Nel ventre della balena sospesi tra confini, sogni e identità

L'«Ivan de Zajc» ospiterà la prima dello spettacolo «In the belly of the whale», parte del progetto euro-africano «Deconfining». Fa parte del cast internazionale anche Serena Ferraiuolo del DI, che abbiamo incontrato per farci raccontare alcune particolarità della coproduzione croato-tunisina

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Nel ventre della balena sospesi tra confini, sogni e identità
Serena Ferraiuolo. Foto: IVOR HRELJANOVIĆ

Lunedì, 3 marzo, con inizio alle ore 19.30, il Teatro Nazionale Croato “Ivan de Zajc” di Fiume ospiterà la prima della produzione teatrale “In the belly of the whale” (Nella pancia della balena), frutto della collaborazione artistica tra l’ente quarnerino e quello di Tunisi. L’opera, diretta dall’autrice tunisina Marwa Manai, affronta con straordinaria sensibilità il tema universale e senza tempo delle migrazioni, esplorando le fratture sociali che tale fenomeno genera nelle società contemporanee. Come nel racconto di Giona, trovarsi nel ventre oscuro dell’animale può rappresentare un passaggio doloroso ma necessario per un cambiamento profondo, tradotto, per i migranti, in un viaggio sia fisico che interiore: attraversano confini geografici, ma anche identificativi e culturali, in cerca di un futuro migliore. Al contempo, lo stesso può essere letto come una metafora della condizione clandestina, delle difficoltà burocratiche e della lotta per il riconoscimento e l’integrazione. La rappresentazione si inserisce nell’ambizioso progetto euro-africano “Deconfining”, teso a favorire uno scambio culturale sostenibile tra Europa e Africa, promuovendo la creazione artistica quale strumento di dialogo e connessione tra mondi apparentemente distanti.

Un mosaico di storie e prospettive
L’intelaiatura drammaturgica della pièce nasce dalla fusione di quattro racconti contemporanei, firmati dalle scrittrici croate Iva Papić (“Meistens Bettler, meistens Gesinde” (Mendicanti o servi)) e Dorotea Šušak (“L’anatomia del punto/Non permettermi di sparire” (Anatomija točke/Ne dopusti mi da nestanem)) e dalle autrici tunisine Samia El Amami e Mouna Ben Haj Zekri. Come accennato, queste narrazioni, pur radicate in esperienze personali e intime, si aprono a riflessioni universali, tessendo un mosaico di desideri, paure e speranze relative all’attraversamento di confini fisici e simbolici. Con uno sguardo al contempo poetico e politico, la regista restituisce la tensione tra sogno e realtà, tra la volontà di un futuro migliore e le barriere imposte dalle società d’accoglienza. Il cast internazionale, che unisce attori croati e tunisini, contribuisce a rendere lo spettacolo un vero e proprio crocevia culturale: Mario Jovev, Serena Ferraiuolo ed Edi Ćelić da Fiume, affiancati da Sonia Zarg Ayouna, Nadia Belhaj, Thawab Aidoudi e Allam Barakat da Tunisi. A completare l’originale impianto creativo è il team artistico costituito dalla drammaturga Maja Ležaić, dallo scenografo Alan Vukelić, dal compositore Riadh Bedoui, dalla costumista Sandra Dekanić e dal videomaker Souhail Ben Hamida.

Superamento delle barriere artistiche
L’allestimento di “Nella pancia della balena”, rientra nell’ambito del progetto “Deconfining”, mirato a superare le barriere culturali attraverso la partecipazione artistica e la combinazione di contenuti virtuali e fisici, è finanziato dal programma “Creative Europe” dell’Unione Europea. Lo stesso riunisce 12 partner provenienti da 11 Paesi europei e africani, nello specifico il TNC “Ivan de Zajc” di Fiume, “ITI-DE”, Berlino (Germania); “Pro Pogressione Kulturalis nonprofit Kozhasznu KFT”, Budapest (Ungheria); “BODO 24”, Bodo (Norvegia); “Kulturhauptstadt Bad Ischl – Salzkammergut 2024”, Bad Ischl (Austria); “National Kaunas Drama Theatre”, Kaunas (Lituania); “Art Transparent Contemporary Art Foundation – Wroclaw” (Polonia); “Institut Umeni – Divadelni Ustav”, Praga (Cecoslovacchia); “On the move”, Bruxelles (Belgio); “Goethe Institut” EV, (Germania); “Institute of transmedia design”, Lubiana (Slovenia) e “Culture Funding Watch”, Tunisi (Tunisia).

Serena vs Silvia
A ribadirlo è stata anche la versatile e brillante attrice Serena Ferraiuolo, da sette anni a questa parte facente parte del Dramma Italiano dello “Zajc”, scelta da Manai regista per l’interessante ruolo della ricercatrice italiana Silvia Visconti, che abbiamo incontrato per farci raccontare qualcosina in più. Trattandosi di una coproduzione croato-tunisina, ci incuriosiva capire come mai è stata coinvolta nell’ambizioso progetto, al che l’artista ci ha spiegato che “su proposta della precedente sovrintendenza, la regista, desiderando conoscere a distanza le nostre esperienze, vedere qualche video e capire come cominciare, visionò i materiali inviati. È un progetto avviato molto prima della collaborazione tra i due teatri, ispirato dai quattro racconti vincitori del concorso ‘Deconfining arts culture and policies in Europe and Africa’ (di due autrici croate e due tunisine)”.

Uno spettacolo, quindi, multilingue e multiculturale…
“Esatto. Vi si parla l’inglese, l’arabo, nello specifico il tunisino, il siriano e il libanese, qua e là il francese, un pochino di croato e poi ci sono io che interpreto un personaggio italiano. Con lo stesso andremo in alcuni dei Paesi partner, quali la Lituania, l’Austria e l’Ungheria”.

Ci racconta il suo personaggio?
“Sono Silvia Visconti, una professoressa/ricercatrice di materie umanistiche, che rispetto a ciò che accade nel centro per migranti in seno allo spettacolo, vivo nel futuro ma scavo nel passato. Quindi, in un certo qual modo, faccio le veci di una portavoce, un personaggio al limite tra il pubblico e la mia storia, a cavallo tra i due mondi. Riguardo al ruolo, devo ammettere di sentire non poca responsabilità, nel senso che non è solamente il dare voce a un testo già esistente, di interpretazione e sensibilità, bensì di apportarvici, magari avvalendomi delle parole, delle cose dalle quali attingo, delle esperienze personali, un contributo creativo, autoriale. Tra l’altro, Silvia è incinta, per cui sente la doppia consapevolezza del dare la vita a una persona che attraverserà un futuro in cui a un certo punto lei non ci sarà più e che vivrà il mondo che lasceremo, nonché ho la possibilità di esplorare un’altra dimensione che ancora non conosco. Inoltre, dato che la regista ci ha dato la possibilità di spaziare, ognuno di noi ci ha messo del suo, e nel mio caso, alla fine del testo, ho inserito un qualcosa di molto personale, tradotto in un mio sogno. Quindi, in quanto all’attenzione al futuro, lo spettacolo se ne occupa sotto molti aspetti con grande sensibilità e sono molto curiosa di come reagirà il pubblico fiumano, in primis riguardo al multilinguismo. Senza contare che tutti noi per comunicare abbiamo lavorato e improvvisato in inglese, pertanto è un progetto veramente ricco e importante”.

Parlando di responsabilità, la tematica delle migrazioni è molto delicata e richiede un approccio particolare. Come la vive?
“Anche nel caso della stessa, così importante e contemporanea, nonché una ferita sempre aperta, l’onere è grande, tantoché una parte di me si chiede di continuo – ‘Sarò in grado?’. Non bisogna, però, farsi bloccare dalla paura, bensì è fondamentale documentarsi e approfittare dell’occasione per approfondire e comprendere meglio. In tale senso, i racconti scelti denotano una forte sensibilità e mi hanno aiutata molto: in effetti, essendo gli stessi scritti da quattro donne, come pure lo sono la regista e la drammaturga, la pièce è molto ‘femminile’. Inoltre, trattando la stessa l’argomento dell’incontro fra culture diverse, non poteva mancare il toccare anche i concetti di appartenenza e identità, che a mio vedere non sono affatto rigidi. Nel mio caso, ad esempio, nonostante sia nata a Napoli, mi sento fiumana di adozione e Fiume è un po’ casa mia, per cui mi ritengo appartenente a due realtà”.

Che emozioni ha provato nel collaborare con i colleghi tunisini?
“In quanto napoletana, quindi del sud Italia, se consideriamo la tematica relativa agli sbarchi in Sicilia, l’argomento raccontato nello spettacolo mi è molto vicino. Inoltre, da alcuni anni a questa parte vivo a Fiume, la città multiculturale per eccellenza, per cui incontrarli è stato bellissimo e molto forte. Siccome per me l’obiettivo principale nel teatro è essere travolti dalle cose, nonché farsi trapassare e scontrarsi con esse, anche in seguito al racconto da parte della regista, Marwa, di varie esperienze, tra cui alcune sue personali, sono stata investita da una marea di emozioni”.

È soddisfatta dell’esperienza?
“È un’esperienza molto particolare, che sono contenta abbia l’occasione di vivere, anche perché uno dei motivi per cui scelsi di fare questo mestiere fu banalmente la mia passione, nutrita sin da piccola, per il viaggio. Lo si fa anche quando si è fermi in un posto, affrontando testi e autori stranieri, leggendo e ascoltando storie, confrontandosi con i colleghi, con gli altri in generale”.

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