Marco Di Stefano: «Il teatro mi ha salvato»

A colloquio col regista e autore teatrale milanese che ha recentemente firmato il monodramma «Il papà», andato in scena al TNC «Ivan de Zajc» di Fiume

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Marco Di Stefano: «Il teatro mi ha salvato»
Foto: IVOR HRELJANOVIĆ

A fine novembre al TNC «Ivan de Zajc» di Fiume è andato in scena il coinvolgente monodramma “Il papà”, coprodotto dal Dramma Italiano e dall’associazione culturale triestina ZaTroCaRaMa, tratto dal brillante testo dell’autore islandese Bjarni Haukur Thórsson, tradotto in italiano, interpretato da Giulio Settimo e incentrato sulla complessa tematica della paternità. Lo stesso porta l’interessante firma registica del regista e autore milanese Marco Di Stefano, noto per la sua capacità di dare vita a narrazioni profonde con stile minimalista, ma di grande impatto. Classe 1981, da oltre 20 anni il versatile artista opera nel mondo del teatro internazionale, abbracciando anche la docenza teatrale. Insieme alla moglie, Chiara Boscaro, è il fondatore della compagnia teatrale La Confraternita del Chianti, incentrata sulla drammaturgia contemporanea, la curiosità verso forme e media diversi e la proiezione internazionale, all’interno della quale ricopre anche il ruolo di regista. Tanti i riconoscimenti ricevuti, tra cui il premio “Giulio Marini” per lo spettacolo “Effetto farfalla” e tante le collaborazioni con il Teatro fiumano, al quale si sente molto legato.

Lo abbiamo incontrato durante la sua tappa novembrina nel capoluogo quarnerino, dove innanzitutto ci ha delucidato le dinamiche relative alla scelta di dirigere il summenzionato monologo, spiegando che “con Giulio Settimo, in qualità di direttore del Dramma Italiano, io e Chiara Boscaro abbiamo realizzato tre progetti: “Effetto Farfalla/Efekt leptira (2019), il corto teatrale “Dieci minuti alla fine del mondo” per lo spettacolo collettivo “La Commedia/Prava Komedija” (2019) e con Antonio Giansanti il documentario “Voci – passato, presente e futuro del Dramma Italiano di Fiume” (2021), per cui conosce bene il mio lavoro. Cosicché, dato che desiderava mettere in scena e interpretare “Il papà”, mi ha chiesto di fare la regia”.

Che tipo di connessione ha con le nostre terre?
“In verità ci sono arrivato nella stagione teatrale 2015/2016, dopo avere proposto allo Zajc la pièce “Esodo pentateuco #2/Izlazak petoknjižje #2”. All’epoca stavamo lavorando sul progetto internazionale “Pentateuco”, costituito da cinque monologhi inerenti alla migrazione, prodotti in altrettanti paesi europei: Romania, Croazia, Svezia, Spagna e Regno Unito. Ognuno di essi affrontava diversi aspetti relativi alla stessa, a volte con connessioni storiche precise. Nella nostra compagnia lavora l’attore polese Diego Runco e con lui abbiamo pensato di fare qualcosa sull’esodo con il Dramma Italiano. Quest’ultimo – grazie a Leonora Surian e Giuseppe Nicodemo -, ha accolto l’idea e da lì è nata la prima collaborazione. Come vissuto, invece, una parte della mia famiglia acquisita, quella del marito della mia zia paterna, fu profuga da Lussinpiccolo. In verità furono degli esuli di ritorno, in quanto dalla Sicilia andarono a vivere lì, dove il padre di mio zio conobbe una donna lussignana, con la quale ebbero due figli e, quando avvenne l’esodo rientrarono a Trapani”.

Quindi, il concetto di Esodo in qualche modo le appartiene?
“I miei zii sono venuti a mancare qualche anno fa, ma è stato un argomento di cui si parlava a casa. In verità, loro tornavano spesso da queste parti, anche durante la Jugoslavia, quando venivano a trovare la parte della famiglia rimasta a Lussinpiccolo. Da quando non ci sono più non ne so più nulla, anche se mi piacerebbe allacciare i contatti e conoscere chi è rimasto”.

Il lavoro della Confraternita del Chianti è stato premiato con una miriade di riconoscimenti importanti, tra cui il “Teatro e Memoria” (del Museo Cervi), il “Teatro Voce della Società Giovanile” (di ENDAS, Teatro dell’Argine e Crexida) e il “Premio di Produzione del SUQ Festival” (di Genova) per “Pentateuco”, il “ Premio Pradella” (dell’Accademia dei Filodrammatici e del Teatro dei Filodrammatici di Milano) per lo spettacolo “Non Voltarti Indietro”, il patrocinio della Commissione Europea – rappresentanza italiana per lo spettacolo interattivo “PLAY”, il premio “Giulio Marini” per “Effetto farfalla”, il riconoscimento “Mario Fratti Award” a New York conferito a lei e a Chiara in qualità di autori e quello di Eurodram (rete europea di traduzione teatrale) per il testo “La Città che Sale”, tradotto e andato in scena in Finlandia, Bulgaria, Corea del Sud e Stati Uniti e quest’anno per il testo “24H” e altri. Tutti meritatissimi…
“Spero che lo siano. I premi sono sempre un riconoscimento, fa piacere riceverli e, purtroppo o per fortuna, in teatro aiutano. Per cui, in qualche modo, il fatto di averne vinti alcuni in giovane età, come ad esempio il premio Nuove Sensibilità dell’ETI (Ente Teatrale Italiano, che oggi non esiste più) assegnatomi nel 2007 per il testo “Falene”, sicuramente mi hanno dato una spinta iniziale e la possibilità d’inserirmi nel mondo lavorativo. Inoltre,nel lavoro con Chiara cerchiamo di essere anche artisti europei oltreché italiani, per questo siamo molto soddisfatti per le gratificazioni ricevute a livello internazionale, come il premio “Giulio Marini” per “Effetto farfalla” o il far parte degli autori selezionati da Eurodram. Per noi tutto ciò è importante perché crediamo che l’Europa sia un valore e che l’unica cosa che ci possa salvare dai conflitti sia quella di conoscersi l’un l’altro e riconoscersi”.

Tutte le sue realizzazioni sono state accolte sempre molto bene dal pubblico teatrale fiumano. Che idea s’è fatto dello stesso?
“È un pubblico molto esigente, per cui essere apprezzato qui ti dà la garanzia che stai entrando in comunicazione anche con dei territori che frequenti meno. Anche se ormai, dopo i vari progetti proposti, per noi Fiume è diventata una seconda casa. Gli spettatori locali sono stati una porta d’accesso fondamentale tra noi e il nostro lavoro. Probabilmente Fiume è la città che più di tutte ha contribuito a formare in noi l’idea di “artisti europei”, di cui parlavo prima.”.

E Milano? Che cosa rappresenta?
“Da un lato è una scelta dettata da motivi familiari, nel senso che mio padre e i genitori di Chiara sono ancora lì e riteniamo importante che i nostri figli crescano con i nonni. È una città che dà tanto e che a volte toglie tanto, ma in cui sono nato e di cui sono tutt’ora innamorato. Nonostante dal punto di vista professionale non mi sia stata sempre vicina, nel senso che alcune soddisfazioni le abbiamo avute più da altri contesti, devo dire che negli ultimi anni ci ha dato la possibilità di una stabilità, il che avendo dei figli è rilevante. Infatti, al momento entrambi insegniamo in due importanti accademie teatrali, la Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi, in cui fa docenza mia moglie, e la Scuola del Teatro Musicale di Novara, dove insegno Regia. Naturalmente ci sono anche collaborazioni continuative per noi fondamentali – come quella con il Teatro della Cooperativa o il FringeMi – e restiamo in dialogo con tutti i più importanti teatri cittadini dove comunque siamo spesso ospiti con le nostre produzioni.”

La passione per il mondo del teatro e della scrittura è un’eredità familiare?
“Assolutamente no. Provengo da una famiglia di umili origini e sono figlio di due migranti dell’Italia meridionale, mamma pugliese e papà siciliano, incontratisi a Milano, che hanno lavorato in altri campi. Probabilmente è stata una cosa nata per caso, sulla quale ho riflettuto recentemente, mentre realizzavo “Poco più di un fatto personale” (prodotto con AIDA e Karakorum Teatro, scritto da me e Chiara per la regia di Stefano Beghi). Lo spettacolo è basato sulla storia delle cosiddette “Bestie di Satana”, un gruppo di serial killer e satanisti. Quando, nel 2004, li scoprirono e il caso divenne pubblico, nell’aprire il giornale ne riconobbi tre, che avevano la mia età e frequentavano i miei stessi posti. Dopo tanti anni cominciai a chiedermi come mai, a differenza loro, io fossi diventato un artista. In effetti non conosco la risposta, ma mi rendo conto di come il teatro, al quale mi ero avvicinato alle superiori, sia stato una grande valvola di sfogo e mi abbia salvato. Era il luogo in cui la mia rabbia adolescenziale si trasformava in carica positiva. Da lì a farne un lavoro è stato un lungo percorso, ma ci sono riuscito”.

Con quale criterio sceglie i testi su cui lavorare?
“Amo profondamente il teatro perché è l’espressione artistica che maggiormente riesce a interrogarmi sul presente sia come artista che come spettatore. Generalmente accetto un lavoro, sia a livello autoriale che registico, soltanto se il testo affronta qualcosa che non capisco e che per me è importante comprendere a livello personale. È fondamentale che le domande che mi pongo siano le stesse che faccio agli spettatori: è la garanzia di fare bene il mio lavoro. Se ho troppe certezze, rischio di fare un’attività di propaganda, qualcosa di ideologico, il che appartiene ai politici, non a noi artisti”.

Brevi note biografiche
Autore e regista, nasce a Milano nel 1981. Diplomato in drammaturgia alla Scuola d’Arte Drammatica “Paolo Grassi” di Milano e laureato al DAMS di Bologna. Nel 2007 vince il premio ETI “Nuove Sensibilità” con il testo “Falene”. I suoi testi sono stati rappresentati in Italia, Bulgaria, Cina, Corea del Sud, Croazia, Finlandia, Francia, Germania, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Romania, Slovenia, Spagna, Svizzera, Svezia e USA. Nel 2012 firma regia e drammaturgia dello spettacolo “Io sono figlio”, ospitato a Pechino come unica produzione italiana alla sesta edizione delle Olimpiadi del Teatro. È fondatore e regista de La Confraternita del Chianti. Con Chiara Boscaro realizza “PLAY”, che debutta al teatro Bellevue di Amsterdam nel 2019 con il patrocinio della Commissione Europea. Con Chiara Boscaro scrive nel 2018 “La Città che Sale”, vincitore del “Mario Fratti” Award a New York e selezionato da Eurodram nello stesso anno. Cura la drammaturgia collettiva di “IO ERO IO”, spettacolo di Tiziana Bergamaschi patrocinato dall’UNHCR, Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati. È autore di “Acciaio Liquido”, diretto da Lara Franceschetti, ispirato all’incidente della Thyssenkrupp di Torino. Nel 2021 viene selezionato per le “Mezz’ore d’autore” del Teatro Due di Parma con il testo “Focus Group” e firma la regia di “Leviatano” di Riccardo Tabilio, che debutta al Piccolo Teatro di Milano. I suoi testi con Chiara Boscaro sono pubblicati nella raccolta “Verso Est” (Editoria & Spettacolo). “Pentateuco” è pubblicato da CUE Press.

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