L’Archivio di Antonio Morassi: un valore inestimabile

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L’Archivio di Antonio Morassi: un valore inestimabile

Il volume “Istria e Zara. Le immagini dell’Archivio Fototeca Antonio Morassi all’Università Ca’ Foscari di Venezia” è stato presentato a Trieste al Civico Museo della Civiltà Istriana Fiumana Dalmata a cura dell’IRCI, che è anche co-editore del libro assieme a ZeL-edizioni di Treviso. Erano presenti all’incontro i curatori del volume Michela Agazzi ed Enrico Lucchese del Dipartimento di Filosofia e Beni culturali dell’Università Ca’ Foscari di Venezia assieme a Giulio Zavatta dell’Università di Udine.

Nella sua introduzione Franco Degrassi, presidente dell’IRCI, ha ricordato come l’esito della pubblicazione di questo lavoro ha superato di gran lunga le aspettative. “L’opera di Antonio Morassi, di sentimenti italiani e di spirito irredentista, ma contemporaneamente di scuola austriaca, ci permette di ammirare l’indagine che compì attraverso un corredo fotografico corposo, un inventario dei beni delle nostre terre dopo la Prima guerra mondiale, con il fine di una loro conservazione e restauro – ha affermato. A ormai cent’anni da quel quinquennio (1920-25), durante il quale Morassi operò nel Reale Ufficio di Belle Arti della Venezia Giulia, è interessante scoprire cosa è rimasto di quanto censito in quell’epoca”.

Uno studioso internazionale

Giulio Zavatta ha inizialmente tratteggiato la figura di Antonio Morassi. “Nel panorama italiano del ‘900 è uno degli studiosi più internazionali – ha affermato. Formatosi a Vienna con i più grandi maestri nella storia dell’arte a livello accademico, tra questi Max Dvořák, completò poi la sua preparazione a Roma con Adolfo Venturi. L’incarico di Trieste lo riportò a casa, nacque infatti a Gorizia nel 1893. Qui elaborò un nuovo concetto di restauro: ricostruire in modo riconoscibile, rispettando anche le case più umili, immagine e spirito delle popolazioni, in qualche modo segno distintivo delle nostre terre.

La sua carriera proseguì – ha raccontato Zavatta – in Alto Adige, poi a Milano alla Pinacoteca di Brera, e poi a Genova, dove si adoperò nella salvaguardia delle opere durante la Seconda guerra mondiale. Parlava italiano, tedesco e sloveno, ma capiva bene anche francese e inglese, di fatto un poliglotta. Dal ‘49 diventò libero professionista e viaggiò in tutto il mondo, lasciando importantissimi taccuini di viaggio. Approfondì la conoscenza dell’architettura veneziana del ‘700 e realizzò i cataloghi completi dell’opera di Tiepolo e dei Guardi, la sua monografia è ancora di capitale importanza”.

Documenti su Venezia Giulia, Istria e Zara

“Per Morassi tutto aveva valore, ogni edificio doveva essere documentato – ha raccontato Michela Agazzi. La struttura dell’Archivio, un grande strumento scientifico, è per fascicoli. Comprende indicativamente 30mila fotografie, cartoline, pagine di riviste, documenti cartacei, che Morassi lasciò in modo ordinato. Arrivò alla Ca’ Foscari nei primi anni ‘80, per interessamento di Terisio Pignatti. La parte più interessante è proprio quella che riguarda le raccolte su Venezia Giulia, Istria e Zara, da rendere disponibile online con le nuove tecnologie, realizzandone al contempo conservazione e tutela. Va costruita una linea narrativa, che restituisca una storia del primo dopoguerra. Sono state coinvolte alcune istituzioni tra cui il Museo di Capodistria, venne presentato un progetto europeo, purtroppo non finanziato, ma è stato comunque il motore per la realizzazione di questo volume. Le foto mostrano i paesi, le città, i monumenti ma anche la vita delle persone. Da una tesi di laurea è emerso che le foto in parte sono state realizzate da Opiglia, che a quel tempo lavorava nei Civici Musei di Trieste e seguiva Morassi nelle sue esplorazioni del territorio. La foto rappresentava la certificazione del lavoro fatto. Immagini che oggi ci consentono un viaggio virtuale a ritroso di cent’anni. Delle 900 foto esaminate si è dovuto fare una selezione, tra queste riportiamo lo studio approfondito che Morassi fece, durante i lavori di restauro e a loro conclusione, della Chiesa di Santa Maria del Canneto a Pola; e analogamente per il paliotto del Beato Leone Bembo di Paolo Veneziano nel Duomo di Dignano”.

Un significato spirituale

“Morassi faceva parte di quei giuliani – ha affermato Enrico Lucchese – di cui scriveva Scipio Slataper nelle Lettere Triestine, in cui descrisse l’originale diversità che ha contraddistinto le nostre genti: una storia del mondo di ieri che narra della Mitteleuropa in cui Morassi ha vissuto tante vite. Fu amico di Bolaffio e, come lui, avrebbe voluto essere un pittore. A Vienna fu molto influenzato dall’opera di Leo Planiscig, altro goriziano grandissimo studioso del Rinascimento, consigliere dell’arciduca Francesco Ferdinando, che aveva pubblicato due testi durante la guerra sui suoi viaggi per lo studio delle opere d’arte dall’altra parte delle trincee, tra cui Trieste, Istria e Dalmazia. Per vent’anni Morassi pubblicherà molto, sulla rivista Emporium, ad esempio dei dipinti di Carpaccio a Zara, della ‘Danza macabra’ di Vermo, del Tiepolo a Pirano. Nel volume c’è una presenza massiccia di ferri battuti, di merletti e cassapanche, che oggi avremmo difficoltà a considerare oggetti artistici e che per Morassi era invece l’arte del popolo. Il suo Archivio non può essere considerato soltanto quindi come documentario ma ha soprattutto un significato spirituale: la foto pubblicata della casa a Cernical vicino a Capodistria è un chiaro esempio di quanto l’espressione artistica popolare avesse per lui questo aspetto spirituale. La copertina del volume riporta la foto dell’orto della ‘camerale’ di palazzo Gravisi Barbabianca di Capodistria degli anni 20, il retro della copertina è il retro della foto con gli appunti di Morassi”.

Presenti all’incontro i due nipoti di Morassi, hanno riferito che alla morte del grande studioso, i responsabili del Museo americano di Boston offrirono molti soldi alla vedova per entrare in possesso dell’Archivio. Sul dato economico prevalse l’amore per l’Italia e fu preferita così l’Università di Venezia. Quello che emerge oggi della figura di Antonio Morassi che, se ben nota la sua statura nel mondo scientifico, non gli è stato dato invece riconoscimento per un pubblico più vasto. Il volume pubblicato ha l’ambizione di aprire uno spazio per dare evidenza a questo.

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