Omaggio a Fellini con «E la nave va…»

Igor Pison, regista sloveno di Trieste, racconta il nuovo progetto del Dramma Italiano e riflette sulle sfide del teatro contemporaneo

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Omaggio a Fellini con «E la nave va…»
Una scena dello spettacolo. Foto: DRAŽEN ŠOKČEVIĆ

Sono giornate di prove intense e tanto lavoro per gli attori del Dramma Italiano, che stanno preparando il progetto “E la nave va” dedicato a Federico Fellini in occasione del centenario della nascita del grande regista italiano. L’omonima pellicola diretta da Fellini, sulla quale si basa lo spettacolo, è del 1983, mentre la regia e l’adattamento della pièce contemporanea sono stati curati da Igor Pison, il quale ci ha concesso un’intervista nella quale rivela gli aspetti più interessanti di questo spettacolo. La drammaturgia è di Lea Kukovičič, la scenografia di Petra Veber, i costumi di Manuela Paladin Šabanović, le luci di Dalibor Fugošić, mentre nei ruoli dei protagonisti si esibiranno Leonora Surian Popov, Mirko Soldano, Ivna Bruck, Giuseppe Nicodemo, Andrea Tich, Sabina Salamon, Filip Eldan e Nikša Eldan. Direttore di scena è Marin Butorac, mentre la suggeritrice è Sintja Lacman. La prima dello spettacolo è in programma domani alle ore 19.30 sul palcoscenico dello “Zajc”, mentre la replica andrà in scena lunedì, 23 maggio, sempre alle ore 19.30.

Foto: IVOR HRELJANOVIĆ

Lei è nato a Trieste, ma fa parte della comunità slovena?
“Sì, faccio parte di quella che potremmo definire minoranza autoctona, ma essendo affascinato dalla letteratura tedesca grazie a Magris, ho studiato a Monaco. La Germania ha una cultura teatrale che corrisponde molto alla mia tipologia estetica e di contenuti. Mi sono specializzato in opera, che è un altro approccio per quanto riguarda il modo di pensare e la regia”.

A parte le opere, ha portato in scena sia drammi che commedie?
“Sì, ho esplorato diversi generi scenici. Forse un giorno mi cimenterò anche nel balletto, non mi dispiacerebbe. Finora ho collaborato spesso con coreografi negli spettacoli musicali. Quando faccio teatro di prosa mi piace mettere in scena anche testi che scrivo da solo o rielaboro in maniera radicale”.

In quale genere si potrebbe inserire lo spettacolo “E la nave va”?
“Non è una domanda facile. Dobbiamo pensare che è uno spettacolo che omaggia Fellini e tutto un mondo che c’è dietro, un mondo non narrativo in senso classico. Anche questo spettacolo ha una struttura molto più simile a un sogno che non a una narrazione lineare. Mi sembrava interessante fare un raffronto fra teatro e cinema, anche perché Fellini usava spesso la finzione del set che è poi un teatro. Mi è sembrato interessante lavorare su questa dimensione. Ovviamente è una storia grottesca che si potrebbe definire commedia volendo dare una definizione forzata, però non è comica”.

Com’è nata la collaborazione con il Dramma Italiano?
“In maniera molto piacevole, perché non capita che si incontri il direttore per puro caso e la curiosità reciproca porti a questi risultati. L’incontro è avvenuto in epoca pre-Covid. Già allora sapevamo che si stava avvicinando l’anniversario di Fellini e si pensava di dedicargli qualcosa. Io ho proposto di usare il film come materia da post produzione. Si tratta di un film atipico e certi dicono che c’è molto più David Lynch in questa pellicola che Fellini, ma a me è sembrato che con questo tipo di storia si possa raccontare bene un omaggio al teatro d’opera e alla fantasia di una voce doppiata da una certa musica. Il gioco con la voce e il falso secondo me in teatro ci stanno”.

Foto: DRAŽEN ŠOKČEVIĆ

Conoscere il film di Fellini è un prerequisito necessario per vedere lo spettacolo?
“Tanti spettatori non l’hanno visto e credo che questo sia molto interessante. Lo spettacolo non è un riassunto del film e secondo me ha due utilità: una è quella di invogliare a vedere il film e la seconda è lasciarsi per una volta trasportare da una storia che non si comprende subito, ma è fatta di sensazioni, di immagini. Non ha necessariamente una narrazione lineare e un po’ ci trasporta in un mondo di sensazioni che mancava in questi anni. Fellini, parlando del film, aveva ammesso di non aver voluto dire praticamente niente, nel senso che racconta e mostra delle cose, apre delle questioni e lascia allo spettatore la possibilità di prendere posizione in merito. Lo spettatore di oggi è saturo di opinioni e qui viene lasciato libero di muoversi in una dimensione un po’ trasognata”.

“E la nave va” può essere considerato una critica dell’arte?
“Allora, la trama è la seguente. Abbiamo quella che può essere considerata un’élite artistica, che decide di mettersi in viaggio per compiere un rito funerario e spargere le ceneri di una delle più grandi cantanti d’opera mai esistite. Il cliché tipico del teatro operistico in salsa italiana è un mondo di supereghi impolverati che fanno un teatro molto tradizionale e in via d’estinzione. Credo che Fellini abbia usato la tipologia di una battaglia fra protagonisti che fanno parte di un teatro polveroso e parlano di un funerale. Ciò è una critica in sé. Viene sempre detto che questo tipo di teatro è ciò che il pubblico vuole, come se il pubblico fosse un’entità univoca, ma ritengo che il pubblico sia molto più intelligente di come lo si dipinge”.

Fellini ha lanciato la sua critica nel 1983. Secondo lei è ancora attuale?
“Assolutamente. Il problema di Fellini in Italia è che lo conosciamo per due o tre capolavori, ovvero ‘La strada’, ‘La dolce vita’ e ‘Amarcord’, però secondo me ci sono altri apici nel cinema felliniano. A parte ‘Otto e mezzo’ che è irraggiungibile in quanto a genialità e racconto dell’arte in genere, anche i film successivi sono una grandissima critica sociale e hanno anticipato fenomeni incredibili. Se guardiamo certe scene di ‘Ginger e Fred’, un film del 1986, dove si passa attraverso una Roma piena di rifiuti, sembra scritto ieri. ‘Prova d’orchestra’ parla di un’orchestra i cui membri non riescono a mettersi d’accordo e ricorda il concerto mancato di un’Unione europea che non riesce a trovare la propria musica. Manca la presa di posizione netta, che magari c’è in qualche altro regista, come ad esempio Jean-Luc Godard, per il quale ho una grande passione. Non per questo il cinema di Godard è meno artistico, né quello di Fellini meno politico. Fellini mette in scena un personaggio, che è un giornalista ed è lui che racconta il film di fronte a una cinepresa. Riprende tutto ed è un po’ il testimone. Fellini dirà spesso che il compito dell’artista in una società così complessa è di essere testimone di tutto, del bello, del brutto, del deforme, del comico, del tragico. La somma di questo dà la foto della società e se si dà una foto onesta della società si riesce a fare anche una critica sociale. Questo è secondo me uno dei problemi più grandi del teatro perché non può esistere un solo tipo di teatro. Il teatro va fatto osservando quello che ci sta attorno e mettendo in scena ciò che abbiamo osservato, sennò si fa un lavoro fittizio”.

Lei ha una visione molto moderna dello spettatore…
“Dobbiamo essere onesti. Le persone che vanno a teatro sono pochissime perché il teatro non è più al centro di una discussione sociale e di altro tipo. La vita di ognuno si articola in moltissimi interessi e secondo me è triste che andare a teatro o andare in palestra abbiano lo stesso peso. Il pubblico di oggi non è più un pubblico di osservatori puri, come poteva essere una volta. Il pubblico di oggi è un pubblico attivo nel bene e nel male. È un pubblico che è stato viziato dalla televisione, che sa di poter decidere di cambiar canale quando si annoia ed è un pubblico facilmente annoiabile. Per questo è giusto provocare in lui certi ragionamenti. È giusto fare un minimo di lavoro quando si va a teatro. L’idea del teatro è instaurare un dialogo col pubblico, per cui questo non è un lavoro solitario, né per gli attori né per me in quanto regista. Penso che sia giusto, per lo spettatore di oggi, lasciarsi cullare nella consapevolezza di non sapere tutto e vedere semplicemente quali sentimenti si provano”.

Com’è stato lavorare con il Dramma Italiano?
“Innanzitutto devo dire che mi piace tanto venire a Fiume, perché la considero una sorta di prolungamento/costola triestino. Spero di non offendere nessuno, ma lo dico perché a Fiume mi sento molto a casa. Anche con gli attori del Dramma Italiano mi sono trovato benissimo perché sono persone che possiedono una volontà e una curiosità che per me sono molto importanti. Ci sono teatri nei quali ormai la curiosità è stata sradicata. Nello Zajc anche il Dramma Croato si è interessato molto alle nostre prove. Ho apprezzato molto questo atteggiamento nei nostri confronti in quanto teatro di minoranza. Ho notato delle similitudini con il Teatro Stabile Sloveno di Trieste, che ho gestito per un periodo. Molto spesso si pensa che far parte di una minoranza, e lo dico in quanto minoranza, sia una scusa e non un pregio. La tendenza è a chiudersi in sé stessi con l’illusione di essere più protetti in questo modo, invece secondo me dovrebbe esistere uno slancio ad aprirsi. Io dico sempre che far parte di una minoranza non è la somma di una sottrazione, perché io non sono metà uno e metà l’altro, ma sono sia l’uno che l’altro, per cui si tratta di un arricchimento e non di una sottrazione. Questo potrebbe essere un buon carburante e potrebbe dare molto più slancio e identità a un teatro come quello italiano a Fiume”.

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