Nove Pietre per ricordare i membri della famiglia Perlow

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Nove Pietre per ricordare i membri della famiglia Perlow

FIUME | Le sorelle Alessandra (Andra) e Tatiana (Tati) Bucci, nate a Fiume, sono due delle pochissime bambine sopravvissute agli orrori del campo di sterminio di Auschwitz. Oggi hanno 82 e 80 anni. Tati vive da 50 anni a Bruxelles. Andra tra l’Europa e gli Stati Uniti, dove trascorre lunghi periodi con la figlia. Alla fine di marzo, saranno a Fiume per la cerimonia di posizionamento di nove Pietre d’inciampo, con cui ricordare i propri familiari vittime dell’Olocausto. In vista di quest’occasione abbiamo interpellato le sorelle, che nell’intervista si alternano come fossero una persona sola, per farci raccontare la loro tragica ma importante storia, e anche per conoscere com’è avvenuta l’intera proposta per il collocamente delle Pietre.

“In Italia, specialmente a Roma, ci sono tantissime Pietre d’inciampo – esordisce Andra Bucci –. Assieme a mia sorella ci è venuta l’idea se fosse possibile posizionarle anche a Fiume con il proposito di ricordare i nostri familiari che non sono mai tornati a casa dai campi di concentramento nazisti e che non hanno un luogo fisico di sepoltura. Tramite l’aiuto e le collaborazioni di varie fonti, abbiamo interpellato l’artista delle Pietre, Gunter Demnig, e l’amministrazione municipale di Fiume chiedendo se fosse possibile realizzare l’iniziativa. Il sindaco Vojko Obersnel – con cui già da prima eravamo in contatto per la presentazione a Fiume del cartone animato ‘La Stella di Andra e Tati’ sulla nostra storia –, ha subito accolto la richiesta, dimostrando anche la sua completa disposizione per organizzare l’intero evento”.

Quando saranno poste le Pietre?

“La cerimonia di collocamento avrà luogo molto probabilmente il prossimo 28 marzo. Abbiamo scelto questa data perché per noi ha un grande significato. Esattamente 75 anni fa, nel 1944, fummo arrestate insieme all’intera nostra famiglia, i Perlow e deportate nel campo di concentramento di Auschwitz II – Birkenau. Complessivamente eravamo in tredici a essere deportati. Io – spiega Andra –, avevo 4 anni, mentre mia sorella Tati, ne aveva 6. Oltre a noi due, c’erano i nonni, nostra madre Mira, gli zii Sonia, Josi e Gisella con il loro figlio Sergio De Simone e altri parenti. Purtroppo dell’intera famiglia deportata, solo in quattro, zia Gisella, nostro madre Mira e noi, siamo sopravvissute. Nostro padre, Giovanni Buccich, cattolico, che con l’avvento dal fascismo dovette cambiare cognome in Bucci per non perdere il posto di lavoro, rimase invece prigioniero in Sudafrica fino alla fine della guerra”.

Quante Pietre saranno collocate?

“Saranno posizionate nove Pietre, a ricordare i membri della famiglia Perlow, che non fecero più ritorno a casa. Saranno sistemate davanti al civico 15 di Via Moša Albahari, ex via Milano, luogo dell’abitazione della famiglia. Saranno bilingui, italiano-croato, e riporteranno i nomi di Mira Perlow Bucci, Mario Perlow, Sonia Perlow, Jossi Perlow, Aron Perlow, Carola Braun Perlow, Rosa Farberow Perlow e Silvio Perlow. Una particolare Pietra sarà dedicata a nostro cugino Sergio De Simone, che, a soli sei anni, morì, assieme ad altri venti bambini per essere stato sottoposto dai nazisti a una serie di atroci esperimenti sulla tubercolosi”.

Che ricordi conservate della notte in cui vennero a prendervi?

“Riesco ancora a rievocare il momento terribile in cui soldati tedeschi e fascisti bussarono alle porte della nostra casa in via Milano per portarci via. Siamo stati caricati in treno a Sušak per finire nella Risiera di San Sabba, da dove è iniziato poi il viaggio, di parecchi giorni, per Auschwitz. Eravamo ammassati nei vagoni blindati del treno, senza luce e senza aria, con poche cose da mangiare. Ad Auschwitz, assieme a nostro cugino Sergio De Simone, siamo state separate dalla mamma. Una volta giunte nell’immenso complesso, siamo state internate nel lager di Auschwitz riservato ai bambini. Ci siamo rimaste fino alla liberazione del campo, avvenuta il 27 gennaio del 1945, da parte dell’Armata Rossa. Da lì è iniziato un girovagare per l’Europa, finché siamo state accolte nella campagna inglese di Lingfield con altri bambini sopravvissuti o scampati allo sterminio nazista. Lì abbiamo di nuovo scoperto il calore umano, grazie al quale abbiamo ricominciato a essere nuovamente due bambine normali. Nel frattempo nostra madre, che credevamo morta, per fortuna non lo era; riuscì a ricongiungersi al marito, e dopo due anni, attraverso la Croce rossa internazionale, ci ritrovarono in Inghilterra. Va detto che in tutto questo periodo avevamo dimenticato la nostra provenienza e avevamo disimparato l’italiano, dato che nel lager si parlava una babele di lingue. Tuttavia, grazie alla sorte, siamo riusciti a riunirci di nuovo tutti insieme”.

Che cosa vi ha aiutate a restare in vita?

“L’unica fortuna che abbiamo avuto è stata quella di restare unite. Un legame che ci ha dato la forza per sopravvivere. Essere piccole in quella follia è stato anche un bene, perché le molte cose che sono successe sono state semplicemente rimosse dalla memoria. Anche una volta tornate a casa assieme alla mamma, non abbiamo mai parlato della vita nel campo o di quello che ci era accaduto. Era quasi come un tabù da evitare, anche perché nostra madre voleva cancellarlo a tutti costi. Va detto inoltre che subito dopo la guerra, molti dei sopravvissuti spesso esitavano a raccontare ciò che accadeva nei campi, perché non venivano creduti”.

Quali sono i vostri ricordi del campo?

“Abbastanza forti. Sono dei flash, per lo più episodi isolati. Il più terrificante riguarda nostro cugino Sergio De Simone, che è stato uno dei 20 bambini assassinati a Bullenhuser Damm. Sergio, che era nel nostro stesso gruppo, aveva solo sei anni, ed era stato diviso dalla madre Gisella Perlow esattamente come noi dalla nostra. Accadde che il medico Kurt Heissmeyer del campo di concentramento di Neuengamme presso Amburgo, avesse chiesto a Josef Mengele venti bambini per una serie di esperimenti sulla tubercolosi. Mengele selezionò tra i piccoli del campo di sterminio di Auschwitz II – Birkenau dieci maschi e dieci femmine, che successivamente furono trasportati a Neuengamme, come cavie umane per osservare gli effetti della TBC. La selezione la fecero però con un inganno. Escogitarono una cosa veramente subdola e diabolica: chiesero di fare un passo avanti a tutti coloro che volevano rivedere la loro mamma. Io e mia sorella eravamo state avvertite però da una ‘blockova’ (donna del campo che aveva il compito di sorvegliare i piccoli, nda.), la quale ci aveva prese a cuore, dicendoci di stare ferme e zitte. Nostro cugino Sergio fece invece un passo avanti. Pochi giorni dopo arrivarono gli uomini in uniforme. Tra di loro c’era anche il famigerato dottor Mengele. I nazisti avevano escogitato questa trappola di selezione affidata al caso. Siamo sicure che se avessero avuto bisogno di altri bambini avrebbero preso anche noi. I piccoli furono vittime di atroci esperimenti medici. Nei loro corpi vennero introdotti i bacilli della TBC allo scopo di raccogliere gli anticorpi e preparare un vaccino. Verso la fine della guerra nella scuola di Bullenhuser Damm a venti bambini del gruppo vennero date iniezioni di morfina, e quando furono in stato d’incoscienza, li impiccarono con dei ganci da macello. La stessa sorte fu riservata ai prigionieri che si erano occupati di loro, sotto la direzione di Kurt Heissmeyer, ossia due medici francesi e degli infermieri olandesi. La triste storia di questi 20 bambini fu scoperta per merito del giornalista Günther Schwarberg, scomparso diversi anni fa, che dedicò tutta la sua vita a cercare i colpevoli e a processare gli assassini di Bullenhuser Damm. In parte ci è riuscito”.

Che importanza ha per voi il collocamento delle Pietre d’inciampo a Fiume?

“Significa ricordare i nostri familiari che non sono più tornati a casa. Allo stesso modo sarà anche un segno, una traccia indelebile, un monito per tutti coloro che ci passeranno sopra, a ricordare ciò che è accaduto affinché non si ripeta mai più. Spero con tutto il cuore che un’altra Shoah non possa più accadere. Siamo però testimoni oggi di un mondo che tende all’estrema destra e che provoca solamente sofferenza e umiliazione”.

Di recente avete raccolto le vostre memorie nel libro autobiografico “Noi, bambine ad Auschwitz. La nostra storia di sopravvissute alla Shoah”?

“Sono vent’anni oramai che siamo ospiti delle scuole per raccontare le vicende che ci interessano da vicino. Lo facciamo perché consideriamo molto importante trasmettere alle giovani generazioni le testimonianze della follia dell’odio, delle persecuzioni, delle atrocità dell’Olocausto. L’abbiamo fatto in tantissimi istituti scolastici europei, tra cui anche al Liceo di Fiume alcuni anni fa. Siamo state anche in Germania, dove i ragazzi chinano la testa e guardano per terra, perché il Paese ha fatto i conti con ciò che è successo, al contrario di quanto è avvenuto in Italia, dove si cercano ancora delle giustificazioni. Abbiamo realizzato il volume perché desideravamo dare una forma scritta alla nostra storia e finalmente ci siamo riuscite. Il messaggio che trasmettiamo ai giovani è quello di alzare il capo contro l’indifferenza e a scegliere di non abbracciare l’odio ma la vita. Siamo riuscite a realizzarlo grazie alla collaborazione della Fondazione Museo della Shoah di Roma e con l’aiuto di Umberto Gentiloni, Marcello Pezzetti e Stefano Palermo. Il libro è dedicato a tutti i bambini di Auschwitz, ai pochi che, come noi, sono sopravvissuti, e ai tanti che non ce l’hanno fatta. In concomitanza con la pubblicazione della Mondadori, è uscito anche ‘La stella di Andra e Tati’, che è un libro per bambini, edito dalla De Agostini, di Alessandra Viola e Rosalba Vitellaro, tratto a sua volta dall’omonimo film d’animazione prodotto da RAI Ragazzi”.

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