Le tradizioni definiscono l’anima e l’identità di un popolo

La piazza dietro al campanile della chiesa di San Biagio a Dignano ha ospitato la cerimonia conclusiva del Concorso «Favelà» giunto quest’anno alla sua 22ª edizione

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Le tradizioni definiscono l’anima e l’identità di un popolo
I premiati dell’edizione 2024

Se il dialetto istrioto è ancora vivo è grazie anche al “Favelà”, Premio letterario per opere inedite in dialetto istrioto dignanese, che da ventidue anni ormai tutela e custodisce il dolce “favelà”. Ancora una volta si è stati “drio el campanil” di Dignano, in compagnia dell’antica parlata bumbara, nell’ambito della cerimonia di premiazione del Concorso portato avanti dalla Comunità degli Italiani di Dignano e dalla Famiglia dignanese di Torino. Una serata tra prosa, poesia e musica all’insegna del dialetto che unisce esuli e rimasti, anziani e giovani, passato e presente. Il mondo e Dignano.

Il duo di violini

Una testimonianza scritta
“Ogni cultura, ogni gruppo di persone ha le proprie usanze, tradizioni, i suoi valori e i suoi principi. Le tradizioni sono di massima importanza per un popolo perché ne definisce l’anima e l’identità”, ha esordito il presidente della CI, Maurizio Piccinelli. Per continuare: “Il Concorso ‘Favelà’ è stato istituito con l’obiettivo della promozione e della tutela del dialetto istrioto dignanese che è uno dei simboli della cultura dell’Istria. Lo scopo di concorsi come questo è che il nostro retaggio culturale non vada perso. Le armonie del dialetto sono infinite, bisogna coglierle e proporle soprattutto ai giovani perché il dialetto è il cordone ombelicale che lega generazioni di persone alla propria origine. Grazie ad esso possiamo lasciare una testimonianza di noi stessi, della nostra esistenza e della nostra storia”.

Fondamentale un’antologia
A ricordare gli inizi di questa importante iniziativa è stata la presidente della Famiglia dignanese, Giuliana Donorà: “Il primo seme era nato a casa di Anita Forlani, dove un pomeriggio mio padre ed io ci eravamo recati, come al solito, per parlare di cultura. È lì che era nata l’idea dell’istituzione di un Premio in dialetto dignanese. Ventidue anni dopo, siamo ancora qui, a riunire attraverso il dialetto le anime dignanesi divise dalla storia. Ora ci adopereremo affinché quello che è stato fatto non cada nell’oblio: l’idea è quella di un’antologia di tutti i lavori. Bisogna dare dignità a chi ha partecipato”.

Opere pervenute e giuria
Come rilevato dalla conduttrice della serata, Monica Di Martino, all’edizione 2024 sono pervenuti cinque lavori, due nella sezione Prosa, due nella sezione Poesia, una Traduzione; nessun lavoro nelle categorie Giovani e Video. A leggerli al pubblico sono stati gli stessi partecipanti: Maria Grazia Belci, Livio Belci, Lorenzo Biasiol e Germano Fioranti (che ha presentato pure la prosa della figlia, Giulia Timea Fioranti).
La commissione giudicatrice che quest’anno è stata coinvolta nella valutazione dei lavori ha visto la partecipazione di Fiorella Biasiol, Paola Delton e Sandro Manzin per la Comunità degli Italiani di Dignano e Giuliana Donorà, Paolo Donorà e Roberto Giacometti per la Famiglia Dignanese.

Il discorso di Germano Fioranti

I premiati
Nella sezione Prosa della categoria Letteratura a vincere il secondo premio è stato Germano Fioranti con “I straterestri”. Motivazione: “Breve racconto scorrevole con note appena accennate della storia locale, a volte ironico, in altri punti sentimentale, senza puntare l’attenzione su nessuno degli aspetti citati. Il racconto ha un potenziale lasciato sopito. Buono l’uso del dialetto”. Menzione onorevole a Giulia Timea Fioranti per “Zento e amur” per la “prosa da cui trapelano gli insegnamenti ricevuti dalla nonna, conservati come un tesoro dal volare inestimabile. Componimento breve che non può essere definito racconto breve; meritava essere approfondito maggiormente. Uso del dialetto buono”.
Il Premio Traduzione è stato conferito a Maria Grazia Belci per la traduzione di due poesie: “San Martino dal Carso” e “I je piturà la pa’z”. “Le due traduzioni, fatte secondo un approccio letterale, mantengono la struttura originaria delle poesie senza perdere di musicalità, restando fluide nella lettura senza apparenti segni di forzature. Ottima la conoscenza del favelà”. Così la motivazione.
Categoria Letteratura, sezione Poesia. Per “Dui solse” e “Bon odur” il secondo premio è andato a Livio Belci. Quanto alla giuria, si tratta di “poesie che cantano il rapporto d’amore tra il contadino e la sua terra, il duro lavoro dell’uomo e i meritati frutti della terra, il tutto senza tralasciare quei dettagli che scaturiscono dall’osservazione lenta e attenta della natura, proprio come un canto d’amore. Non secondario è l’uso di termini agricoli arcaici, che denota la conoscenza e la padronanza dell’istrioto dignanese”. Primo premio a Lorenzo Biasiol, che ha partecipato con “Ouci celesti” e “Rondine”, “liriche intimistiche che esprimono sentimenti e desideri sinceri e universali, a tratti anche troppo scontati, ma mai banali. La lettura è scorrevole e piacevole, mentre l’uso del dialetto è molto buono”.

Livio Belci al microfono

Dulcis in fundo
Ad arricchire la serata è stato un fantastico duo di violini, composto da Lucia Lyon e Lara Domić Djaković, che ha affascinato il pubblico e regalato pure un bis. C’è stato spazio anche per qualche… sorpresa. Giuliana Donorà ha proposto uno scritto anonimo che ha trovato mettendo a posto l’archivio della Famiglia dignanese, sempre sul tema del “favelà”. Uno scritto per il mometo in cerca… d’autore. Proiettato pure il nuovo video promozionale della CI, incentrato sulle attività di questo vivace sodalizio. L’invito, infine, a tutti di partecipare numerosi alla prossima, 23esima edizione del Premio che, come di consueto, si terrà nella seconda metà di agosto. Evviva il “favelà” bumbaro!

L’intervento di Lorenzo Biasiol

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