Una tragedia giapponese nel monumentale abbraccio dell’architettura e dell’ingegno romani. L’Arena di Pola ieri l’altro ha respirato il lontano Oriente; ha ospitato nel suo anello di pietra “Madama Butterfly”, di Giacomo Puccini su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica.
Tutta la fragilità di Cio-Cio San
Un evento spettacolare, che ha premiato il pubblico, che a sua volta ha gratificato con generosi applausi gli interpreti. Anamarija Knego, dell’Opera del TNC “Ivan de Zajc” di Fiume è stata un’impareggiabile Cio-Cio San/Madama Butterfly, trasmettendo con la sua chiara, convinta voce i sogni, il dolore, la delusione, la fragilità della protagonista. Nata nel segno del dolore e della tragedia. Per amore ha rinnegato il suo tutto, le sue origini, la sua identità, la sua cultura. Non più la geisha Cio-Cio San, ma una fragile donna innamorata dell’occidentale tenente della Marina americana B.F. Pinkerton che, passato l’innamoramento, deciderà di vivere la sua vita accanto a Kate, sua sposa americana. Ha vestito l’uniforme Aljaž Farasin.
L’allestimento di ieri l’altro è dello Slovensko narodno gledališče – Opera in balet (Teatro popolare sloveno – Opera e balletto) di Lubiana, che ha affidato l’orchestra alla direzione di Marko Hribernik. La regia è (stata) di Vinko Möderndorfer.
Le emozioni trasmesse
La storia è nota. Cio-Cio San ama e soffre nella Nagasaki di fine XIX secolo. Follemente innamorata di Pinkerton ne aspetterà il ritorno per anni, sognando e illudendosi che “un bel dì vedremo levarsi un fil di fumo”… quello che annuncerà il ritorno dell’uomo. E si vedrà il fil di fumo, ma non sarà foriero di un saldo per la lontananza e la mancanza patite, ma ambasciatore di dolore, umiliazione e morte. Pinkerton torna con Kate, la sua american wife. La povera Butterfly (Cio-Cio San significa farfalla) è stata sloggiata in malo modo dal cuore dell’uomo. C’è un’ulteriore lacerazione nelle carni della donna: Pinkerton è tornato per chiedere di affidarle il figlio, che anni prima aveva lasciato. Vigliacco Pinkerton: manda avanti Kate con la richiesta. Che per Cio-Cio San equivale a una volontaria condanna a morte. “Piccolo iddio! Amore, amore mio. Fior di giglio e di rosa. Non saperlo mai… per te, pei tuoi puri occhi muore Butterfly”: la donna, vinta, delusa, mortificata, senza nessuna speranza, decide di morire. Benda prima il figlio perché non veda e possa riaprire gli occhi guardando a un’altra realtà. Ma prima di uccidersi, in un disperato ritorno a quello che era stata, prega le statue dei suoi dei ancestrali. Si toglie la vita con un tantō ereditato dal padre, al quale era stato dato dal Mikado perché si suicidasse. Sull’arma l’incisione “con onor muore chi non può serbar vita con onore”. Anamarija Knego ha trasmesso con forze a brividi le mille emozioni, le tempeste, il dolore provati da Cio-Cio San. Mi piace continuare chiamarla così: nella parentesi “occidentale” la giovane si era persa e annientata e per gli ultimi attimi di straziante abbandono di questa vita e del figlio è voluta tornare a casa. In ogni senso.
Grandi in cena, accanto a Knego e Farasin, pure Gordana Hleb nel ruolo di Suzuki e Ivan Andres Arnšek in quello del console Sharpless.
Teatralità musicale
Merita un appunto il “coro muto”. Melodia che senza parole trasmette un temporale di emozioni, che a momenti sembra calmare tutto, a momenti diventa minaccioso, lasciando presagire la tragedia che sarà. Nella fase preparatoria del libretto Puccini scrisse ad Illica: “Ti raccomando l’ultimo quadro e pensami a quell’intermezzo, per servirmi del coro: bisogna trovare qualcosa di buono. Voci misteriose a bocca chiusa (per esempio). Non so cosa vorrei, ma ci vuole qualcosa, e questo qualcosa lo troverai tu, ne sono certo”. E il “qualcosa di buono” è diventato un elevato momento di teatralità musicale.
Chi è stato all’Arena ha goduto di tre ore straordinarie, grazie all’ottimo allestimento, alla squisita acustica dell’ambiente, a luci e audio di altissimo livello e di splendidi costumi. Un suggerimento. L’opera, nella sua, diciamo narrazione, è nota. “Un bel dì vedremo” è, ci scusiamo per la banalità di pensiero, aria altrettanto. Invitiamo a cercare su Internet (ormai offre di tutto e tra il tutto anche cose buone) il coro muto. E lasciatevi andare al sentito.
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