«Miniature di danza», l’arte tra corpo e memoria storica

A colloquio con il direttore dell'ensemble di danza del Teatro Nazionale Croato «Ivan de Zajc» di Fiume, Paolo Mangiola, per parlare del suo nuovo lavoro coreografico che debutterà domani a Palazzo Modello

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«Miniature di danza», l’arte tra corpo e memoria storica
Paolo Mangiola. Foto: IVOR HRELJANOVIĆ

Domani, con inizio alle 20, il Salone delle Feste di Palazzo Modello di Fiume farà da elegante cornice al debutto dello spettacolo “Miniature di danza”, il nuovo progetto coreografico firmato dal direttore dell’ensemble di danza del Teatro Nazionale Croato “Ivan de Zajc” di Fiume, Paolo Mangiola. Concepito come un viaggio intimo attraverso la città, lo stesso si propone di intrecciare la danza con l’identità storica e architettonica di Fiume, trasformando ogni luogo in una coreografia e ogni movimento in un frammento di memoria. Lo abbiamo incontrato per approfondire la sua genesi e farci raccontare l’idea, le riflessioni, i propositi e le aspettative che lo hanno spinto a idearlo.

Qual è stata la scintilla creativa che ha dato vita al progetto?
“L’idea ha preso forma a partire da una duplice esigenza artistica e concettuale: da un lato, il desiderio di esplorare nuovi spazi performativi al di fuori del palcoscenico convenzionale, dall’altro la volontà di rendere la danza un’esperienza più accessibile, immersiva e profondamente connessa con il pubblico. Il teatro, nella sua forma più classica, spesso crea una distanza, una soglia invisibile che separa il pubblico dai danzatori, imponendo una fruizione frontale, quasi distaccata. Con questo progetto, invece, ho voluto abbattere quella barriera, trasformando lo spettatore da osservatore passivo a testimone immerso nel respiro della danza. L’energia e la vulnerabilità dei corpi in movimento diventano strumenti di dialogo diretto, senza filtri, capaci di creare un’esperienza sensoriale più intima e potente. Fin dall’inizio, mi ha affascinato l’idea di una coreografia che potesse intrecciarsi con l’architettura urbana, con la memoria sedimentata nei luoghi, con l’identità stratificata di Fiume. Ogni spazio possiede una propria storia, una sua voce silenziosa che può essere riscoperta e reinterpretata attraverso il linguaggio del corpo. Così è nata la visione delle ‘Miniature di danza’, non semplici performance ma frammenti coreografici che respirano insieme ai luoghi, risvegliandone la memoria e trasformandoli in scenografie viventi”.

Nove momenti diversi
Il titolo evoca qualcosa di piccolo, prezioso e meticolosamente curato. In che modo il concetto di “miniatura” si riflette nello spettacolo?
“Il termine non rimanda tanto a una dimensione ridotta, quanto piuttosto a un’attenzione minuziosa al dettaglio, a una cura minuziosa nella composizione del gesto e nell’intreccio tra danza e spazio. Ho immaginato la pièce come un viaggio intimo attraverso Fiume, una città dalla stratificazione storica complessa, ricca di suggestioni, capace di evocare epoche e memorie differenti a ogni angolo. Il percorso si snoda in nove momenti, ciascuno con una propria identità coreografica e un titolo specifico. Si parte da Molo Longo e, attraversando le vie e le piazze, si giunge fino al Castello di Tersatto, costruendo una narrazione che si rivela attraverso assoli, duetti e momenti d’insieme. La danza, nella sua essenza astratta, non offre una lettura univoca e ogni spettatore è libero di leggere questi frammenti secondo la propria sensibilità, lasciandosi trasportare da impressioni e immagini piuttosto che da una narrazione didascalica. In questo senso, le miniature sono anche finestre aperte sull’immaginario di chi osserva. L’ultima tappa del percorso è particolarmente simbolica: un duetto che incarna l’ascesa verso il Castello, una metafora del cammino, sia fisico che interiore. Qui la danza diventa un rito di trasformazione, un viaggio che coinvolge non solo lo spazio esterno ma anche la percezione intima dello spettatore”.

Si può dunque parlare di un’immersione danzata nella storia e nell’identità di Fiume?
“Senza dubbio. Non conoscendo a fondo la storia della città, mi sono affidato alla guida di Theodor De Canziani, storico dell’arte e narratore straordinario. Il mio intento non era quello di offrire una ricostruzione storica tradizionale, ma piuttosto di lasciarmi ispirare da dettagli meno noti, da aneddoti e curiosità capaci di conferire una dimensione più intima alla coreografia. Il pubblico avrà a disposizione un opuscolo per orientarsi lungo il percorso, ma ciò che accadrà sarà soprattutto un’esperienza sensoriale e soggettiva. Alcune sezioni saranno accompagnate dalla musica, altre saranno intinte nel silenzio, che considero un elemento potente teso a sospendere il tempo, amplificare il gesto, rivelarne le sfumature più profonde. Uno degli aspetti più affascinanti di questo progetto è la sua natura modulare, la possibilità di essere replicato e adattato ad altri palazzi e contesti urbani, e a tale proposito Fiume è una città ricca di architetture straordinarie e di spazi che si prestano a essere abitati dalla danza. Già in passato ho sperimentato una versione simile a Malta, ed è stato incredibile osservare come la relazione tra danzatori e pubblico mutasse a seconda dell’ambiente, dando vita ogni volta a un’esperienza irripetibile. Portare questo progetto nel capoluogo quarnerino è stato un passo naturale”.

Interazione con lo spazio
La danza può essere uno strumento per preservare e raccontare la memoria storica di una città?
“La danza non è illustrazione, non è narrazione nel senso più convenzionale. È evocazione, è una lingua che parla attraverso il corpo e si affida alla sensibilità di chi osserva per completarne il significato. Ogni gesto ha una storia e porta con sé un’eco, una traccia invisibile che può risuonare diversamente in ogni spettatore. La memoria storica non è solo quella fissata nei documenti o nei monumenti, ma anche quella custodita nei luoghi, nei suoni, nelle atmosfere e nelle sensazioni che gli stessi suscitano. La danza, con la sua capacità di rendere visibile l’invisibile, può risvegliare immagini e connessioni profonde, riattivando ricordi anche in chi non ha vissuto direttamente quei frammenti di storia. In questo senso, ‘Miniature di danza’ non intende raccontare il passato in modo lineare, ma piuttosto suggerirlo, farlo emergere attraverso il movimento e l’interazione con lo spazio”.

Come ha scelto le musiche che accompagnano le performance e quale ruolo hanno nel racconto coreografico?
“Ho selezionato otto brani che spaziano dal repertorio contemporaneo al neoclassico, fino a composizioni dei primi del Novecento. Inizialmente, avevo immaginato di coinvolgere anche membri dell’Orchestra e del Coro del Teatro, e spero di poter realizzare questa idea in una futura versione. La musica, in questo contesto, non è un mero accompagnamento, ma un elemento strutturale che contribuisce a definire il carattere di ogni miniatura, amplificandone le risonanze emotive. In alcuni momenti, la scelta di lavorare nel silenzio permette ai danzatori di entrare in una relazione ancora più diretta con lo spazio e il pubblico, esaltando la potenza espressiva del gesto puro”.

Quali sono state le principali sfide nel lavorare a questo progetto?
“La vera sfida sarà il passaggio dallo studio all’ambiente definitivo, nello specifico il Salone delle Feste di Palazzo Modello. Danzare fuori da un contesto teatrale o da uno studio richiede una sensibilità particolare, una capacità di adattamento che trasforma ogni ostacolo in una possibilità creativa. Sono certo che questo processo arricchirà profondamente il modo in cui i danzatori percepiscono e abitano lo spazio. Desidero ringraziare la Comunità degli Italiani per l’entusiasmo con cui ha accolto il progetto e per averci aperto le porte di questo luogo straordinario. La danza, in fondo, è anche questo, un dialogo continuo tra corpo, spazio e memoria”.

Se dovesse racchiudere l’essenza delle “Miniature di danza” in tre parole, quali sceglierebbe?
“Vulnerabilità, fisicità e storia”.

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