografico e uno dei massimi promotori del MIQ, nda) e incidemmo tre pezzi, ‘Pod Učkun’ (‘Ai piedi del Monte Maggiore’), ‘Lovran gradić mali’ (‘Laurana, piccola cittadina’) e ‘Marija’. Quando quest’ultimo brano uscì in radio, fu un altro inaspettato boom. C’era gente nostra, trasferitasi in America, che votava sulle onde di Radio Fiume per farci salire quanto più in alto in classifica. Un successone che mai ci saremmo aspettati. Fu in quel periodo che si tornò a pensare al MIQ e a tutti quei cantanti e musicisti che si esprimevano in ciacavo e che stavano ormai avendo sempre più successo. Il pubblico di estimatori stava crescendo a vista d’occhio, ma non solo. A velocità della luce cresceva, però, anche la cerchia di artisti quali Alen Vitasović, i Gustafi, Šajeta, Mario Battifiaca e altri, tutti col ciacavo nel sangue. Il MIQ di quegli anni visse la sua seconda primavera e, come vediamo, è riuscito a mantenersi fino ad oggi. Mi chiedeva come nacque il ČAval? Ecco, proprio così e a distanza di decenni, siamo tutti ancora qui. Nel frattempo sono arrivate anche le nuove generazioni di musicisti, gruppi e artisti quali, ad esempio, i Koktelsi, Mauro Staraj e tanti altri, il cui compito sarà ora curare e mantenere nel tempo la nostra bella musica in ciacavo”.

 

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