L’arte della memoria, del suono e dell’identità

Accanto all’ensemble strumentale, sul palcoscenico anche le klape femminile e maschile Kastav, dirette da Saša Matovina, nonché Damir Kedžo

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L’arte della memoria, del suono e dell’identità
La klapa femminile Kastav. Foto: GORAN ŽIKOVIĆ

Dopo vent’anni di silenzio, l’Orchestra a plettro della Radiotelevisione croata (HRT) ha fatto ritorno a Fiume. Il concerto, intitolato “Canto sulla corda” (Kanat na žici), ha inaugurato nel Teatro Nazionale Croato “Ivan de Zajc” il ciclo “Celebriamo la musica”, dedicato all’ascolto, alla diversità e alla potenza evocativa del suono. Una serata densa di emozioni e significati, in cui la musica si è fatta viaggio geografico, memoriale, spirituale. Il programma, curato con elegante meticolosità dal Maestro Matija Fortuna, guida artistica dell’Orchestra dal 2023, ha intessuto un mosaico sonoro dedicato al patrimonio musicale croato. Accanto all’ensemble strumentale, due formazioni vocali preziose, le klape femminile e maschile Kastav, dirette con misura e sensibilità da Saša Matovina. A completare il quadro, la presenza magnetica dell’ospite speciale, il celebre interprete dell’isola di Veglia, Damir Kedžo.

Una topografia dell’anima
La serata si è dispiegata come un cammino interiore, tradotto in una narrazione musicale che parlava in più lingue emotive. Un itinerario sonoro che ha abbracciato il Paese da nord a sud, esaltando la molteplicità delle sue espressioni, popolari e colte, unite da un filo acustico sottile ma tenace come una corda tesa tra memoria e visione. Il Maestro Fortuna, già coinvolto nel 2015 nella produzione dell’”Andrea Chénier” di Umberto Giordano presso lo stesso ente teatrale, ha condiviso con commozione il valore intimo di questo ritorno, rimarcando che “mi emoziona particolarmente essere di nuovo a Fiume dopo tanti anni. Collaboro con questo teatro da oltre un decennio, ed è per me un luogo profondamente caro”.
A guidare il pubblico, le corde delle “tambure”, ora leggere come piume, ora profonde come le radici, e le voci, che emergevano a turno come richiami da un passato che non tace. I brani in programma, saldamente radicati nel patrimonio musicale tradizionale croato, sono stati proposti in arrangiamenti moderni, spesso audaci, sempre eleganti. L’apertura è stata affidata a “Sunčane ravni” (Pianure assolate) di Božo Potočnik, un affresco sonoro che si distendeva come campi sotto il sole di mezzogiorno, calmi, sterminati, ipnotici. A seguire, la “Panonska rapsodija” (Rapsodia pannonica) di Tihomir Ranogajec ha condotto gli ascoltatori in una dimensione di malinconica ruralità, quella delle distese senza confini, dove ogni nota sembra nascere direttamente dal cuore della terra. Poi un momento più leggero, quasi giocoso, con i “Međimurski lepi dečki” (I bei ragazzi del Međimurje), rielaborati da Dubravko Češnjak, che hanno portato sul palco una vitalità campestre frizzante. Subito dopo, il canto nostalgico di “Da bi se zrušile te legradske gore” (Se crollassero quei monti di Legrad), nella delicata rilettura di Potočnik, ha trasformato la montagna in simbolo, metafora di ostacoli e desideri umani.

Armonie antiche, emozioni nuove
Con profondità di pensiero e consapevolezza storica, il Maestro Fortuna ha voluto sottolineare anche il valore formativo dell’orchestra, osservando che “dal 2017 esiste un corso di studi dedicato alla tambura presso l’Accademia di Musica di Zagabria. Alcuni dei primi diplomati si sono esibiti questa sera. Questo ci dà fiducia nella continuità di questo strumento”.
Il programma è poi tornato a evocare paesaggi e sapori antichi, con i “Lovranski maroni” (I marroni di Laurana) di Zlatko Potočnik, un brano che profumava di legno, fuoco e autunno, tanto da far esclamare al Maestro, in tono giocoso – “Ci ha fatto venire l’aquolina in bocca!”. A seguire, la “Tartufada” (Tartufata) di Tomislav Uhlik, dove le note si sono rincorse come tartufi fra le foglie, in un brillante divertissement che ha esaltato l’agilità tecnica e l’umorismo musicale dell’ensemble. Il pubblico è rimasto rapito dalla trascrizione di “Zigeunerweisen” (Ariette zingare) di Pablo de Sarasate, realizzata da Dominik Škrabal e affidata al giovane e virtuoso solista Daniel Tomašević, alla bisernica. Un momento di assoluto virtuosismo, in cui l’archetipo romantico del violinista errante ha trovato nuova vita, trasfigurato in un linguaggio limpido e brillante, donando al brano una freschezza ed eleganza sorprendenti.

l Maestro Matija Fortuna si rivolge al pubblico.
Foto: GORAN ŽIKOVIĆ

La voce dei venti e delle radici
A seguire, è stata la volta del canto. Le klape, con la loro polifonia arcaica e limpida, hanno evocato emozioni profonde e tangibili: quella maschile ha intonato “U našeg Marina” (Dal nostro Marino) nel fine arrangiamento di Marko Bertić, dipingendo una scena domestica e intima, fatta di volti familiari, di tavole apparecchiate, di affetti che restano. Poi è arrivato Damir Kedžo, solenne e intenso, a fondere la sua voce con quella della klapa in “Kanet na vetru” (Canto al vento), un brano di Grubišić e Valković, rivestito dagli arrangiamenti di Ištvančić e Matovina. Qui il canto si è fatto grido contro l’oblio, contro il tempo che divora, un’invocazione che resiste, come fanno i venti contro le scogliere. La klapa femminile ha poi portato in scena “Žažara” (Tramonto) di Pilepić e Tadej, nella versione curata da Matovina e Pergjun, un brano intriso di languori estivi, di ombre tremolanti e desideri sospesi nell’aria immobile dell’afa. È seguito l’intensissimo “Pod orehon” (Sotto il noce), firmato da Lesica e Tuhtan, impreziosito dalla tromba struggente di Dubravko Češnjak, che ha conferito al brano un respiro quasi cinematografico, oscillante tra malinconia e speranza. Poi, l’omaggio sentito alla grande Tamara Obrovac è giunto con “Daleko je” (È lontano), in un arrangiamento sottile di Pergjun che ha saputo valorizzare le sfumature timbriche e dinamiche della klapa femminile.

Damir Kedžo.
Foto: GORAN ŽIKOVIĆ

Profumi lontani e suoni ritrovati
Ma è stato con la riscoperta di “Profumi orientali”, un raro e prezioso valzer di Blagoje Bersa, che l’orchestra ha mostrato tutta la sua versatilità. Le tambure, ormai affrancate dal ruolo puramente etnografico, si sono rivelate voci colte, capaci di una scrittura fine e lirica, degna delle più nobili orchestre d’archi. Il gran finale ha trascinato il pubblico in un’emozione collettiva. Prima “Tvoja zemlja” (La tua terra) di Alfi Kabiljo, con Kedžo e la Klapa Kastav uniti in un’unica voce potente, poi “U boj, u boj!” (All’attacco, all’attacco!), celebre coro tratto dall’opera “Nikola Šubić Zrinjski” di Zajc, rielaborato per l’occasione in una sorprendente versione per coro e orchestra a plettro. Un’esplosione di energia e coralità, un tributo sonoro all’identità e al coraggio.

Musica come visione e destino
Vi è qualcosa di profondamente riflessivo, quasi filosofico, nell’approccio del Maestro Fortuna, per il quale la musica è cammino, ascolto, tensione spirituale. La tambura, spesso relegata ai margini del folklore, viene da lui riscattata e innalzata a voce della cultura alta, capace di raccontare con grazia e precisione la storia di un popolo. In questo spirito, a fine serata, ha condensato il suo pensiero in parole avvincenti e sentite, rilevando che “molti nutrono ancora pregiudizi verso la tambura. La considerano uno strumento popolare, minore. Ma noi stasera abbiamo dimostrato che può raggiungere vette artistiche altissime. Se noi, musicisti, non viviamo le emozioni sulla scena, le persone venute a sentirci non potranno mai sentirle. Ed è questo il nostro compito, far vibrare l’anima collettiva attraverso le corde dei nostri strumenti”. Infine, quasi commosso, ha aggiunto: “Sono felice. È stata una serata carica di emozione. Volevo mostrare al pubblico fiumano la ricchezza espressiva della tambura, uno strumento che racconta storie, luoghi, popoli. La nostra orchestra conserva ancora l’accordatura in quinte e l’impiego di strumenti a tre corde. Il risultato è un timbro più chiaro e brillante, simile a quello degli ensemble mandolinistici, rispetto agli strumenti moderni, detti ‘srijemski’, che hanno quattro corde e producono un suono più pieno e scuro. La bellezza di questo ensemble è proprio la possibilità di alternare colori, di offrire una tavolozza sonora varia e viva, come ha fatto stasera grazie anche al prezioso supporto di eccellenti tecnici del suono e fonici del teatro”.
Sulla scia di queste riflessioni, non possiamo che affermare quanto questa prima serata del ciclo “Celebriamo la musica” sia riuscita nell’intento e abbia offerto una restituzione di senso, un atto d’amore verso la musica, la patria, la cultura. Ogni dettaglio, dalla scelta dei brani agli arrangiamenti, dalla cura scenica alla qualità esecutiva, ha testimoniato dedizione profonda e rispetto altissimo per l’arte. Il pubblico, seppur numericamente contenuto (e viene spontaneo domandarsi come mai non si sia investito in una promozione più capillare e incisiva, adeguata all’altissimo livello dell’evento?), ha potuto vivere un’esperienza di alta qualità artistica. Come ha detto il Maestro: “Chi è venuto questa sera meritava il meglio di noi”. E il meglio è stato offerto. Con maestria, con umiltà, con anima.

L’esibizione della klapa maschile Kastav.
Foto: GORAN ŽIKOVIĆ

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