FIUME | La vita e la produzione artistico-letteraria del più grande scrittore fiumano del XX secolo. È l’argomento proposto mercoledì scorso, nella Sala della mostra del glagolitico a Fiume, dalla prof.ssa Gianna Mazzieri Sanković nell’ambito del ciclo di conferenze “Dialoghi con il patrimonio nella Biblioteca universitaria”. A introdurre la relatrice, ben nota al mondo della CNI, è stato il prof. Irvin Lukežić.
Amore per la letteratura e la musica
Gianna Mazzieri Sanković è partita dagli inizi illustrando i tratti salienti dell’infanzia del grande scrittore. “Osvaldo Ramous nasce nel 1905 nel rione popolare di Cittavecchia, in via del Municipio, l’odierna che collega l’albergo Bonavia al Palazzo del Governo”, ha esordito la relatrice, esibendo al pubblico presente in sala una cartina della Cittavecchia d’epoca. Nasce da Maria Giacich e Adolfo Ramous. Nella più tenera età inizia a leggere da autodidatta. Mentre i suoi coetanei si dilettano giocando all’aria aperta, Osvaldo preferisce l’Ariosto. Ben presto s’innamora della musica e in particolare del violino. Zio Nazio osserva l’interesse del piccolo per la musica e lo iscrive alla Scuola comunale di musica. “Gli studi di violino e di pianoforte li proseguirà privatamente per altri dieci anni e la musica rimane una passione che l’accompagnerà per tutta la vita, tanto da influenzare anche la sua produzione letteraria. In contemporanea, frequenta la Civica Scuola Reale Superiore (l’odierna Scuola Media Superiore Italiana di Fiume). Nel 1939 consegue il diploma di abilitazione magistrale.
Giornalista e redattore
“Ormai maggiorenne, Osvaldo si accosta al giornalismo collaborando alla rivista ‘Delta’ di Fiume, diretta da Antonio Widmar, ai quotidiani ‘La Vedetta d’Italia’ e ‘Fiumanella’. Nel 1930 viene assunto come redattore de ‘La Vedetta’ e rimane in carica fino al 1942. Quell’anno accade un fatto del tutto inaspettato: viene licenziato con la motivazione che bisogna ridurre il personale, ma in effetti Osvaldo Ramous è considerato scomodo perché ‘poco fascista’”. Nel settembre del 1936 sposa la dalmata Matilde Meštrović, nipote del famoso scultore Ivan Meštrović. Seguono anni difficili causati dalla Seconda guerra mondiale e dall’esodo. Finito il conflitto, Ramous non si muove dalla sua città e persevera nella convinzione che la forza e la missione di ogni vera cultura siano tenacemente vitali.
A capo del Dramma Italiano
Oltre al suo grande amore per la letteratura, Osvaldo Ramous nutre una vera passione per il teatro. In qualità di membro dell’amministrazione della Sezione Cultura e Arte, contribuisce al clima di ricostruzione e di rinnovamento della città, che vede impegnata tutta la popolazione. Verso la metà degli anni Quaranta dello scorso secolo, diventa direttore del Dramma Italiano, ruolo che ricoprirà fino al pensionamento raggiunto nel 1961, quando finalmente ritrova le condizioni ideali per riscoprirsi poeta, romaziere e autore di numerosi racconti. “È proprio grazie a Ramous che il Dramma Italiano è ancora attivo – ha sottolineato Gianna Mazzieri Sanković –. Nel 1956 rischiava infatti di venire chiuso. Senza pensarci due volte, Ramous si era recato a Belgrado, dov’era riuscito a mantere i posti di lavoro dei dipendenti della compagnia di prosa in lingua italiana”. Ramous scrive drammi e radiodrammi. “Quest’ultimo all’epoca era un nuovo genere molto seguito dagli ascoltatori”, ha detto ancora la relatrice.
Traduttore e promotore culturale
Al termine del primo conflitto mondiale, e in pieno esodo dei fiumani, Ramous decide di rimanere nella sua città. Fiume dovrebbe pertanto sapere riconoscere il suo operato e il grande impegno. Alla fecondità della sua produzione letteraria contribuisce anche il secondo matrimonio avvenuto nel 1951 con Nevenka Malić, responsabile del Teatro per l’infanzia. La coppia è perfettamente unita nei sentimenti e negli interessi culturali. Ramous si occupa anche di interpretariato. Traduce dal francese, dallo spagnolo e da tutte le lingue slave. Lo fa per varie riviste traducendo autori del territorio dell’ex Jugoslavia, rivolgendo un interesse particolare verso Vladimir Nazor, Miroslav Krleža, Ivo Andrić e Tin Ujević. È inoltre traduttore per le testate giornalistiche della minoranza. L’attività culturale di Osvaldo Ramous è alquanto considerevole nello sforzo di avvicinare le due sponde dell’Adriatico, nella consapevolezza del ruolo di ponte che deve assumere la cultura della Comunità Nazionale Italiana. Oltre a organizzare incontri e convegni come quello di Cittadella del 1964 (l’evento segna il primo incontro formale tra scrittori italiani e jugoslavi realizzato in un periodo in cui non sono ancora cristallizzati i rapporti con l’Italia e il semplice transito tra le due sponde dell’Adriatico è ancora difficile), scrive numerosi saggi e articoli su riviste italiane, croate, serbe, tedesche e americane, facendosi per tutti mediatore tra le culture, facilitatore d’apprendimento e di relazioni umane. “Ramous non sopporta i confini ed esclude la politica dalla sua vita e dalla cultura, optando per il cosmopolitismo. Durante la sua ‘carriera poetica’ si occupa di temi quali la morte e la natura. Riceve numerosi premi per le sue opere letterarie, tra cui ricordiamo il Premio della Città di Fiume ottenuto per la silloge Il vino della notte e per il romanzo I gabbiani sul tetto (tradotto in lingua croata come Galebovi na krovu)”, ha affermato ancora la relatrice.
«Il cavallo di cartapesta»
La sua maggiore opera è senza dubbio il romanzo Il cavallo di cartapesta, scritto nel 1967 e pubblicato appena nel 2007. Il volume narra la storia di Fiume e dei suoi abitanti italiani dall’inizio del Novecento a dopo la Seconda guerra mondiale. È anche il primo romanzo appartenente alla letteratura della CNI, che fa riferimento esplicito all’esodo, tema tabù al tempo della sua stesura.
La relazione della prof.ssa Gianna Mazzieri Sanković, che ha attirato un pubblico molto interessato all’argomento, si è conclusa con la lettura di alcuni passi tratti da quest’ultimo romanzo di Ramous e con un suggerimento indirizzato ai dirigenti della Città. “Uno dei modi migliori con cui Fiume possa vantare il titolo di Capitale europea della Cultura 2020, sarebbe quello di tradurre Il cavallo di cartapesta in lingua croata, avvicinando così la storia di Fiume alla maggioranza”, ha suggerito in conclusione.
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