«Passione inestinguibile e sfida continua: la danza è questo»

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«Passione inestinguibile e sfida continua: la danza è questo»

FIUME | La passione per la danza, unite a un duro lavoro e a tanta voglia di mettersi in gioco contraddistinguono il giovane ballerino italiano Michele Pastorini, da due anni membro del Balletto del Teatro Nazionale Croato “Ivan de Zajc” di Fiume, che di recente si è presentato con successo al pubblico nel ruolo principale di Apollo nell’omonimo balletto di Igor Stravinski. L’ultima première della stagione, nell’ambito della quale è stato proposto anche il balletto “Pulcinella”, è stata un’occasione per il 25.enne ballerino di mettere in mostra le sue capacità, ma anche una sfida professionale senza la quale un artista non può crescere dal punto di vista artistico. Modesto, simpatico e loquace, Michele Pastorini ci ha raccontato il suo amore per la danza, la sua etica del lavoro, i suoi sogni in una breve e piacevole chiacchierata.
“Sono arrivato a Fiume due anni fa. Prima di venire ingaggiato nell’’Ivan de Zajc’, vivevo in Germania da quattro anni. Lavoravo a Dresda e avevo ormai bisogno di un cambiamento, per cui ero alla ricerca di una nuova occasione – esordisce Pastorini -. Sono stato informato che Maša Kolar cercava dei ballerini, ci siamo messi in contatto e sono venuto qui per un’audizione. Mi è piaciuto e io sono piaciuto a lei, per cui mi ha ingaggiato. Da quel giorno in poi è stato un’avventura perché ho fatto qualsiasi cosa. Abbiamo messo in scena tantissime produzioni interessanti. Questo lavoro è sempre bello perché è un continuo scommettere su qualcosa di nuovo. Così è stato anche con ‘Apollo’, in quanto è un balletto diverso da ciò che abbiamo fatto in precedenza. Per me a maggior ragione perché, soprattutto in Germania, mi ero avvicinato a uno stile contemporaneo di danza, mentre questo è un balletto neoclassico. Per me è importante l’aspetto di sfida, di un continuo confronto con sé stesso.”

Senti di essere cresciuto artisticamente nel Balletto dello “Zajc”?

“Tantissimo, proprio perché lavoriamo con persone molto diverse tra di loro. Questo fatto ti dà sempre la possibilità di trovare spunti nuovi per i quali ‘lottare’, in quanto un ballerino deve sempre cercare di dare il meglio di sé. Inoltre, ogni coreografo ha un’idea diversa di danza, una visione artistica tutta sua che ti costringe a esplorare nuove possibilità.”
Puoi fare un confronto tra il lavoro nei teatri in Italia e in Croazia? Ci sono delle differenze?
“In Italia ho studiato danza e ho ballato al Teatro Massimo Bellini di Catania, che è un teatro maestoso. In quell’ente ho iniziato seriamente la mia carriera professionale. Facevo parte della compagnia Bellini Junior Ballet, dove mi occupavo del balletto classico, del lavoro tecnico. Poi mi sono spostato in Svizzera, alla Cinevox Junior Company, e lì ho riscoperto il mio lato contemporaneo.
In Italia abbiamo tanta qualità artistica – infatti, in quasi tutte le compagnie di danza europee ci sono dei ballerini italiani – e, comunque, i danzatori italiani emergono facilmente in questi contesti perché abbiamo un’ottima preparazione e tante scuole eccellenti. Quello che manca, purtroppo, è il lato professionale e qui mi riferisco agli stipendi, che lasciano a desiderare. Ci sono numerose compagnie che fanno delle produzioni splendide, ma non riescono a pagare bene i ballerini e, di conseguenza, molti sono costretti ad andarsene dall’Italia. Mi sembra, comunque, che in qualche realtà la situazione cominci a cambiare, ma non è semplice. Onestamente, al momento non ci penso a tornare in Italia, proprio per questo motivo. Qui in Croazia, trattandosi di un Teatro Nazionale, si percepisce un certo rispetto per questo lavoro, sia dal punto di vista professionale che dal punto di vista degli stipendi. Non che in altri Paesi non ci siano ottime scuole, ma gli italiani spesso riescono a fare la differenza.”

Ti trovi bene a Fiume?

“Mi trovo molto bene a Fiume. Qui sono stato accolto benissimo dai miei colleghi e poi è nel mio carattere essere amico di tutti. Mi sento il benvenuto, sia dal Teatro in generale, ossia dalla produzione artistica, che dalla città stessa. Ho la sensazione che qui in Croazia essere uno straniero che fa arte sia un privilegio, in un certo senso. Vieni visto con un occhio di riguardo. Comunque, non so se sia una cosa buona perché, a prescindere dal lavoro che fa, ogni persona dovrebbe essere trattata con rispetto e accettata. Un’altra cosa bella è che qui tutti parlano e capiscono l’italiano, quindi mi sento un po’ a casa dopo tanti anni trascorsi all’estero. Non dobbiamo dimenticare poi che qui c’è il mare e io sono siciliano, per cui non aggiungo altro. È dire tutto.”
Qual è la differenza tra il balletto classico e quello contemporaneo? Hai delle preferenze?
“Le differenze sono innanzitutto stilistiche, in quanto il lavoro e l’approccio sono diversi. E poi, dipende molto anche dalla persona con la quale si collabora, ovvero dal coreografo. Ci sono coreografi che richiedono una tecnica precisa e specifica quanto nel classico, tanto nel contemporaneo, ma ritengo che la differenza risieda principalmente nel prodotto finale che lo spettatore viene a vedere a teatro: la musica, i piedi scalzi, a differenza delle scarpe a punta o a mezza punta che ci sono nel classico, l’aspetto visivo.
Personalmente non amo le definizioni e i limiti e credo che se dovessi cominciare a dire di essere più un ballerino classico o contemporaneo mi sentirei limitato. Mi piace pensare non che io sia capace di fare tutto, ma che voglia provare a fare tutto. Non mi pongo limiti. Sono fin troppo giovane per farlo e sarebbe sciocco non darmi la possibilità di imparare e crescere artisticamente in qualsiasi stile.
Mi piace tantissimo creare e il mio sogno è diventare coreografo, qualcuno capace di dire la propria con la sua arte e di trovare un giusto compromesso, cioè utilizzare un linguaggio corporeo che possa essere accettato e capito dal pubblico e rispettare quella che è la mia idea artistica. Credo che tutti i coreografi oggi dovrebbero farlo: capire chi si ha di fronte. Secondo me, è un po’ falso dire ‘la mia arte è mia e non mi interessa chi la capisce’. Credo che sia un atteggiamento sbagliato perché noi artisti lavoriamo per il pubblico in quanto il pubblico ci ricarica. Di conseguenza, è indispensabile che ci sia un rispetto reciproco. Bisogna sapere educare bene il proprio pubblico e per poterlo fare è necessario prima avvicinarlo e poi abituarlo a quella che è la tua idea artistica. Secondo me, è questa la strada giusta.”

Quali sono gli elementi più importanti di un’ottima coreografia? Inventare un movimento nuovo, fare una combinazione di movimenti originale, o qualcos’altro?

“In primo luogo, cercare un linguaggio innovativo. La ricerca di una qualità nuova dovrebbe essere sempre la priorità. La ricerca artistica è il bello di questo lavoro e ciò che alla fine conta, sia per il coreografo che per i ballerini.
Ritengo, però, che la chiave del successo di un coreografo in una produzione sia la comunicazione con i ballerini. Quando un coreografo riesce a far capire subito ai propri ballerini quello che vuole dire con i suoi movimenti e il suo balletto, ha già fatto metà del lavoro. Se io so di che cosa sto parlando è più facile per me salire sul palcoscenico e dare quel messaggio. Quindi, la comunicazione. E poi, la qualità dipende molto dalla capacità che un coreografo ha di lavorare con le persone che ha davanti. Sarebbe sciocco prendere un ballerino estremamente classico e inserirlo in una situazione molto contemporanea. Questo sarebbe quasi un castigo, in quanto gli artisti vanno rispettati per quello che sono. Infatti, hanno fatto tanti sacrifici per giungere al loro livello artistico. Si può anche scommettere su di loro mettendoli in una situazione nuova, ma qui è essenziale la comunicazione da entrambe le parti.”

E le emozioni che si trasmettono al pubblico?

“Assolutamente sì. La verità assoluta è essenziale. Non è semplice portare qualcosa di vero sul palco, ma anche questo dovrebbe essere una delle priorità. Per essere veri bisogna investire in sé stessi, cercare di capire chi si è in relazione al ruolo che si ricopre.”

È così anche con il ruolo di Apollo?

“Apollo è il dio del Sole e quindi è potente, uno dei più grandi della mitologia greca. E poi, essendo siciliano, di Agrigento, dove c’è la Valle dei templi, per me è stato come se avessero portato qui casa mia. Sicuramente, non è semplice adattarsi a quello che può essere il ruolo di un dio. Come fai a essere un dio? Di conseguenza, ho dovuto metterci del mio ed è stato molto bello. Ho avuto un’ottima comunicazione con il coreografo Martin Chaix e i miei colleghi. Un processo molto interessante. Inoltre, in questa produzione è stata introdotta anche Leto, la madre di Apollo, che nella versione originale di George Ballanchine non c’è. Quindi, è stata introdotta una dimensione nuova, per me molto importante, in quanto ho un rapporto bellissimo con la mia famiglia. Poter portare un po’ di quell’amore in scena è stato un punto di forza per me. La madre ti dà la vita e cerca di insegnarti ciò che può essere il meglio per te. E poi c’è pure l’incontro con le Muse. Anche quella è verità perché comunque durante la tua vita incontri tante persone e infine scegli quella che preferisci. Apollo fa lo stesso con le Muse e di una si innamora. L’idea principale di Martin era di creare un senso di solennità e sacralità, di rituale. Tutto ciò che succede in scena è un rituale ed è come se si ripetesse di continuo e andasse avanti da secoli. Martin è stato molto bravo a creare un senso si omogeneità tra di noi, anche se aveva poco tempo per le prove.
D’altro canto, ‘Pulcinella’ è completamente diverso, è uno spasso. Giovanni Di Palma (coreografo di ‘Pulcinella’, ndr) è molto italiano nel suo modo di lavorare. Anche lui è un grande, un genio nel suo lavoro. Infatti, nella danza è più facile portare il dramma che la comicità. Riuscire a far sorridere le persone con la danza è un talento raro.”
Domanda d’obbligo: c’è qualche ruolo nel repertorio classico che vorresti interpretare?
“Voglio rimanere aperto a tutto. Faccio un esempio: nello spettacolo ‘Voda’, di Matija Ferlin, noi ballerini facevamo dei movimenti scenici. Io mi sono ritrovato a fare… la pecora. Ed ero felicissimo di farlo. Infatti, quando trovi qualcuno che sa lavorare e trasmetterti il messaggio, anche riuscire a fare la pecora in un certo modo è una sfida perché ti fa capire che allo spettatore interessa poco chi sei e che ruolo hai; se sai bene quello che stai facendo anche una pecora può diventare importantissima in uno spettacolo. Quindi, non è una questione di ruoli: spero di lavorare sempre con persone che riescono a comunicare bene e a tirare fuori il meglio di me. Non sono interessato ai ruoli, io desidero ballare e fare parte di un processo interessante e creativo. Insomma, non nutro delle aspirazioni particolari verso nessun ruolo, ma punto sulla comunicazione.”

Sei molto modesto.

“Credo che sia importante essere capaci di sognare con i piedi a terra. Io ringrazio la mia testa sognante per essere arrivato dove sono adesso. Non mi sarei mai aspettato di arrivare a tanto. Infatti, inizialmente Martin aveva iniziato a lavorare con il corpo di ballo e il mio nome non c’era nella lista dei ballerini. Pensavo di non essere stato scelto affatto ed è stata una sorpresa scoprire invece che mi è stato affidato il ruolo principale. Cerco di non aspettarmi mai niente, anche se do sempre il meglio di me stesso. Sono consapevole che la danza è soggettiva e che uno può piacere o non piacere, ma è importante alzarsi la mattina con il desiderio di danzare e di dare il massimo.”

Che cos’è per te la danza?

“Per me il ballo è tutto quello che ho sempre voluto. È un cliché, ma è vero. La danza è la mia chiave di salvezza, una sfida continua e credo che riuscire a fare della propria passione un lavoro sia una grande fortuna. Costa tanto, in quanto sono lontano dalla famiglia, ma è quello che volevo sempre fare nella vita. E sono felice di avercela fatta con le mie forze e con l’aiuto della mia famiglia. Il mio lavoro mi aiuta perché quando mi sento male basta soltanto che mi ricordi che il giorno dopo vado a lavorare e sto subito meglio. È come una boccata di aria fresca. Mi sono addirittura iscritto a un corso di salsa che frequento nel tempo libero. Immagina, sei ore di danza ogni giorno e nel tempo libero, per svagarmi, me ne vado a ballare. Per me la danza è vita.”

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