
In una sala gremita all’inverosimile, si è tenuto il convegno “Nesazio. Dalle fonti ai primi scavi”, primo dei sei eventi collaterali alla mostra “Histri in Istria”, realizzata dalla Comunità Croata di Trieste insieme al Museo Archeologico dell’Istria in coorganizzazione con il Comune di Trieste, allestita al Museo di Antichità “J.J. Winckelmann” di Trieste e aperta al pubblico fino al prossimo 1º aprile.
Dopo i saluti del presidente della Comunità Croata, Damir Murković, lo storico Gino Bandelli ha tenuto una relazione sugli eventi che videro scontrarsi Istri e Romani, le tre guerre che interessarono l’area e le sue popolazioni tra il 221 e il 129 a.C.. Gino Bandelli è stato professore ordinario di Storia romana prima all’Università di Verona e poi a Trieste. Attualmente è vicepresidente della Deputazione di Storia Patria per la Venezia Giulia.
Guerra e pace
Nella sua dettagliata narrazione Bandelli si è soffermato in particolare sulla ricerca delle fonti storiche, ricordando che non ci sono notizie coeve alla prima guerra del 221 e che del fatto si ricava solo una riga dai riassunti di Tito Livio che dice “Istri subacti sunt”. Si sa che i Romani addussero la necessità di far finire l’attività piratica in Adriatico, che confliggeva con gli interessi delle colonie greche, dei mercatores e delle popolazioni indigene. Ha riferito Bandelli di come i Romani fossero riusciti a stringere un accordo pacificatorio con il padre di Epulone, che dettò le condizioni perché non ci fossero “molestie” in quel periodo. Ma è con l’avvento al trono del figlio nel 178 a.C. che la situazione cambiò. Livio nel 41º libro scrive che il re degli Istri riprese l’attività piratesca, Plauto parla ironicamente di imperatore histricus, giocando sul doppio senso delle parole, Ennio descrive Epulone che dall’alto dei monti della Vena vede arrivare i Romani da Aquileia. Siamo alla seconda delle guerre con gli Istri, che dalle varie aree della penisola istriana dove si erano fermati gli accampamenti e la flotta romana si sposta a Nesazio.
I lavori di scavo
Ma dove stava Nesazio? Per scoprirlo, ci ha ricordato lo storico, bisogna attendere il 1865 e Pietro Kandler, famoso studioso triestino che individuò l’area di Nesazio nella zona di Monticchio, presso il villaggio di Altura in località Visazze (che alla lontana echeggia l’antico nome) a solo 11 chilometri da Pola. Ci vollero altri trent’anni perché si iniziassero gli scavi. La guerra del 178-7 a.C. finì con una strage di donne e bambini per mano degli stessi Istri e con il suicidio di Epulone. Il console romano Gaio Claudio Pulcro fece deviare il fiumicello che attraversava la città, togliendo le risorse idriche agli Istri, che dovettero capitolare. Dalle fonti si evince che i Romani imposero regole e vincoli di sottomissione ai vinti. Del 129 a.C. ci sono fonti epigrafiche che attestano che il console Gaio Sempronio Tuditano avesse definitivamente sconfitto questo popolo: Plinio il Vecchio ricorda l’iscrizione sulla statua a lui dedicata “Tuditanus, qui domuit Histros”.
Numerosi i ritrovamenti
Marzia Vidulli Torlo, conservatrice del Civico Museo d’Antichità “J.J. Winckelmann”, proseguendo la conversazione si è maggiormente soffermata a descrivere, il sito di Nesazio, mostrando piante che evidenziano, come disse Carlo Marchesetti, le condizioni naturali eccezionali di sicurezza del luogo. Ha proiettato numerose immagini degli scavi dell’epoca. Scavi che crearono non poche situazioni conflittuali tra Alberto Puschi e Piero Sticotti nei confronti della Società istriana incaricata di eseguirli. Troppa leggerezza, poche cautele, eccessiva smania nel diffondere le notizie: nel 1901 il Puschi scrisse ad Amoroso che erano diventati la “tromba dei giornali”. Gli scavi avevano luogo tra maggio e giugno alla presenza dei due esperti, ma poi in loro assenza gli scavi proseguivano. Ci fu chi arando un terreno che avrebbe dovuto essere sotto la tutela archeologica rinvenne una statua di due metri. Marzia Vidulli Torlo ha riferito dei ritrovamenti nel sepolcro familiare che comprendevano frammenti di sculture micenee, ma anche ceramica veneta, un pendente a pettine di produzione picena, ventagli in rame etruschi, vasi dauni dalla Puglia, vasi di epoca tardo-ateniese, a dimostrazione dei grandi scambi e contatti degli Istri con le altre popolazioni adriatiche e italiche. Ha ricordato in conclusione che gli Istri non hanno lasciato nessuna traccia scritta, per cui non si conosce la loro lingua. Ma alle domande del pubblico ha anche ricordato come gli Istri non potessero essere autoctoni, come peraltro tutte le popolazioni che man mano avanzavano in Europa, perché fino al 12º secolo a.C. i morti venivano tumulati e solo l’arrivo di un nuovo popolo, che annientò quello precedente, giustifica il repentino cambiamento verso la cremazione.
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