Paolo Mangiola, racconto di una vita danzata

A colloquio col neodirettore artistico del Balletto del TNC "Ivan de Zajc" di Fiume

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Paolo Mangiola, racconto di una vita danzata
Paolo Mangiola. Foto: IVOR HRELJANOVIĆ

Affabile, gentile, preparato e molto generoso nel raccontarsi, Paolo Mangiola, nuovo direttore artistico del Balletto del Teatro Nazionale Croato “Ivan de Zajc” di Fiume, ha condiviso con noi il suo importante percorso professionale, impreziosendolo con vere proprie chicche relative a quello di vita. Danzatore eccezionale, coreografo attento e intuitivo, negli ultimi sette anni ha maturato altresì l’esperienza di responsabile dell’ensemble della Compagnia Nazionale di Danza di Malta, che non mancherà di applicare, con grande rispetto e amore, anche al capoluogo quarnerino. L’inizio di tutto? In Calabria, “dove vissi fino ai diciottanni e dove effettuai anche gli studi – ha esordito, spiegando che – siccome nell’età dai due ai sette anni ebbi un problema abbastanza importante al fegato, ogni sei mesi andavo all’Ospedale pediatrico Gaslini di Genova per fare i controlli. Essendo molto magro, gli ultimi anni il primario del reparto consigliò a mia madre di farmi fare nuoto o danza, in quanto i due sport più completi per il corpo. Avendo la vicina di casa, Manuela, che frequentava una scuola di danza nelle vicinanze, decidemmo che sarei andato con lei. La mia insegnante, che era la prima ballerina del San Carlo di Napoli, ogni lunedì prendeva il treno, scendeva a Reggio Calabria, dava le lezioni di classico e poi ritornava su. Dopo un mese chiamò mia mamma e le chiese di venire a vedermi danzare in studio, adibito con gli specchi da danza, nonché, finita la classe, le disse – ‘signora, Paolo è un ballerino e deve iniziare assolutamente a studiare. Portatelo al Teatro dell’Opera di Roma o alla Scala milanese’. Stiamo parlando degli anni Ottanta, quindi figurarsi se la mia famiglia si sarebbe spostata, cosicché mi iscrissero al corso di chitarra classica presso il Conservatorio di musica”.

Quindi, fu amore a prima vista…
“Mi piacque a tal punto che un giorno dissi a mio padre di essere un ballerino e di non volere più frequentare il Conservatorio. Dopodiché feci svariati concorsi di danza, entrai in studio e da lì partì tutto. Iniziai a lavorare prestissimo, a 19 anni, il che mi portò a viaggiare tanto e a vivere in diversi Paesi. Per ciò che concerne l’Italia, per un periodo di quattro anni danzai per l’Aterballetto, sita in Reggio Emilia, sotto la direzione di Mauro Bigonzetti. Successivamente, sentendo una forte esigenza di continuare a crescere, andai in Germania, a Norimberga, dove firmai un contratto in qualità di solista della compagnia di ballo del Tanztheater. Due anni e mezzo dopo, Wayne McGregor, grande maestro della danza, fece un’audizione, a cui partecipai insieme ad altri 800 ballerini, in seguito alla quale mi offrì un contratto, che accettai e che mi portò a Londra, dove ballai per sette anni e grazie al quale ebbi modo di lavorare ovunque nel mondo. Diventai un po’ la sua musa, creò tantissimo su di me, nonché fu anche il mio mentore. Nella transizione tra la danza e la coreografia è colui che mi ha dato le maggiori opportunità, come il lavoro al Royal Ballet”.

Cosa gli è piaciuto di lei, che non ha percepito negli altri ballerini?
“Credo abbia apprezzato la mia abilità di adattarmi e di essere aperto, di ascoltare e offrire sempre qualcosa senza nessun giudizio. Inoltre, penso l’abbia colpito l’umiltà, la sincerità, la semplicità, il mio non avere paura di sbagliare, che generalmente nei danzatori è molto presente con l’idea che l’errore venga punito. Bisogna capire, però, che farlo non è la fine del mondo, che si va avanti”.

L’appoggio della famiglia
Chi è stato il suo più grande sostenitore?
“I miei genitori, mio fratello più grande e in generale la mia famiglia allargata. Mia madre, che è molto impegnata nel sociale a Reggio Calabria, ha creato associazioni per volontari ed è una persona molto attiva, è venuta a tutte le mie prime come ballerino”.

A suo vedere, la danza l’ha aiutata anche ad affrontare situazioni di vita?
“La danza è terapeutica e mi ha aiutato in momenti molto difficili, di depressione. Nell’estate del 1999, all’età di 19 anni, quando, come prima accennato, andavo in giro per l’Italia a fare tanti concorsi, che regolarmente vincevo, a un certo punto cominciai a sentirmi completamente perso ed esaurito, il che mi portò ad avere un crollo nervoso. Mi ripresi grazie alla danza, nella quale riversai ed espressi tutte le mie sofferenze, come pure le gioie. Nelle ore in cui ballavo riuscivo a dimenticare ciò che mi circondava e mi preoccupava, a spegnere le ansie e il panico. Per cui, posso dirmi fortunato ad avere a disposizione questo bellissimo mezzo”.

Qual è il balletto che da bambino l’ha colpito?
“Mi impressionò molto il ‘Bolero’ di Bèjart, tutti i lavori di William Forsythe e adoravo seguire il programma della critica di danza Vittoria Ottolenghi. In seguito fui fan di alcuni ballerini sudamericani e della scuola cubana”.

Quale relazione ha avuto con il suo corpo, essenziale strumento di espressione artistica, mentre faceva danza?
“Ho sempre avuto un rapporto strano con il mio corpo, che per un ballerino rappresenta un mezzo fondamentale. Inizialmente mi preoccupavo molto di come apparivo e, come tutti i miei colleghi, lo specchio era il mio amico/nemico principale. Con il tempo, acquisendo in esperienza e consapevolezza, nonostante l’indebolimento dello stesso, che decisamente cambia, non mi preoccupai più del ‘How do I look’, concentrandomi sulle intenzioni, sulla struttura del lavoro, sui contenuti. Per fortuna, nel corso della mia carriera, mi furono date tante possibilità di esprimere al massimo il mio potenziale e arrivare stracontento alla svolta relativa alla coreografia”.

Amore per la coreografia
Com’è avvenuto il passaggio alla stessa?
“Ho sempre pensato che i ballerini fossero anche coreografi, poi, nel tempo ho capito che in realtà molti non hanno questa passione e non vogliono diventarlo. Per quanto mi riguarda, invece, oltre alla tensione fisica di esplorare con il corpo i vari linguaggi, ho sempre avuto un forte interesse per l’aspetto coreografico. In tale contesto, quando ballavo, mi rendevo conto di essere lo strumento del coreografo, e tutte le volte che mi veniva data una consegna, il materiale che offrivo era come se fosse mio. In ogni caso, sebbene non fu affatto semplice decidere di mollare tutto e concentrarmi solamente sulla seconda dimensione, lo sentii come assolutamente necessario. Pensi che nel tempo in cui ballavo per l’Aterballetto e si andava al Teatro municipale Valli di Reggio Emilia, che vanta uno dei pochissimi archivi di danza in Italia con videocassette di tutti i lavori realizzati dagli anni Settanta a oggi, a conclusione delle prove firmavo la carta per prestarle e studiavo i balletti, i quali in qualche modo mi hanno formato. A seguire, il Balletto di Roma mi chiamò e mi offrì un contratto come coreografo residente e, da lì, diventai un nerd della coreografia”.

Ha seguito la sua passione…
“Sì, nella mia vita ho intrapreso percorsi molto belli, che a un certo punto ho interrotto per seguirne altri, sempre con rischio e consapevolezza. A tale riguardo, il grande sostegno è stato avere delle guide, essere circondato da persone che, trovandomi di fronte a importanti decisioni, mi hanno fatto ricalibrare un attimo. Ritengo sia un momento importantissimo e cerco di farlo anch’io con i giovani danzatori, condividendo la conoscenza e accompagnandoli nel loro percorso”.

Che rapporto ha con i suoi ballerini?
“Il mio lavoro consiste nel dare loro lo spazio per esprimersi sulla base delle mie indicazioni. In primis mi interessa la loro indipendenza e, a tale proposito, preferisco insegnargli come pensare coreograficamente, piuttosto che dire fai 5, fai 6, fai 7, fai 8, il che a lungo andare crea dei ballerini che sono assolutamente autonomi. Negli ultimi sette anni, trascorsi presso la Compagnia Nazionale di Danza di Malta in qualità di direttore artistico dell’ensemble, sono riuscito a formare un gruppo dove a un certo punto, durante la creazione, potevo dare loro una consegna, che sicuramente doveva essere chiara e precisa, lasciare lo studio e, nel rientrare dopo un’ora, avere una coreografia già pronta. Si tratta di un percorso molto bello e importante”.

Da Malta al capoluogo quarnerino
Com’è arrivato alla summenzionata Compagnia maltese?
“Mentre lavoravo in qualità di coreografo residente al Balletto di Roma non ero molto contento di stare in Italia, che avevo lasciato a 24 anni per rientrarci a 35. Nel senso professionale Roma è una città molto difficile, quindi, a conclusione del contratto triennale, decisi, sempre rischiando, di partecipare al bando come direttore artistico per la Compagnia Nazionale di Malta. Lo vinsi e diventai il più giovane responsabile europeo. Appena arrivato, la prima cosa che chiesi fu di vedere al box office quanti biglietti erano stati venduti per lo spettacolo che veniva proposto, e mi resi conto che in un teatro capace di ospitare 500 persone quelle paganti erano solo 40. Grazie al lavoro del mio team, dopo sette anni siamo riusciti a costruire un pubblico di 400 paganti”.

Qual è stato il collegamento con Fiume?
“Al termine del secondo mandato maltese, lessi che Dubravka Vrgoč aveva vinto il concorso quale sovraintendente del TNC ‘Ivan de Zajc’, cosicché a febbraio/marzo dello scorso anno le scrissi una mail di presentazione. Da lì partì una bella conversazione e ora sono qui”.

Quali impressioni si è fatto dell’ensemble di ballo fiumano e della città in generale?
“C’è un potenziale incredibile e sono contentissimo perché vi sono parecchi ballerini con grande esperienza, il che è un bellissimo stimolo. È chiaro che il repertorio cambierà e, in tale senso, l’importante è capire il contesto e ciò che il pubblico di Fiume vuole vedere, cosa ha già seguito e in che modo noi potremo offrirgli un’esperienza diversa. Sono tanti i tasselli da mettere insieme al fine di trasformare attraverso la danza, di dare agli spettatori un vissuto formativo e di ispirazione. Quando creo qualcosa, quando curo una programmazione penso essenzialmente a questi ultimi e agli artisti. In tale contesto, i coreografi che ospiteremo daranno sia gli strumenti ai ballerini per farli crescere, che al pubblico per continuare a ricevere degli arricchimenti, come quando si va al cinema e si esce con un insegnamento. In quanto la Compagnia abbisogna di cinque o sei danzatori, a breve faremo una grande audizione, il che sicuramente avrà un importante impatto sulla stessa. Per ciò che concerne invece la città, mi piace molto. Conoscevo la sua storia, ma non c’ero mai venuto e di primo acchito mi ha fatto un’ottima impressione: vi si respira un’energia serena e ci si sente al sicuro”.

Ha già un’idea per la programmazione inerente alla nuova stagione?
“Il primo passo sarà ridare al pubblico fiumano dei titoli classici in una prospettiva contemporanea, il che rappresenterà un aspetto fondamentale del nuovo repertorio. Al contempo continueremo a dare l’opportunità alla pratica coreografica e a quelle nuove di sperimentare, come pure a farlo fare agli spettatori. Considerato che il Balletto si avvale di un segmento di pubblico molto ampio, devo cercare di capire cosa eventualmente riprendere nel caso sia stato perso, cosa c’è e cosa approfondire. Inoltre, dato che amo fare un lavoro interdisciplinare, il quale si è dimostrato una strategia vincente a Malta, collaborerò sicuramente con altri artisti, quali quelli visivi”.

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