Ovazioni a non finire per la prima di «Elektra»

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Ovazioni a non finire per la prima di «Elektra»

FIUME | Dieci minuti di ovazioni finali per la prima dell’”Elektra” di Richard Strauss-Hofmannstahl, al TNC “Ivan de Zajc”. Lo spettacolo è stata realizzato in collaborazione con la Filarmonica Slovena e con il Cankarjev Dom di Lubiana. Un allestimento che, senza tema di essere smentiti, possiamo definire di livello europeo; un punto d’arrivo per lo “Zajc” e una scelta artistica che in un certo senso spalanca un nuovo capitolo nella storia degli ultimi decenni del Teatro fiumano.
Facciamo notare che si tratta della prima rappresentazione a Fiume dell’”Elektra” a cent’anni dalla sua nascita. Il Teatro fiumano, notoriamente molto aggiornato nel seguire le evoluzioni dell’opera lirica – in quegli anni metteva in scena “Thais”, “Erodiade” di Massenet, “Tristano e Isolda”, “Walkiria”, “I maestri cantori”, “Tannhauaser” di Wagner, “Sansone e Dalila” ecc. – era volto piuttosto a inscenare le opere liriche dei Maestri italiani del tempo, come la “Wally” di Catalani, “La fanciulla del West”, “Francesca da Rimini” di Zandonai, Wolf-Ferrari, Smareglia. Ma anche le opere slave di Smetana, Gotovac, con “Ero s onoga svijeta”, “Boris Godunov” di Mussorgskiji.

Figlia del suo tempo

Di Strauss i fiumani ebbero modo di ascoltare le danze dalla “Salomè”, il poema sinfonico “Don Giovanni” e la Sonata in Fa magg. per violoncello e pianoforte con il grande Amfiteatrov, oltre che “Il cavaliere della rosa” con il Maestro Benić.
“Elektra” è figlia del suo tempo, delle correnti culturali e scientifiche dell’epoca, ossia dell’espressionismo e delle influenze psicanalitiche freudiane. Sono altresì gli anni in cui è al culmine quel processo di ricerca di radici germaniche, altre dal mondo latino, per cui dalla mitologia greca la letteratura mitteleuropea attingeva a piene mani, così come da quella orientale.
Questa “tragedia lirica” è espressione della raffinata cultura mitteleuropea; una partitura alla quale ci si deve approcciare con timorosa riverenza, a motivo del valore e delle difficoltà che essa presenta. La preziosissima poesia di von Hofmannstahl si fonde perfettamente con il linguaggio sofisticato, affascinante e d’avanguardia di Strauss; quest’ultimo, “descrittivo” di ogni minimo sussulto dell’animo, dei deliri demoniaci di Elektra e delle sue estasi, come pure degli altri personaggi. L’Orchestra, estremamente nutrita, tiene i fili di un discorso musicale caratterizzato da aspre dissonanze e sonorità parossistiche, spesso travolgendo le voci a cui è affidato un canto prevalentemente declamatorio.

«Tour de force» per gli esecutori

A giudicare dalla scrittura vocale (“rovinagola”) straussiana – gli estremi salti di intervalli, le declamazioni incisive, l’assenza di una linea melodica su cui riposare l’ugola – siamo portati a credere che Strauss odiasse i cantanti, specie i soprani. “Elektra”, comunque è un “tour de force” estremo per tutti gli esecutori. A cominciare dalla protagonista, che per quasi due opere calca ininterrottamente la scena, lacerandosi e fasciandosi addosso le vendette e i furori più devastanti. Insomma, un autentico monumento di odio e tragedia.
Il formidabile soprano tedesco Maida Hunderling ha vissuto ed espresso questo personaggio dalle mille sfaccettature e rifrazioni con la tempra dell’attrice tragica, creando un’entità psicologica e scenica forte, scultorea, a tutto tondo, diventando quasi il personaggio stesso. Soprano sostanzioso, eccelle nel registro acuto. Un po’ meno negli altri. La tragica danza finale dai movimenti quasi grotteschi esprime perfettamente il senso della musica e dell’accadere.
Statuaria e regale, Dubravka Šeparović Mušović nella parte di Clitemnestra – ossessionata dagli incubi popolati di demoni e spettri – ha dato fondo alle sue ricche e sostanziose risorse di autentica artista. Semmai sarebbe stato il caso – onde infondere maggiore drammaticità al personaggio – di produrre un “suono di petto” molto più robusto e vibrante, il quale conferirebbe a tutti i registri maggiore potenza e smalto, facendo risaltare appieno l’importante vocalità della cantante (non si sa bene perché le cantanti negli ultimi decenni abbiano “terrore” del suono “di petto”).
All’altezza della sua parte, l’angustiata Crisotemide, è stata Helena Junturen, mentre Dario Bercich ha offerto una prova positiva nel ruolo di Oreste. Marko Fortunato è stato Egisto.

Traumi e conflitti dei protagonisti

La regia di Marin Blažević si è concentrata sul dramma dei personaggi, sui loro cocenti travagli, traumi, conflitti. L’essenziale scenografia, che rimanda all’architettura del teatro greco ed esalta la presenza dei personaggi, è di Alen Vukelić e Blažević, come pure le statiche luci.
L’Orchestra, diretta dall’eccelso Ville Matvejeff, ha fatto un lavoro stupendo. Di grande effetto teatrale era il costume di Clitemnestra creato da Sandra Dekanić, la quale nell’abbigliamento delle ancelle-demoni-spettri-mummie fa risaltare un effetto surreale e grottesco. Corretto il coro istruito da Nicoletta Olivieri. Applausi a non finire.
Tra il folto pubblico pure il ministro della Cultura, Nina Obuljen Koržinek.

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