Ma dove andrà a finire la canzone italiana?

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Ma dove andrà a finire la canzone italiana?

E finalmente, come i numi vollero, è stata portata a termine anche la 69.esima edizione del Festival di Sanremo; ventiquattro canzoni e cinque serate – tutte quante trasmesse in eurovisione, ahinoi – un tormentone conclusosi all’insegna di un’accesa polemica, con il suo strascico di rabbia, rancore, amarezza, sospetti.

“È stato un voto politico! I giornalisti hanno ribaltato il televoto! I cittadini non contano niente!”, ha dichiarato con rabbia Ultimo, e altri, secondo classificato con il 46 p.c. dei televoto, mentre Mahmood, vincitore a sorpresa, che ha racimolato solo il 14.1 p.c. dei voti del pubblico, ha vinto il Festival.
Sentite la motivazione per cui è stata scelta la canzone “Soldi”: “Dal punto di vista musicale, si distinguono il battito di mani – che virtuosismo! – e i repentini cambiamenti ritmici che favoriscono le progressioni armoniche – ma guarda, c’era anche l’armonia (non ce ne siamo accorti), che crea un movimento degli archi; oltre a piacevoli inflessioni melodiche – melodia??? Ma dove??? Ma quandoo??? – che portano al di là dei nostri confini – questo tocco “di infinito”, questa “reminiscenza leopardiana” ci commuovono proprio. Ma come si fa a spendere tutti ‘sti paroloni roboanti per l’apologia del “nulla” elevato a valore?
“Soldi”. Un rap martellante, ripetitivo, i cui versi, “che hanno conquistato la giuria”, sono buttati a casaccio, come i denti di Marine La Pen. Sarà “dadaismo”? Saranno versi poetici di Aladino tradotti in italiano che veicolano significati magici, esoterici, ermetici? Abbracadabbra?
Certo è che Mahmood rappresenterà splendidamente la cultura canora e poetica italiana in Israele! “Waladi waladi habibi ta’aleena”, mi associa a un verso di Lucio Dalla.
“Beve champagne sotto Ramadan… fuma il narghilé”. Ma certo, tutti gli italiani festeggiano il Ramadan, ci mancherebbe. E le gentildonne italiane, che si sono stufate del “tè delle 5”, e del caffè pomeridiano, a gambe incrociate, posa alla Buddha, s’inebriano degli incensi e fumi esotici del narghilè.
Quello che ci è particolarmente piaciuto di Mahmood, a livello d’immagine, sono stati i pantaloni che finivano “alla turca”.
Ma veniamo alla “Giuria degli esperti”, da quest’anno “Giuria d’onore” (addirittura). Dunque la giuria degli “esperti onorevoli” era composta da un regista (Ferzan Ozpetek), da due conduttrici (Camilla Raznovich e Serena Dandini), due attrici (Claudia Pandolfi ed Elena Sofia Ricci), da un giornalista (Beppe Severgnigni) e da un cuoco! (Joe Bastianich). Urca! Con una giuria così possiamo stare tranquilli! È come quella di “Ballando con le stelle”.
Un’altra chicca del Festival è stato….Achille Lauro.
Dobbiamo metterci sull’”attenti”? Uno sfregio. Stonato come una campana rotta. In realtà, anche se molti non l’hanno capito, la sua è stata “una scelta meditata e coerente nel senso dell’espressionismo musicale”. Testo da stato etilico.
Claudio Baglioni ha definito Sanremo 2019 “epocale”: “È la musica la vera vincitrice”, ha dichiarato. “Claudius, Claudius, tu quoque?” Be’, si vede che il “cachet” di Sanremo lo ha convinto a “ricredersi”.
Salvo eccezioni, la canzone italiana è morta. È fatta di “rapping”, che nasce nel Bronx, come espressione dei ragazzi di strada, e ha origine nel “griot” (da non confondere con “le griottes”) dell’Africa Occidentale”.
È fatta di “rock” e dei suoi sottogeneri, e trae origine dal blues, dal country, dal jazz, con influenze “soul”, “funk”, ecc.
Insomma, Sanremo è proprio il Festival della canzone italiana.
Passiamo all’immagine. Dov’erano i fiori di Sanremo, città simbolo della fioricultura italiana nel mondo? Dobbiamo aspettare il concerto di Capodanno di Vienna per ammirarli? Dov’era l’Alta moda italiana?
Virginia sembrava indossasse gli abiti smessi della sorella maggiore. Mancava il glamour! Lo spettacolo! Uso esagitato delle luci, spesso quasi circensi.
Come conduttori Virginia Raffaele e Bisio, appena si presentava l’occasione, erano immancabilmente “sopra le righe”.
Per non parlare della Hunziker con la sua voce gutturale e da lavandaia (con tutto il rispetto per le brave lavandaie). Ma un po’ di contegno! Un po’ di stile. Il mondo vi guarda. Non c’è da stupire se i “cugini” d’oltre Alpe hanno la puzza al naso nei confronti degli italiani.
Insomma, gli italiani dovrebbero riscoprire sé stessi e i loro grandissimi talenti, superare il complesso dell’America, e non subire supinamente la colonizzazione culturale anglosassone. “Il Volo” raccoglie successi internazionali perché portano avanti un tipo di “canto”, di “canzone” “made in Italy”, che ha fatto e che continua a far sognare il mondo.

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