
Ci sono incontri che accadono per caso e altri che sembrano scritti nel destino, come fili invisibili che si intrecciano tra le pagine di un archivio. La storia di Andrea Benedetti e Stefano Rota è uno di quegli incontri, un legame che il tempo non ha spezzato, ma anzi ha lasciato impresso nella carta, nell’inchiostro, nelle mani di chi, sfogliando documenti ingialliti, ha saputo riconoscere un dialogo mai interrotto. Due uomini separati da un secolo, eppure uniti da una passione incrollabile per la storia della loro terra, l’Istria.
La ricostruzione del passato
La conferenza “Incroci d’archivio: Stefano Rota e l’Istria nelle carte di Andrea Benedetti”, avuta luogo lo scorso weekend presso la Casa dei castelli di Momiano, che opera in seno al Museo storico e navale dell’Istria, è stata quindi il punto d’incontro di due memorie, un viaggio tra le tracce lasciate da chi ha dedicato la propria vita a ricostruire il passato. A condurre il pubblico attraverso questo affascinante intreccio di vite e documenti è stata Lia Zigiotti, archivista e studiosa, il cui lavoro di ricerca ha portato alla scoperta di un legame inaspettato tra gli archivi di Andrea Benedetti, storico rovignese del XX secolo, e Stefano Rota, nobile piranese e appassionato erudito dell’Ottocento.

Foto: La casa dei castelli
L’incontro è stato aperto da Tanja Šuflaj, responsabile della Casa dei Castelli, che ha ricordato che l’evento, cofinanziato dalla Regione istriana, si inserisce nell’undicesimo ciclo di incontri dedicati alla riscoperta del patrimonio storico e culturale dell’Istria, organizzati dall’Università Popolare Aperta di Buie e, da quest’anno, anche dalla Casa dei Castelli. Ha espresso gratitudine a Franco Rota e alla signora Anna Benedetti per aver ispirato l’incontro, in particolare a Franco Rota per averle fatto conoscere la dottoressa Lia Zigiotti. La Šuflaj ha porto pure un saluto speciale all’Assessore regionale alla cultura e alla territorialità, Vladimir Torbica. Dopo i saluti istituzionali, la parola è passata alla relatrice della serata.
Zigiotti, nata e cresciuta a Pordenone, dopo gli studi superiori si è specializzata in archivistica presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia con una tesi sull’archivio dello storico rovignese Andrea Benedetti, attualmente conservato presso l’Archivio di Stato di Pordenone. Oggi lavora presso l’Archivio Generale del Comune di Verona.
Un lungo percorso di ricerca
La relatrice ha introdotto il suo intervento raccontando il lungo percorso di ricerca che l’ha portata a studiare l’archivio dello storico Andrea Benedetti, conservato presso l’Archivio di Stato di Pordenone. Nato nel 1896 a Rovigno d’Istria, Benedetti dedicò la sua vita allo studio della storia della sua terra. Trascorse l’infanzia tra Rovigno, Umago (città natale della madre) e Pordenone (luogo d’origine della nonna materna, la contessa Teresa Montereale Mantica).
La sua formazione si svolse tra Capodistria, Padova e Bologna, fino a quando, nel 1916, aderì agli ideali irredentisti e fuggì in Italia per arruolarsi volontario nell’esercito italiano. Dopo aver combattuto sul Carso e sul Piave, partecipò all’impresa di Fiume con Gabriele D’Annunzio, un periodo della sua vita che però non lasciò tracce nel suo archivio. Successivamente, si laureò in storia all’Università di Trieste e intraprese la carriera di insegnante, prima al Liceo Petrarca di Trieste, poi a Cento e infine a Roma, dove si stabilì definitivamente nel 1936. Nonostante la distanza, Pordenone e l’Istria rimasero al centro della sua produzione storica. Nel 1952 fondò “Il Noncello”, rivista culturale che diresse fino al 1973, diventando un punto di riferimento per gli studi sulla storia friulana e istriana. Benedetti morì improvvisamente nel 1978, durante un soggiorno estivo a Pian di Pan, nei pressi di Pordenone. Due anni dopo, nel 1980, il figlio Marino Benedetti donò il suo archivio all’Archivio di Stato di Pordenone, dove venne successivamente riordinato e inventariato.

Foto: La casa dei castelli
Sei metri lineari di documentazione
Come emerso alla serata, l’archivio di Andrea Benedetti si compone di oltre 300 fascicoli suddivisi in 42 faldoni, per un totale di sei metri lineari di documentazione. Al suo interno si trovano appunti, bozze e trascrizioni inedite su storia istriana e friulana, nonché un vastissimo carteggio con colleghi, studiosi e appassionati di storia. Non mancano giornali, ritagli di articoli e riviste di epoca novecentesca e bozzetti araldici e genealogici, disegnati dallo stesso Benedetti a testimonianza della sua passione per la storia nobiliare e la genealogia. L’archivio è stato riordinato tra il 1997 e il 2007, con la creazione di serie archivistiche suddivise per tematiche.
Durante la sua ricerca, Lia Zigiotti ha scoperto un aspetto particolarmente intrigante: tra le carte di Benedetti si trovavano documenti appartenenti alla famiglia Rota di Pirano. La conferenza ha così introdotto la figura di Stefano Rota, conte di Momiano, vissuto tra il 1824 e il 1896. Uomo di grande cultura, Rota dedicò la sua vita alla gestione dell’archivio e della biblioteca comunale di Pirano e all’ordinamento del proprio archivio familiare. L’archivio Rota, oggi conservato presso l’Archivio di Stato di Capodistria, comprende documenti dal XVI al XX secolo e si distingue per la ricchezza di corrispondenze, atti amministrativi e genealogie nobiliari.
L’elemento più sorprendente della ricerca riguarda il legame tra questi due archivi. Tra i documenti di Andrea Benedetti sono emerse lettere inviate a Stefano Rota da alcuni dei più illustri intellettuali del suo tempo, tra cui Pietro Paolo Kandler e Carlo De Franceschi.
Il primo indizio
Secondo Zigiotti, una lettera del 1922 fornisce un primo indizio: in essa Maria Rota, figlia di Stefano, scrive a Benedetti parlando della volontà di donare un manoscritto del padre alla Biblioteca Comunale di Trieste. Inoltre, in una lettera del 1932, Benedetti chiede informazioni genealogiche a Giacomo Rota, avvocato di Trieste, segno del suo crescente interesse per la famiglia. Un documento fondamentale è una lettera del 1953, in cui Benedetti afferma di aver salvato alcune lettere di Kandler “da certa dispersione” circa trent’anni prima, quindi intorno al 1923, periodo in cui l’archivio Rota venne trasferito da Pirano a Umago. Secondo l’ipotesi più accreditata, Benedetti, in quegli anni giovane studioso appassionato, potrebbe aver avuto accesso all’archivio familiare Rota durante il trasloco e aver conservato alcuni documenti che riteneva particolarmente preziosi. Curiosamente, però, mentre nell’archivio Montereale Mantica Benedetti lasciò molte annotazioni a margine, nei documenti dell’archivio Rota-Benedetti non si riscontrano sue tracce dirette, se non le trascrizioni e le pubblicazioni basate su queste carte.
Documenti che viaggiano
L’incontro ha quindi messo in evidenza l’importante intreccio tra gli archivi Benedetti e Rota, due figure chiave per la storia dell’Istria e del Friuli Venezia Giulia. L’analisi archivistica ha permesso di ricostruire il percorso dei documenti e di formulare ipotesi sulla loro trasmissione, lasciando ancora aperti alcuni interrogativi. La ricerca continua, con l’auspicio che futuri studi possano approfondire ulteriormente il loro rapporto.
La conferenza si è chiusa con un interessante dibattito tra il pubblico e la relatrice. Il lavoro di Lia Zigiotti ha permesso così di ricostruire una storia fatta di incontri tra epoche diverse, di documenti che viaggiano e di memorie che si intrecciano. L’archivistica, come ha sottolineato la Zigiotti, non è solo una scienza della conservazione, ma un’arte della ricostruzione, capace di far dialogare passato e presente. E forse, in fondo, la storia non è altro che questo: un continuo incrocio di vite e di carte, che qualcuno, con pazienza e passione, si prende il compito di ricomporre.
Tutti i diritti riservati. La riproduzione, anche parziale, è possibile soltanto dietro autorizzazione dell’editore.
L’utente, previa registrazione, avrà la possibilità di commentare i contenuti proposti sul sito dell’Editore, ma dovrà farlo usando un linguaggio rispettoso della persona e del diritto alla diversa opinione, evitando espressioni offensive e ingiuriose, affinché la comunicazione sia, in quanto a contenuto e forma, civile.