
Massimo Pizzi Gasparon Contarini ha il teatro nel sangue. Il regista, scenografo, costumista e designer delle luci ha dimostrato la forza della sua visione artistica in numerosi spettacoli lirici, mentre con l’ultimo, Manon Lescaut di Giacomo Puccini, ha creato un allestimento che incanta il pubblico ovunque venga proposto. Il Teatro Nazionale Croato “Ivan de Zajc” di Fiume ospiterà domani alle ore 19 la première fiumana dello spettacolo, una coproduzione europea che, oltre allo “Zajc”, coinvolge anche Fondazione Festival Pucciniano, Fondazione Teatro Regio di Parma, Fondazione Lirico Sinfonica Petruzzelli e Teatri di Bari, nonché l’Opera Nazionale di Bucarest.
Il vantaggio delle coproduzioni
“Questo allestimento di Manon Lescaut nasce come coproduzione tra quattro teatri e quello di Fiume – ci ha riferito il regista durante una piacevole intervista –. Questo permette di condividere scenografia e costumi tra le cinque istituzioni, riducendo notevolmente il costo dell’allestimento per ogni singolo teatro. Ecco pertanto come ogni coproduzione è molto più vantaggiosa rispetto a un noleggio di una produzione esistente. E in caso di ogni ripresa futura non comporta alcun costo di noleggio.
Manon Lescaut è un titolo che non viene allestito spesso per la difficoltà di comporre un cast di cantanti di primo livello e quindi fin dall’origine del progetto al Festival Puccini di Torre del lago per il centenario della morte di Giacomo Puccini, ho cercato di trovare dei partners adeguati a condividere questo ambizioso progetto. Primo partner è stato il Teatro dell’Opera di Bucarest, in seguito il Teatro Regio di Parma ha dimostrato subito interesse a prendere parte alla produzione, dopodiché è subentrato il Teatro Petruzzelli di Bari, ed infine il Teatro di Fiume, arrivando così a cinque teatri coproduttori. Stiamo già considerando di portare lo spettacolo anche in Brasile, a Rio de Janeiro, a Bilbao per l’anno prossimo. Questo mi fa moltissimo piacere perché vuol dire che si tratta di uno spettacolo che ha avuto successo fin dalla prima messa in scena ma soprattutto è ricercato da altri teatri e permette di allestire Manon Lescaut con più frequenza e con un gusto decisamente italiano.
Credo che il mondo dell’opera in generale stia attraversando un momento attuale di stallo, dopo il tipo di allestimenti troppo moderni e sganciati dalla trama del libretto che si sono fatti negli Ottanta e Novanta, dove la ricerca dello scandalo e della notizia supera ogni ricerca teatrale e registica seria. Infatti, quando si cerca lo scandalo nella regia, è necessario per forza andare continuamente oltre ed essere sempre più scandalosi, mettendoci il nudo, il sangue, la violenza, ecc. E necessariamente arriva sempre un momento in cui tutto questo stanca il pubblico ed esaurisce ogni interesse”.
I quattro secoli dell’opera
“L’opera è una forma di spettacolo che ha più di 400 anni – nata nel 1600 in Italia con Orfeo di Claudio Monteverdi –, e il fatto che sia riuscita a sopravvivere tutto questo tempo e a passare attraverso quattro secoli in cui sono avvenuti tantissimi cambiamenti politici, culturali e artistici, rende l’opera un genere artistico molto complesso. Spesso sento dire che l’opera sia solo un genere di spettacolo vecchio, per un pubblico fuori moda, ma in realtà il melodramma è stato sempre all’avanguardia per temi e per vicende trattate. Pensiamo alla Traviata o al Nabucco di Verdi che con coraggio mise in discussone la pubblica morale. E per questo un allestimento di opera al giorno d’oggi deve essere sempre all’avanguardia tecnica: la tecnologia che utilizzo nei miei allestimenti è sempre un mezzo, non il fine. L’uso indiscriminato di video e proiezioni nei formati più disparati non risolve il problema della regia di un’opera e soprattutto non permette al pubblico di seguire la vicenda se non vien fatto con rigore e misura.
L’opera è comunque sempre teatro, è molto vicina al teatro drammatico e per questo deve essere trattata come un dramma. Il libretto non deve mai essere considerato come superfluo o inutile, anche se possiamo distinguere tra libretti più poetici e altri molto più superficiali; in ogni modo il lavoro del librettista è sempre un lavoro molto serio, al pari di quello del drammaturgo. Puccini stesso operava come drammaturgo e spesso cambiava le parole del libretto affinché esse fossero funzionali alla sua musica. Puccini ha sempre esercitato un grandissimo controllo su ogni libretto che usava per comporre opere a volte forzando i librettisti a eseguire le sue richieste.
In questo allestimento ho cercato di fare un lavoro di approfondimento sulla parola proprio perché Manon Lescaut è un’opera molto complessa e definita in ogni suo piccolo dettaglio. È la terza opera di Puccini, ma è il suo primo grande successo. All’epoca il maestro lucchese era giovane, non aveva nemmeno trent’anni. Se la sua prima opera Le Villi è un’opera balletto in un atto, decisamente tradizionale, la seconda, Edgar, è un’opera più complessa ma non completamente riuscita perché il libretto decisamente non presenta una compiutezza formale e drammaturgica, e lui essendo giovane e inesperto non aveva ancora capito quanto fosse importante dominare e verificare la tenuta del libretto. Puccini nel tempo riscriverà varie parti dell’opera cercando di renderla più snella e breve, ma Edgar non sarà mai un titolo popolare e non raggiungerà la fama delle seguenti composizioni pucciniane. Puccini continuò quindi a rimaneggiarlo fino alla sua morte, ma nonostante ci siano pagine di bellissima musica, il problema risiede nella storia del libretto e nella sequenza degli avvenimenti che si rivela complessa e a tratti incomprensibile e non verosimile. Puccini ben consapevole del valore di alcune pagine musicali di Edgar, in seguito le riutilizzerà per Tosca e le renderà celebri”.
Musica travolgente
“Dopo l’inciampo di Edgar, Puccini comprende cosa si debba fare per avere un vero successo di pubblico e critica e Manon Lescaut nasce perfetta ed equilibrata, con un libretto straordinario e una musica tra le più travolgenti e ispirate che Puccini abbia mai composto. È incredibile mettere a confronto Edgar e Manon Lescaut, tra le quali sono intercorsi appena quattro anni, poiché quest’ultima sembra scritta da un altro compositore. In Manon Lescaut tutto è perfetto, misurato, ispirato, poetico, eroico e soprattutto c’è già tutto il Puccini che poi conosceremo. Egli componendo questa opera trova il suo vero percorso e onestamente io considero Manon Lescaut l’opera più bella di Puccini, superiore anche a La Bohème, a Turandot e alla Tosca perché è completa e coerente in tutte le sue parti. Certamente Tosca è un capolavoro e ci piace perché ne conosciamo a memoria ogni aria, ma non ha la stessa carica creativa e fresca di Manon Lescaut, in quanto per Tosca Puccini usò anche materiale musicale che aveva composto in precedenza. In Manon tutto è nuovo e perfetto, giovane fresco e assoluto: il tenore ha addirittura otto arie, una melodia più bella e commovente dell’altra. È senza dubbio un’opera difficile, in quanto bisogna disporre di almeno tre cantanti molto bravi ed è particolarmente impegnativa per il tenore che canta sempre, in maniera anche drammatica in tutti e quattro gli atti. È un’opera che non si fa spesso proprio perché è difficile trovare dei cantanti all’altezza vocale. Nell’allestimento teatrale di Manon Lescaut a volte si preferisce optare per l’esperienza vocale e di carriera, ingaggiando cantanti sessantenni, mentre esiste anche chi preferisce dare l’opportunità ai giovani. Io sono sempre rispettoso della vocalità perché ho studiato canto da giovane e ho fatto anche il tenore, ed essendo appassionato di opera e di voci, ho anche fatto il casting manager. E certamente la voce va sempre messa in primo piano, ma non si può oramai trascurare l’aspetto fisico, che nel 2025 è molto importante”.
Com’è concepita la sua Manon Lescaut?
“Negli anni Sessanta gli allestimenti di Manon Lescaut avevano tutta una serie di convenzioni legate alla tradizione e c’era l’abitudine a farla in un certo modo, un po’ polveroso e poco rispettoso dell’aspetto artistico settecentesco. Il Settecento nel quale veniva ambientata l’opera era un Settecento pasticciato e confuso, senza alcuna filologia architettonica o riferimento pittorico coerente. Era decisamente un Settecento molto superficiale e più adatto a una festa di Carnevale che a un allestimento operistico. C’era una concezione un po’ confusa dell’opera, mentre la drammaturgia è molto chiara e ci sono delle indicazioni di scenografia che vengono dalla parte di prosa di Prévost, ovvero dalla Manon da cui è tratto il libretto. La trama si svolge in un periodo preciso, ovvero a Parigi nella prima parte del Settecento, con uno stile decisamente Luigi XV, un rococò francese specifico e non un barocco casuale. Proprio quello che mi interessava rispettare. E poi c’è stato un terzo filone di allestimenti contemporanei, come ad esempio quello di Torino, dove avevano allestito tre Manon proiettando tre film francesi sullo sfondo, mentre i cantanti erano vestiti come i personaggi del film. L’ho trovato completamente inutile e una totale rinuncia allo sviluppo di una vera regia.
Nella mia Manon ho voluto mettere tutti i colori del rococò francese, per cui tutto il coro è vestito con sete gialle, verdi, blu, grigie, rosa, arancione: tonalità che si vedono nei dipinti del Settecento francese, in Boucher e Rigaud. Dal punto di vista scenografico ho creato dei video che fanno da fondale alle scene, con l’immagine della cattedrale di Amiens, il palazzo parigino di Geronte, con il porto di Le Havre, e infine con il deserto americano. Ma la parte tecnologica dell’allestimento è sempre a vocazione puramente scenografica. E poi ho cercato di dedicare un’attenzione speciale alla protagonista Manon, facendola emergere in tutto questo mondo di colori indossando un azzurro tenue al primo atto e un abito andrienne rosa fucsia per gli altri tre. Quest’ultimo è il colore di Madonna, di Marylin Monroe nel film Gli uomini preferiscono le bionde e di ogni material girl che si rispetti. Manon è una vera Barbie umana ante-litteram disponibile per il piacere personale di vecchi ricchi e depravati, come nei quadri del Settecento, lo sono le favorite del re, tra cui troneggia Madame de Pompadour. Le donne ammesse a corte erano all’epoca come della merce di alto valore che veniva comprata e scambiata: e Manon viene venduta dal fratello Lescaut a Geronte diventando una bambola umana a pagamento. Credo che questo messaggio sia molto chiaro nelle intenzioni di Puccini e ho voluto renderlo evidente attraverso un colore che viene identificato subito con una bambola, con Barbie appunto. Il fucsia accompagna Manon in tutta l’opera. Lei non abbandona il fatto di essere una bambola umana e nemmeno nel momento finale in cui affronta la morte lei non riesce mai a superare questa dimensione materialistica della vita. Manon è certamente immatura, come ogni bambina viziata, non mostrando alcuna morale o educazione sentimentale: ha un rapporto completamente tossico con Des Grieux, dove lui si rivela essere un vero masochista mentre Manon esercita un’influenza sadica e crudele. Lei, sempre usata e dominata per denaro, è la dominatrice crudele spietata in amore. Des Grieux è un giovane sensibile e intelligente, colto e con una forte morale, mentre Manon è superficiale, vanitosa e ambiziosa, avida di gioielli e denaro, pertanto incapace di sentire emozioni e non interessata a relazioni serie e sincere. Mentre lui continua a perdonarle i tradimenti, lei continua a sbagliare e lo porta infine alla rovina totale. Lei è come una gazza ladra, amorale e pronta a rubare. Anche quando sta morendo Manon si preoccupa di essere ancora bella come un tempo. Lei non cerca di maturare e il bello della personalità di Manon è che la sua vita è una fiammata intensa e brevissima, e noi emozionati assistiamo impotenti alla sua catastrofe.
Per quanto riguarda delle scelte coraggiose da fare come regista, credo di essere stato il primo a chiedere al direttore d’orchestra di spostare tra il terzo e il quarto atto l’intermezzo musicale composto da Puccini, che come da partitura viene eseguito sempre come preludio al terzo atto. Trovo infatti un controsenso trattare un Intermezzo come un preludio, perché l’intermezzo deve essere per definizione suonato fra due atti senza intervallo. Poiché l’opera è strutturata in quattro atti, solitamente si fa un intervallo unico tra il secondo e il terzo atto, raggruppando due atti nella prima parte e due atti nella seconda. E questo porta sempre a trasformare l’intermezzo in un preludio al terzo atto, senza alcuna analogia narrativa e drammaturgica con l’atmosfera drammatica e completamente fosca del porto di Le Havre. Invece, spostandolo dopo il terzo atto, esso diventa davvero un intermezzo come lo intendeva Puccini e soprattutto dà al pubblico un momento di elegia amorosa e nostalgica che lo prepara al dramma finale del quarto atto. E l’ho immaginato come l’unico momento d’amore che Manon e Des Grieux possono vivere in tutta l’opera: l’intermezzo rappresenta quindi il viaggio dei due innamorati dall’Europa all’America. E per rendere ancora più chiaro il senso di sogno ho introdotto un balletto, un passo a due, cioè un sogno dove Manon e de Grieux hanno l’unico momento di vero amore e felicità, con la speranza di costruirsi un futuro in America. Questo è un momento di grande poesia e i due ballerini impersonano i due innamorati e ci fanno rivivere tutti i temi amorosi musicali dell’opera”.
La psicologia dei personaggi
È soddisfatto dei solisti fiumani coinvolti nella produzione?
“Certo. Abbiamo fatto un grosso lavoro sulla dizione, anche se cantavano già molto bene in italiano. Io ho insistito un po’ di più sulla pronuncia, ma anche sull’assimilazione della psicologia dei personaggi. Sono stato molto esigente anche su certi gesti e comportamenti perché essi non sono generici, ma aderenti alla psicologia del cantante e alla musica. Bisogna fare poco, non andando contro la musica, ma è indispensabile farlo con precisione. Ho voluto avere due cast, uno italiano, con protagonisti italiani, dove il soprano è Alessandra di Giorgio, che ha fatto la creazione del personaggio a Torre del Lago. Molto spesso non si dà peso alla parola, che invece è importantissima, essa è alla base dell’opera, che è un ‘dramma in musica’. La parola è assoluta e deve essere declamata sempre”.
Si trova bene qui a Fiume?
“Sì, molto bene. È la prima volta che sono a Fiume. Avrei voluto vedere un po’ di più della città, ma c’è molto lavoro da fare, per cui per ora non ne ho avuto il tempo. Questo è un bellissimo teatro, che ha una ricca storia e un elemento straordinario sono i dipinti di Gustav Klimt, che è uno dei miei pittori preferiti. Egli fece anche i dipinti del Burgtheater di Vienna, che risalgono allo stesso periodo di quelli fiumani, ma devo ammettere che non sapevo che esistessero questi ultimi fino a quando non sono arrivato a Fiume. Dovete essere fieri di averli qui perché Klimt è un artista fantastico”.
Lei è in pratica l’ideatore di tutti gli aspetti di questo allestimento, salvo del segmento musicale.
“Sono scenografo, costumista, regista e faccio anche le luci. Veramente all’inizio della mia carriera volevo fare lo scenografo, ma l’unico regista con cui ho collaborato non capiva nulla del mio spettacolo e aveva sbagliato anche le luci, per cui in seguito decisi di fare tutto da solo. Quando sento la musica, vedo già le immagini dell’allestimento. Sono diventato regista non per superbia, ma perché non ho incontrato registi con cui io potessi essere in sintonia. Ormai sono 35 anni che mi occupo di questo lavoro.
Ho collaborato molto con Pier Luigi Pizzi, mio padre, e ho realizzato oltre 120 produzioni dove sono creatore di ogni aspetto dello spettacolo. Trascorro in teatro dalle dieci alle dodici ore ogni giorno perché per me lo spettacolo è un’opera unica, un’opera d’arte assoluta. In questo senso sono un artista rinascimentale e barocco, perché secondo me non ci sono divisioni tra le discipline artistiche. L’opera deve essere unione, sintesi, e il teatro deve ricreare un’esperienza di sintesi delle arti: pittura, scultura, scenografia, musica, matematica, storia, letteratura, poesia, ballo… Il teatro è da sempre una somma di discipline, e per questo ha necessità di disciplina. Spesso, infatti, si pensa che chiunque possa salire sul palco possa fare qualsiasi cosa. Invece, per me il teatro è quasi una religione, per cui chi mette piede in teatro deve essere preparato. Il teatro è dedizione assoluta se si vuole avere la qualità. Se non si è preparati professionalmente il fare teatro diventa amatoriale. L’opera può essere una forma di spettacolo sublime, oppure può essere una squallida rappresentazione di un testo musicale, e questo accade quando il cantante non è preparato, quando la musica non è suonata bene, quando i costumi non sono curati… Il nostro impegno è essere sempre preparati e dare allo spettatore il massimo. Io lo spettacolo lo faccio soprattutto per me, perché ci credo, perché lo trovo bello e perché mi gratifica. Finora, il pubblico ha accolto sempre favorevolmente questo mio impegno, ma anche se c’è qualcuno che ha qualcosa da ridire, accetto tutte le critiche poiché non si può piacere a tutti.
Tra i compositori di opera amo tanto il barocco, Verdi, Bellini, Donizetti, mentre Rossini e Puccini sono per me speciali. Le canzoni di Sanremo non ci sarebbero senza Puccini. Egli diventò il vero primo compositore pop star, perché fu famoso in tutto il mondo. Anche Rossini alla sua epoca fu famoso in tutto il mondo. Rossini e Puccini giunsero al successo giovani, qui c’è il genio che prorompe al massimo. Mi piace pensare che loro siano i compositori della giovinezza, per cui credo che i giovani oggi dovrebbero percepirlo e capire che l’opera ha sempre avuto un animo giovane. Sono compositori giovani che hanno una carica vitale, la loro musica ha un’anima fresca, entusiasta. L’opera pertanto è sempre esagerazione del sentimento, ma è sentimento onesto, sincero, leale e puro come la giovinezza.
Non ho mai fatto Wagner anche se lo trovo straordinario, in quanto sono d’accordo con Rossini, che diceva che Wagner ha dei bei quarti d’ora, ma delle brutte mezz’ore, nel senso che amo l’opera all’italiana, che è sintetica. Nel Trovatore di Verdi veniamo a sapere tutto in trenta secondi, mentre Wagner ci avrebbe senz’altro impiegato un’ora. Non vorrei essere irriverente, ma a me non coinvolge la prolissità e non riesce ad emozionarmi”.
Uno degli obiettivi di chiunque lavori con il pubblico è quello di attirare anche i giovani. Secondo lei, l’opera riesce a farlo?
“L’opera è un genere molto più divertente della prosa perché c’è la musica, ma il problema è che va conosciuto. I giovani vanno al concerto pop perché conoscono già le canzoni e vanno lì per sentirle. Il problema è che l’opera non è abbastanza pubblicizzata. In passato tutti ascoltavano l’opera, ma oggi l’opera non si insegna a scuola. Si fa educazione musicale col flauto dolce, soltanto un’ora alla settimana, quando bisognerebbe mettere invece cinque ore di opera. Questo genere di spettacolo andrebbe spiegato. L’opera era la musica pop delle epoche passate, era l’unico modo per andare a divertirsi. Come l’opera è la ‘nonna’ dell’operetta, così è la ‘bisnonna’ del musical. ‘Il Fantasma dell’Opera’ è un’opera semplificata, dove tutto è molto elementare, ma il concetto è sempre quello operistico. Nella Manon Lescaut, Puccini fa del musical ante litteram. Manon in fondo ispira il personaggio di Rossella O’Hara di Via col vento, giovane donna irriverente, ambiziosa e disposta a tutto per emergere dalle difficoltà e per questo sono due personaggi molto simili. I giovani dovrebbero capire che l’opera non è noiosa se si conosce. Bisogna leggerne la storia per capire che cosa succede e magari ascoltarla una volta prima di andare a teatro. Purtroppo spesso i giovani d’oggi dopo due minuti non riescono più a concentrarsi su alcun argomento. L’opera ha bisogno di pazienza e ciò vale anche per il teatro e il cinema in generale. Anch’io confesso che faccio fatica a vedere un film intero o una serie tv perché sono spesso percepiti troppo lunghi. È certamente più facile e immediato vedere un filmato su Tik Tok che dura solo 30 secondi”.
A proposito della lunghezza dei film, negli ultimi anni paradossalmente i film tendono a diventare sempre più lunghi, mentre quelli degli anni Trenta, Quaranta, Cinquanta duravano al massimo un’ora e mezza, salvo eccezioni.
“Ci sono registi che esagerano ed esasperano e fanno in modo che il teatro e il cinema diventi un genere rivolto a pochissime persone. Non vogliono il grande pubblico, lo vogliono escludere e desiderano creare un seguito di nicchia composto da pochi esperti. Invece, l’opera è sempre stato un genere popolare, e deve essere rivolta a tutti e pertanto deve essere comprensibile e accessibile. Spesso, alcuni colleghi che fanno regie di opera, la detestano, non piace loro e la usano solo per lavorare. Io non faccio opera per lavorare, io servo l’opera con un rispetto quasi religioso di vocazione. Sono un grande appassionato di questo genere. Non combatto mai l’opera, ma la esalto e ne sono il primo sostenitore. Le opere funzionano solo se le vicende che rappresentano sono chiare, entusiasmanti, interessanti per il pubblico e se ci sono degli intrecci spettacolari che coinvolgono ed emozionano gli spettatori”.
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