
Ci sono uomini che abitano il teatro, e poi c’è chi il teatro lo attraversa, lo scardina, lo riplasma. Mirko Soldano appartiene a questa seconda, rara specie, quella di chi non si limita a recitare un ruolo, ma mette in discussione la scena stessa, ne reinventa i confini, la lingua, il senso. Attore per vocazione, oggi direttore f.f. del Dramma Italiano di Fiume, Soldano incarna un’idea di cultura come dialogo, come attraversamento di frontiere linguistiche, generazionali, identitarie.
Figlio di madre siciliana e padre parmigiano, italiano in terra croata, porta in sé il paradosso fertile della minoranza che rifiuta il rifugio dell’autocompiacimento, e sceglie invece il rischio della trasformazione. La sua visione è limpida: non conservare, ma rilanciare. Non rassicurare, ma interrogare. Non compiacere, ma coinvolgere. In un’epoca che frammenta, Mirko cuce. Tesse connessioni tra tradizione e innovazione, memoria e urgenza contemporanea, Goldoni e Baricco, giovani drammaturghi e maestri riconosciuti. Nella sua idea di teatro, la lingua italiana – e il dialetto fiumano – diventano strumenti vivi, cangianti, capaci di raccontare un’Europa irrisolta, le tensioni dell’identità, i conflitti del nostro tempo. Abbiamo avuto il piacere di parlarne con lui in un’intervista intensa e ricca di spunti, che restituisce tutta la complessità e la lucidità del suo sguardo. E se recitare resta per lui un gesto necessario, un ritorno alla carne viva del mestiere, è nella direzione artistica che oggi trova il suo spazio di libertà più autentico, da condividere, da mettere in relazione, da aprire agli altri. Perché, in fondo, il teatro è un luogo dove tutto può ancora cominciare. Inevitabile, allora, chiedergli del passaggio dal palcoscenico alla direzione artistica, una svolta professionale, ma anche politica, esistenziale.
Identità in movimento
“Il passaggio è stato splendido. Dopo vent’anni di lavoro nel Dramma Italiano (dal 2004 al 2009 e dal 2013 a oggi), sentivo la necessità di un cambiamento, immaginato quale transizione, non rottura”, ha esordito, spiegando che “il mio desiderio nasceva dal bisogno di contribuire in modo diverso alla vita del teatro, non come critica al passato, ma come apertura verso nuove possibilità. Volevo cogliere l’opportunità, mettermi alla prova. Con un pizzico di arroganza, forse, ma anche con profonda consapevolezza: sono parte della compagnia da moltissimi anni, ne conosco le dinamiche, gli attori, la storia e il repertorio. Ho colto la nomina della nuova sovrintendente, Dubravka Vrgoč, come occasione per avviare un dialogo, e a seguito dell’attenta lettura del suo programma, ho riconosciuto nelle sue parole un’apertura a visioni che da tempo nutrivo. Da lì è nato tutto. Poi, ovviamente, la realtà si è mostrata in tutta la sua complessità, tradotta nel personale ridotto, in difficoltà linguistiche e logistiche… ma anche tanta voglia di fare”.
Qual è, dunque, la sua visione per il futuro del Dramma Italiano?
“Intendo il futuro del DI in prospettiva, come un percorso di completa apertura, un cambiamento graduale ma deciso. Ritengo che una minoranza non debba arroccarsi nella difesa di un’identità statica, bensì accompagnarne la trasformazione. Proprio qui, a Fiume, ho cominciato a interrogarmi profondamente su chi fossi. E non c’è una risposta definitiva: siamo una costellazione di origini, culture, frammenti. Io stesso sono una minoranza nella minoranza, nato da madre siciliana e padre parmigiano, italiano in terra croata. La nostra posizione, quale parte integrante di un Teatro Nazionale, non è marginale, bensì fondativa, il che ci dà una responsabilità ma anche la grande libertà di affrontare temi difficili, parlare alla città, riflettere sull’Europa, sulle lingue, sulle frontiere, sull’alterità. Il nostro è un punto d’osservazione privilegiato, che dobbiamo sfruttare per porre domande essenziali: cosa intercettiamo come compagnia? Quali tematiche rappresentiamo? Quali narrazioni ci appartengono? La nostra lingua – l’italiano e il dialetto fiumano – si muove in un contesto dinamico, fluido, esattamente come Fiume, ancora oggi, nonostante l’Unione europea, città di frontiera, crocevia di culture e tensioni”.
Radici e visioni
Parlando di repertorio, come ha in mente di conciliare la memoria con il presente?
“La nostra direzione è tesa a stimolare il pubblico, a scuoterlo con delicatezza, non a rassicurarlo, in quanto il teatro pone domande, non dà risposte. E anche se non siamo una compagnia d’avanguardia, sentiamo il dovere di mantenere viva la memoria, e al contempo interrogarci sul presente. Siamo già su questa strada con ‘Fiumani: europei per tradizione e un po’ per forza’, di cui ho curato concetto e regia, e con ‘Illusioni’ di Ivan Vyrypaev, un testo raffinato, intimo, che riflette sul confine tra verità e finzione, sull’amore, sul tempo, sul rapporto con la memoria, con i quali parteciperemo a Go2025. E questi sono solo due esempi. Il nostro lavoro si muove su due binari: da un lato, esplorare la contemporaneità in tutte le sue contraddizioni e dall’altro dialogare con la comunità, coinvolgerla in un processo partecipativo. In tale contesto, collaboriamo attivamente con la Comunità degli Italiani di Fiume, guidata da Enea Dessardo, per portare il teatro anche al Circolo e coinvolgere i giovani. Tra i nostri progetti c’è altresì la produzione di “Moj sin samo malo sporije hoda” (Mio figlio cammina, solo un po’ più lentamente) di Ivor Martinić, già premiato a Zagabria, che vogliamo portare in Italia come opera prima. È un passo importante verso l’apertura del nostro repertorio”.
Sta lavorando molto anche sul fronte delle collaborazioni. Quali sono in corso e quali in cantiere?
“Credo fermamente nelle coproduzioni come strumenti di crescita culturale, per cui mi piacerebbe creare una rete di artisti con cui collaborare, che possano mescolarsi con i nostri attori, ma anche solo venire come registi ospiti. Abbiamo già attivato una sinergia con il Teatro Stabile del Veneto per ‘La moglie saggia’ di Goldoni, con la firma registica di Giorgio Sangati. Parallelamente, stiamo costruendo un possibile progetto con Marina Carr, che sta lavorando a una riscrittura della ‘Locandiera’ pensata per una produzione condivisa. Inoltre, sono iniziati i dialoghi con Stivalaccio Teatro – compagnia con cui condividiamo una sensibilità per la rilettura della commedia classica – e con la regista Lisa Ferlazzo Natoli del Piccolo Teatro di Milano, anche attraverso la Casa degli Artisti. Con il Mittelfest di Cividale nel 2025 porteremo in scena la summenzionata ‘Illusioni’ con Vinicio Marchioni e con ERT (Emilia Romagna Teatro Fondazione) produrremo ‘Castelli di rabbia’ di Alessandro Baricco, diretta da Valter Malosti, le quali si inseriscono nella nostra missione di riflessione sull’identità in trasformazione. Per tutte queste collaborazioni, desideriamo sottolineare che si tratta di percorsi in via di costruzione, dialoghi in corso con artisti e istituzioni che condividono con noi una visione progettuale ampia. Nessun accordo è stato formalmente sottoscritto al momento: ciò che stiamo facendo è costruire insieme orizzonti possibili per il 2026, fondati su una drammaturgia viva, uno sguardo consapevole sul contemporaneo e la volontà di radicare il nostro teatro in una rete di relazioni solide e significative”.
Spazio ai giovani
Un’attenzione speciale va anche ai giovani. Come intende coinvolgerli?
“Con il progetto ‘Futuro Passato’, promosso insieme al FESTIL 2025 (Festival estivo del litorale), ideato da Tommaso Tuzzoli per l’Associazione culturale Tinaros, avente come partner sostenitore il CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia, dal 22 aprile al 9 maggio tre giovani drammaturghi selezionati tramite la piattaforma Sonar – Giulia Bartolini, Floria Laetitia (alias Francesco Cecchi Aglietti) e Simone Corso – vivranno una residenza artistica tra Udine e Fiume, seguiti dal tutor Federico Bellini. Lo scritto migliore verrà messo in scena, mentre gli altri saranno letti in forma scenica. Il focus sarà sull’Unione europea e le sue contraddizioni, offrendo una chiave di lettura contemporanea sull’identità e sull’altro. Parallelamente, stiamo costruendo percorsi con le scuole. Per ciò che concerne il coinvolgimento dei giovani a teatro, sono dell’idea che ogni spettacolo di qualità possa attrarli, ma serve un percorso. Sarebbe importante un dialogo costante tra insegnanti, attori e compagnia. Perciò abbiamo lanciato un contest nelle scuole superiori ispirato allo spettacolo ‘La nostra famiglia’ di Saša Eržen, per la regia di Marjan Nečak, nell’ambito del quale i ragazzi potranno esprimersi con video, canzoni, disegni o testi. I lavori migliori saranno premiati con un ingresso gratuito a teatro e la possibilità di registrare una canzone con i nostri attori. Tra l’altro, organizzeremo anche incontri-laboratorio con tecniche di base per avvicinarli alla pratica scenica”.
E per i più piccoli?
“Pensiamo anche a loro, in particolare agli 8-11enni. A settembre ospiteremo ‘La terra dei lombrichi’, tratto da ‘Alcesti’ di Euripide, in collaborazione con Chiara Guidi della ‘Societas’. Sarà uno spettacolo non convenzionale, itinerante, interattivo e immersivo, dove i bambini esploreranno il teatro dall’interno, nei foyer e corridoi, diventando parte attiva della narrazione. La regista incontrerà anche insegnanti e genitori, perché il percorso educativo è parte integrante dell’esperienza teatrale”.
Il futuro che debutta
Come convivono nel suo progetto la tradizione e l’innovazione?
“Vorrei che la tradizione parlasse al pubblico di oggi. Con ‘La moglie saggia’, ad esempio, abbiamo mantenuto intatto il testo di Goldoni, lasciando che la regia ne reinterpretasse il significato. In accordo con la sovrintendente e l’Unione Italiana, stiamo esplorando una Commedia dell’Arte in chiave moderna, magari con testi come il primo Pirandello, ‘La mandragola’ di Machiavelli o altri autori classici riletti con occhi nuovi. La tradizione ci offre archetipi, strutture, lingue, ma sta a noi rileggerli, renderli vivi. Non si tratta di attualizzare forzatamente, ma di comprendere come un testo antico possa ancora parlarci, oggi”.
C’è spazio anche per la nuova drammaturgia italiana?
“Intendiamo diventare un ponte per la nuova drammaturgia italiana, e in tale contesto, proseguendo idealmente il percorso del festival di drammaturgia contemporanea di ‘Futuro-Passato’ per la stagione 2025/26, stiamo pensando di affrontare testi di autori quali Davide Carnevali, Francesco Magali, Martinić e siamo in dialogo con artisti come Fabio Condemi, Marcella Serli, Fabrizio Arcuri, Leonardo Lidi. È nostro desiderio attivare stage conoscitivo-formativi con registi come Veronica Cruciani, già coinvolta in un lavoro di riscrittura su ‘Un amico del popolo’ di Ibsen, nonché con Leonardo Lidi, regista e docente presso la Scuola del Teatro Stabile di Genova, che sarà nostro ospite”.
Infine, continuerà a recitare?
“Nonostante l’impegno come direttore, non abbandonerò la recitazione. Sarò il sostituto di Lino Guanciale in ‘Illusioni’, al debutto il 26 luglio al Mittelfest, e come esterno al DI sarò coinvolto in un progetto al Piccolo Teatro di Milano, per il centenario di Gianfranco De Bosio. Infine, sarò a Belgrado per la serie ‘Senke na Balkanu’ (Black Sun), dove interpreterò un ambiguo imprenditore legato al fascismo e allo spionaggio; un personaggio oscuro, tragico dalla fine penosa”.
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