
Si è respirata un’atmosfera rilassata e familiare, carica di storie e aneddoti interessanti, intriganti e proficui scambi di riflessioni, idee e opinioni, nonché di sana e coinvolgente letteratura, in occasione del primo appuntamento relativo al rilancio del Book Club organizzato dall’Istituto Italiano di Cultura di Zagabria, che ha ospitato il graditissimo scrittore e traduttore romano Vincenzo Latronico, considerato un enfant prodige della cultura letteraria italiana. La serata, coordinata dal direttore dell’ente, Gian Luca Borghese e le collaboratrici Petra Švarc e Ružica Babić, ha visto quale protagonista il suo ultimo libro “Le perfezioni”, edito nel 2022 dalla Bompiani, vincitore del Premio Mondello e nella dozzina del Premio Strega, nonché tradotto quest’anno in lingua croata a firma di Antonija Radić, presente all’incontro, per i tipi della Fraktura.
A seguito di una breve presentazione del suo interessante operato, Borghese ha passato la parola all’autore, il quale ha espresso gratitudine all’IIC per l’accoglienza e ammirazione per la qualità del lavoro svolto, di cui si colgono gli effetti da tanti punti di vista. In tale contesto, ha rilevato che la letteratura italiana sta vivendo un momento felicissimo, il che è stato anche comprovato dalla lista del New York Times relativa ai cento libri più belli del XXI secolo, in cui “L’amica geniale” di Elena Ferrante si è piazzata al primo posto. Inoltre, è da segnalare che quest’anno l’Italia è Ospite d’Onore al Salone del libro di Francoforte e che giovani (e meno giovani) scrittori e scrittrici italiani vengono tradotti in tutto il mondo, molto più degli omologhi tedeschi o francesi.

«Le perfezioni»
Sollecitato dal direttore dell’IIC, all’inizio del suo intervento Latronico ha spiegato che la scelta di intitolare lo scritto al plurale è dovuta all’idea della perfezione come di qualcosa di compiuto, a cui non si può aggiungere niente, il che si rifà anche al suo significato etimologico. A sua detta “varie perfezioni non sono la perfezione, per cui mi sembrava un buon modo per raccontare quella sorta di scollamento che talvolta si ha fra la propria vita come la si esperisce dall’interno e il modo in cui la presentiamo sui social media, contraddistinto dal costante flusso di fotografie e informazioni che inviamo su di noi. In effetti, mi interessava creare il senso di qualcosa che non torna e non quadra, come pure inserire una spia di quello che poi sarà lo svolgimento della vicenda”.
Una scrittura elevata e pensata
Nel prosieguo l’autore si è soffermato sull’uso della prosa nel libro, in riferimento alla quale gli è stato spesso rimproverato fosse una scrittura fredda, distante, immedesimata, rimarcando di averla adottata in quanto, a differenza del racconto caldo che trascina e ci fa andare avanti bruciando le pagine, qui desiderava uno scritto che si leggesse molto lentamente. A tale riguardo ha riferito che “’Le perfezioni’ si compone quasi esclusivamente di descrizioni di immagini, quale forma di lavoro sulla tensione ed equivalente letterario del ritratto, del paesaggio, il che sforza a osservare bene la realtà. Mi sembrava che le stesse compongano una parte consistente della nostra vita e che passiamo una quantità di tempo delle giornate a guardare il summenzionato costante flusso di immagini il che, essendo manchevole di alcuna struttura narrativa, è completamente privo di precedenti e non vi è traccia nella letteratura odierna. A me interessava raccontarlo”.
L’interiorità e la posizione del narratore
A modo della riflessione inerente alla scrittura, un altro tentativo di sfida di Latronico è stata quella inerente all’interiorità, teso alla narrazione della sostanza della vita digitale e di come funzioni. A suo dire “ci sono cose che succedono soltanto nella parte digitale delle nostre vite, ma hanno un impatto reale nel quotidiano, il che non è semplice da raccontare. Dopo qualche tempo in cui cercavo il modo di farlo ho letto il romanzo ‘Le cose’ di Georges Perec del 1965, in cui parla di come nel consumismo le persone vedano sé stesse e la definizione della loro vita quale una somma di oggetti, nonché spiega la vita interiore dei personaggi solo attraverso le loro relazioni con alcuni degli stessi. Ho pensato di sostituire alle cose le immagini e di parlare con lo stesso metodo della trasformazione inerente al digitale. Il mio tentativo è stato quello di cercare di ricostruire l’interiorità delle persone social attraverso un aspetto estremamente superficiale”.
Da quanto riportato dall’autore, ciò che lo differenzia da Perec è il suo atteggiamento nei confronti dei personaggi rilevando che, nel caso di Jérome e Sylvie, lo scrittore francese li giudicava e li prendeva in giro in modo secco, ritenendoli dei cretini per aver venduto l’anima al capitalismo. “Anch’io lo faccio – ha svelato – “cercando di raccontare una superficialità, un certo tipo di ossessione per dei dettagli assurdi come quelli relativi al cibo, ma lo dico prendendo in giro anche me stesso. Da un lato questo mi permette di avere un modo di fare affettuoso e giocoso nei confronti dei personaggi, ma dall’altro, a differenza di Perec, non ho la soluzione al senso di mancanza di qualcosa di profondo che avverto”.
I personaggi
Ciò che incuriosisce leggendo il volume è la voluta mancanza di informazioni su Anna e Tom, la giovane coppia di creativi protagonista del romanzo. A tale proposito Latronico ha riportato che i capitoli sono tematici e riguardano il loro lavoro, gli appartamenti in cui hanno vissuto, gli amici, la vita sessuale, la politica e altri, spiegando che “nella prima stesura ce n’era anche uno sui litigi, che in seguito ho deciso di togliere per creare dei protagonisti il più possibile vuoti, per fare sì che le persone non notassero ciò che li rendeva speciali, bensì che fossero una sorta di specchio per i lettori”. In tale senso, ha ancora aggiunto, la coppia è la più piccola forma possibile di noi, per cui il dialogo, quale dispositivo individualizzante per eccellenza, è del tutto assente nel romanzo.

Il ritorno al vero
In conclusione dell’incontro lo scrittore ha affermato che in Italia, e non solo, si sta riscontrando una grande rinascita di interesse nei confronti di una sorta di appunto del vero, come lo dimostrano i recenti Nobel di Annie Ernaux, di Jon Fosse e il successo di altri autori. “A mio avviso tutto ciò non è un caso – ha sottolineato – in quanto la narrazione seriale televisiva ci ha liberato dal peso di inventare storie realistiche e, in tale contesto, stiamo assistendo anche a un momento di ripresa del fantasy, della fantascienza e dell’horror. Il racconto psicologico, il romanzo borghese, da camera, il romanzo narrativo è qualcosa che per molti versi Netflix fa benissimo e va bene così, in quanto per la letteratura è una grande liberazione il fatto che il bisogno umano di quel tipo di storie può essere esaudito da un altro formato e ci permette di concentrarci su dei lavori che un tempo erano definiti sperimentali”. In un momento così specifico, di cui Latronico ha effettuato un ritratto lucido e sfacciato, che ne sarà della magia del mistero, dell’attesa, fondamentali per i meccanismi del romanzo classico (e del nostro vivere)? L’autore non ha dubbi sul fatto che “il processo del disincanto fa parte del progresso e nella rivoluzione digitale questo è assoluto in quanto ogni cosa è raggiungibile, non ci si perde e non ci si sorprende mai, il che rompe un sacco di dinamiche romanzesche. Oggi se vogliamo scrivere la storia di qualcuno che si perde bisogna fare sì che gli si rompa il gps. Ulisse cercherebbe Itaca su TomTom e arriverrebbe subito”.
La biografia
Nato a Roma nel 1984, l’autore ha al suo attivo già un numero considerevole di libri, tra i quali quelli pubblicati con Bompiani – “Ginnastica e rivoluzione” (2008), “La cospirazione delle colombe” (2011), “La mentalità dell’alveare” (2013), vincendo il Premio Berto, il Premio Bergamo e il Premio Napoli – e un saggio sull’Etiopia coloniale con Quodlibet. Nel 2023 è uscito per l’Einaudi il volume “La chiave di Berlino”. Ha tradotto decine di romanzi, soprattutto dal tedesco e dall’inglese, concentrandosi sulle ritraduzioni di classici, e ha collaborato con il “Corriere della Sera”, “Internazionale”, “Frieze”, la “Frankfurter Allgemeine Zeitung” e attualmente con “La Stampa”.

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