L’arte giapponese di raccontare storie

Questa tradizione orientale è stata evidenziata come un mezzo straordinario e una tecnica ideale per coinvolgere i bambini nella narrazione

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L’arte giapponese di raccontare storie
Iva Nemec, Snježana Nevia Močinić e Lorena Lazarić. Foto: ARLETTA FONIO GRUBIŠA

Tuffo nel Giappone anni Venti e Trenta, rincorrendo il kamishibaia, dietro alla sua bicicletta e a una valigia piena di vicende magiche che non aspettano altro che di saltare fuori, libere per venire narrate entro la cornice del teatrino Butai. È difficile credere che la poesia della tradizione e dell’arte orientale possa c’entrare con la Giornata d’aggiornamento professionale per gli educatori presso le istituzioni prescolari della Comunità Nazionale Italiana. Tuttavia, è proprio questa che ha fatto da protagonista ieri a Pola per quest’occasione formativa promossa dalla Facoltà di Scienze della formazione dell’Università degli studi di Pola in collaborazione con l’Agenzia per l’educazione e la formazione e la Società di studi e ricerche “Pietas Julia”, con il supporto dell’Unione Italiana.

Un argomento originale
Per la prima volta nella storia della promozione dei nostri seminari si parla proprio di “Kamishibai, l’arte giapponese di raccontare storie”, argomento originale che ha fornito alle educatrici un vecchio-nuovo mezzo di insegnamento quanto mai particolare da applicare nei curriculum didattico-ludici delle scuole d’infanzia. Presenti i coordinatori del programma proposto in sede universitaria, la consulente superiore per la CNI presso la suddetta Agenzia, Patrizia Pitacco, e la prof.ssa Snježana Nevia Močinić in rappresentanza della Facoltà che, grata del fatto di poter ospitare lezioni-laboratorio come queste, ha auspicato l’assegnazione di maggiori supporti finanziari al fine di estendere gli aggiornamenti a due giornate e non dover concentrare teoria e pratica nell’arco di una sola. A proporre tutta la bellezza e la semplicità della narrazione kamishibai sono state Iva Nemec, prof.ssa in lingua e letteratura italiana e croata, fondatrice dell’associazione Kaleido, pedagogista teatrale, autrice di libri, docente di Čakovec, nonché Manuela Emer, pure prof.ssa di lingua e letteratura italiana, grande appassionata di scenografie e scena teatrale, collaboratrice di istituzioni che si occupano di bimbi.

Teatro di carta
Che cosa significa esattamente Kamishibai? Lo abbiamo chiesto in anticipo alla prof.ssa Nemec: “In giapponese vuole dire teatro di carta” ed è un modo di raccontare storie particolarmente popolare nel Giappone degli anni Venti e Trenta. Si trattava di teatrini portatili, in legno o in cartonato, che venivano utilizzati dai cantastorie erranti che giravano tra i paesi e i villaggi in bicicletta. I kamishibaia raccontavano le loro storie aiutandosi con dei fogli illustrati, che infilavano e sfilavano nel proprio teatrino: in questo modo, bambini e ragazzi potevano seguire estasiati il racconto aiutandosi con le immagini, ma anche intessere storie proprie sviluppando la fantasia e il proprio linguaggio. Parliamo di una tecnica estremamente affascinante, che sarebbe bello portare negli asili e nelle scuole proprio perché permette di esercitare il pensiero narrativo e lavorare sulla struttura e sulla composizione dei testi narrativi. Circa una decina di anni fa questa tecnica è approdata in occidente come arte teatrale subito riconosciuta dagli educatori in quanto tecnica meravigliosa per raccontare storie ai bambini”.

Il rapporto tra immagine e parola
Il tema del seminario, improntato per l’appunto sull’arte di raccontare storie e sul rapporto fra immagine e parola, è stato introdotto dalla prof.ssa Lorena Lazarić. Dopo i saluti ai presenti, ha visto la sua prima sessione concentrata su un ragionamento collettivo che ha coinvolto tutti gli educatori partecipanti.
Perché raccontare storie, cosa porta la narrazione ai bambini? Assieme sono stati constatati dati di fatto che illustrano perfettamente l’odierna realtà sociale offrendo una falsariga sulle direzioni verso le quali il settore dell’educazione dovrebbe muoversi per porre rimedio a determinati fenomeni: i bimbi non vedono l’ora di sentirsi raccontare storie, bombardano gli educatori di domande, vivono il momento come magico, d’altra parte i ritmi di una vita sfrenata e digitalizzata “uccide” in loro la capacità di ascolto, di prestare attenzione, di esprimersi in maniera più ricca e articolata.

I tempi sono cambiati
Il racconto di quel che ha fatto un bambino nel weekend non è quello della pasta lavorata assieme alla nonna in maniera creativa, ma sono le due parole per dire della visita frettolosa al City Mall con i genitori. Un adulto non dice più “attento all’altalena, mai vai sull’altalena”, speranzoso di vedere il figlio abbandonare il cellulare e tornare al gioco più tradizionale. Morale: i tempi sono cambiati, la pazienza di raccontare storie è venuta meno, avviene una trasmissione di informazioni minime, la perdita di pezzi linguistici, l’abbandono delle letture, dell’abitudine di conversare.
Ecco allora proposto il kamishibai per creare anche negli asili della CNI un percorso didattico narrativo diverso, in grado di arrivare alla scoperta dell’identità del bambino attraverso una tecnica che consente di dare rilevanza all’animazione, alla lettura che, ancora oggi, riveste scarsa importanza all’interno delle scuole. Nello scatolone del teatrino Butai ecco introdotta la storiella de “Il bruco mai sazio”, “La storia di Berto lucertolone” e “Ufficio brevetti”, storia firmata dalla redattrice e giornalista del nostro quotidiano, nonché scrittrice connazionale Carla Rotta, che in questo caso ha trovato il suo adattamento in formato cartoncino tutto da interpretare. Gli educatori, una volta fornite le istruzioni per l’uso durante il laboratorio, sono stati messi alla prova e invitati a fare da sé a realizzare ognuno la propria storia su tavole illustrate e a portare questa singolare forma espressiva ai bambini degli asili italiani.

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