Mirella Toić: «Vissi d’arte, vissi d’amore»

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Mirella Toić: «Vissi d’arte, vissi d’amore»

FIUME | Sono ancora nell’aria l’eco e le impressioni suscitate dal concerto d’addio della primadonna Mirella Katarinčić Toić, stella del TNC “Ivan de Zajc”, artista nazionale e beniamina del pubblico fiumano, che sempre l’ha seguita con attenzione e commozione nelle sue memorabili interpretazioni. Ci sembrerà strano non sentire più la sua bella e nobile vocalità risuonare nell’etere teatrale, tra le colonne, i putti, le cariatidi… Ci mancherà, perché la cantante ha davvero dominato la scena per lungo tempo con la sua imponente presenza scenica e le sue vissute interpretazioni.

Nel corso della sua lunga e proficua carriera, Mirella Katarinčić Toić ha dato vita a una vasta e svariata galleria di personaggi lirici: dalla mozartiana donna Anna e Fiordiligi alle eroine pucciniane Cio-cio-san, Mimì, Tosca. L’artista fiumana, con la sua voce omogenea di soprano lirico spinto, ma nondimeno duttile, ricca di armonici, di spiccata musicalità, non poteva non sfociare nel grande repertorio verdiano, interpretando i personaggi iconici dell’opera ottocentesca quali Violetta, Leonora nel “Trovatore” e nella “Forza del destino”, Aida, Amelia nel “Ballo in maschera” e in “Simon Boccanegra”. Ricordiamo la sua magnifica e rossiniana Zinaide nel “Mosè” per l’estremo virtuosismo eseguito con la pulizia ed esattezza di uno strumento musicale; e “Norma”, a coronamento del suo vertice artistico, per quindi approdare al verismo sanguigno di Mascagni, con il personaggio di Santuzza, scritto per la tessitura di mezzosoprano.
Dobbiamo rilevare pure la sua intensa attività di cantante da concerto e di interprete di autori croati. Nel complesso, Mirella Katarinčić Toić, giustamente, viene considerata dalla critica la cantante verdiana per eccellenza, che ha segnato in maniera importante la scena lirica nei teatri in Croazia, come pure in quelli dell’ex-Jugoslavia. A parte ciò, l’artista, dal lato umano è una persona semplice, diretta, onesta, umana, di grande sensibilità, oltre che grande professionista, innamorata del suo lavoro. Un lavoro che per lei assume pure un significato etico, di “missione”, teso a nobilitare il cuore e l’anima di chi l’ascolta. L’idealismo non è ancora morto.

Lei ha dedicato la sua vita all’arte. È stata una scelta appagante?

“Sì, sono soddisfatta, anche perché avendomi Dio donato una bella voce, sentivo di dover dare uno sbocco professionale alla mia passione per il canto. Ci sono stati momenti difficili, in cui ero tentata di interrompere la mia carriera, ma alla fine, interrogandomi, prevaleva un sentimento, un istinto che mi spingeva ad andare avanti, e così sono giunta alla quiescenza. Ciò non significa che non sarò attiva, anzi: ho in mente dei progetti scenico-musicali e spettacoli in cui alla musica e alla recitazione si unirà pure l’arte figurativa. Musicalmente sarò ancora attiva e continuerò con l’attività pedagogica, inoltre ho intenzione di esprimermi anche attraverso altre forme d’arte. Un’atra mia passione è la pittura. Ho sempre dipinto di getto, d’istinto: nature morte, la figura umana, l’astratto. Mi sono iscritta all’Accademia privata ‘Art e design’, a Lubiana, per approfondire anche questo campo.”

Quant’è difficile essere cantante lirica?

“Ritengo che la professione di artista lirica sia molto difficile e faticosa in senso fisico e psichico e richiede un lavoro costante, in modo da tenere sempre in forma l’apparato vocale e la muscolatura che partecipa all’emissione della voce”.
La sua voce è caratterizzata, tra l’altro da un’estensione non comune: va dalla tessitura di mezzosoprano a quella di soprano lirico spinto e al soprano d’agilità. Praticamente una voce ottocentesca, belcantistica, quando le cantanti affrontavano tutte le parti femminili…
“Donizetti e Bellini sono i miei autori preferiti, ma essendo dotata di un fisico imponente mi hanno fatto cantare personaggi drammatici, emozionalmente forti, soprattutto verdiani. Sono ruoli molto difficili, perché devi trasmettere al pubblico tutta una serie di sentimenti; dalla rabbia all’amore, dall’angoscia alla paura, alla passione e via dicendo. Il compito, il fine dell’artista sta appunto nel trasmettere queste energie, questi sentimenti affinché il pubblico venga coinvolto nella storia, nella psicologia di un certo personaggio, e tramite il canto e la musica venga nobilitato. E’ importante che lo spettatore vada a casa contento, appagato, più ricco interiormente”.

Data la sua estensione vocale verso il registro grave, ha mai pensato di affrontare ruoli da mezzosoprano? Eboli, Amneris, Azucena ….

“Sì, più volte ho considerato questa possibilità. Potrei farlo anche oggi. Quando apro tutte le cavità del petto sono in grado di produrre una voce corposa pure nel registro grave; anche perché la mia è ancora fresca e con il suono ben centrato. Non accuso ancora il ‘vibrato’ delle voci esaurite, vecchie. Inoltre ho ancora una buona resistenza fisica perché conduco una vita attiva. Curo l’orto e il giardino. Adoro la natura, i fiori, gli alberi, i boschi, che per me sono creature vive. Quando vado nel Gorski kotar – magari emozionalmente svuotata – ho un bisogno irresistibile di trarre nuova forza dalla natura, dagli alberi. Il contatto con la natura è per me qualcosa di meraviglioso e ha su di me ha un effetto rigenerante. Mi ricarica”.

Tra i tanti ruoli che ha interpretato c’è qualche personaggio che ama in modo particolare, nella cui pelle si sente perfettamente a suo agio?

“Non posso non ricordare ‘Norma’, nel 1990, un ruolo che mi ha procurato ben tre premi. Ho amato tantissimo e goduto, il personaggio di Leonora nel ‘Trovatore’. Quando mi sentirono al Teatro di Krefeld in tale ruolo, mi proposero immediatamente di fare ‘Traviata’, in quanto volevano per Violetta una voce di soprano più drammatica. Confesso che la drammaturgia e i personaggi verdiani, come anche Norma, li sento molto vicini. Sono donne che soffrono, che vivono situazioni drammatiche; sarà perché anch’io mi sento interiormente inquieta e lacerata e soffro continuamente per qualche motivo, che mi identifico in questi personaggi. Amo in modo particolare i personaggi femminili del primo periodo verdiano – ‘I due foscari’, ‘I lombardi alla prima crociata’ – tutti ancora permeati vocalmente dello stile belcantistico.
Ho avuto la fortuna di cantare e conoscere diversi ambienti musicali. Per un cantante, come per un musicista, è necessario muoversi. Conoscendo nuovi artisti, direttori, registi, si assimila nuove conoscene e influenze, e quindi cresce”.

Per tre anni è stata ingaggiata dal Teatro di Krefeld e Mönchengladbachu. Come ha vissuto questa sua esperienza in Germania?

“Si lavorava molto intensamente. L’Orchestra contava 120 musicisti e il Coro 50 cantanti. Gli spettacoli venivano realizzati esclusivamente con i solisti in pianta stabile. Durante il primo anno cantai ben 22 recite del ‘Trovatore’, in tedesco; quindi interpretai per 24 volte il ruolo di Giulietta – parte di mezzosoprano – nei ‘Racconti di Hoffman’, ‘Traviata’, il personaggio femminile protagonista nel ‘Franco cacciatore’ di C. M. von Weber. In campo concertistico cantai nel ‘Requiem’ di Verdi. Il pubblico e la dirigenza del Teatro erano addirittura entusiasti del mio apporto artistico. Anni dopo sono venuta a sapere che il noto direttore d’orchestra, l’inglese John Bell, in occasione del suo ritiro professionale scrisse un articolo in cui ricordava – a distanza di tanto tempo – l’eccellente collaborazione con me ed esprimeva lusinghieri apprezzamenti in merito alla mia voce e alla mia arte. Ciò, ovviamente, mi fece molto piacere”.

Lei ha lavorato con parecchi registi e direttori d’orchestra. Che tipo di rapporto ha avuto con queste due categorie di personaggi che in allestimento hanno un ruolo trainante? Ci sono stati forse delle situazioni conflittuali? Mi riferisco in modo particolare ai registi contemporanei, che non di rado propongono letture registiche dei classici della lirica perlomeno improbabili.

“Non ho mai avuto conflitti importanti con i registi. Ho sempre cercato di studiare i miei ruoli sia sul piano vocale che interpretativo e di esprimerli con il corpo, in modo tale da renderli adattabili alle esigenze del regista. Un’esperienza meravigliosa l’ho vissuta nel 1996 con ‘Norma’, diretta dal regista Mladen Sablijć. Da eccezionale professionista qual’era, riuscì a cavare da me e dalla collega Anđelka Rušin, con interventi discreti, tutta l’espressione dei personaggi, facendoci vivere il significato di ogni singola parola. Un autentico regista d’opera. Altrettanto positive e interessanti sono state le collaborazioni con i registi in Germania, i quali avevano delle letture – alludo al ‘Trovatore’ e ai ‘Racconti di Hofmann’ – d’impronta più moderna, ma altrettanto valida. Anche al Teatro di Fiume ci sono state collaborazioni felici. Sottolineo in modo particolare la regia di Krajač nel ‘Pipistrello’ e nella seconda edizione di ‘Norma’. Nella fiaba musicale ‘Il bosco di Stribor’, composto dal giovane Ivan Josip Skender, il regista Ozren Prohić mi ha concesso il massimo della libertà, per cui ho pensato di calcare, di enfatizzare i movimenti del mio personaggio, per renderlo più vicino e intrigante agli occhi dei ragazzini, per i quali lo spettacolo era stato pensato”.

Quanto è importante per lei la famiglia?

“La famiglia è al primo posto. La carriera prima o poi finisce, ma gli affetti rimangono. Certo, quanto ti dividi tra carriera e famiglia devi rinunciare a tante cose, affrontare non pochi sacrifici a favore dei tuoi cari. Ma tutto questo a ben guardare è nulla in confronto a quanto ricevi dai famigliari. Se sono riuscita a fare carriera devo ringraziare Dio e la mia famiglia, che mi ha sempre compreso e appoggiato“.

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