
Un gruppo di uomini, usciti dal Silos, dove erano stati smistati gli esuli istriani, a bordo di un’automobile festeggia sventolando il tricolore italiano, ma sul cofano c’è un’altra bandiera, listata a lutto, sfregiata da una banda nera che taglia in due la capra, simbolo dell’Istria. È l’alba del 26 ottobre 1954, il fotoreporter cattura in uno scatto i due volti di quella data. A distanza di settant’anni, mentre il capoluogo giuliano celebra con grandi iniziative lo storico momento, la mostra “1954 – Trieste è italiana, la zona B è perduta”, allestita dall’Istituto regionale per la cultura istriano-fiumano-dalmata di Trieste, curata dal direttore Piero Delbello con lo storico Roberto Spazzali, racconta la vicenda con un approccio un po’ diverso, dalla prospettiva di chi, all’indomani di quella giornata, era diventato consapevole che la Zona B del Territorio Libero di Trieste sarebbe stata ceduta alla Jugoslavia di Tito e l’addio alle loro città e campagne sarebbe diventato definitivo. A Trieste, tutto d’un colpo, arriveranno circa 60mila persone, mentre dall’altra parte del confine le contrade e i paesini si svuoteranno, riducendo la presenza italiana a un’esigua minoranza.
La testimonianza di Franco Degrassi
Tra interessanti cimeli d’epoca, una messe di fotografie, alcune praticamente inedite, ritagli e copertine di giornali e riviste, cartoline, manifesti e diverso altro materiale (anche audiovisivo), assieme con dei testi di contestualizzazione sintetici ma esaustivi, l’esposizione, offre una visione a 360 gradi. Si procede in ordine cronologico, spiegando e illustrando con la forza delle immagini i fatti che, tra occupazioni (quella angloamericana) che avevano la portata di una liberazione e, viceversa, liberazioni che si erano trasformate in occupazione (“40 giorni” in cui la città fu nelle mani degli jugoslavi), porteranno al ricongiungimento di Trieste con la madrepatria o, meglio, “riporteranno l’Italia a Trieste”, come ha rilevato il presidente dell’Irci, Franco Degrassi, all’inaugurazione. Egli stesso è stato testimone di quegli eventi e, seppure ancora bambino (aveva circa 13 anni), ha compreso ciò che stava per accadere, ha sofferto il clima che si era venuto a creare, tra speranze, incertezze, paure, cattiverie, delusioni. Condividendo la gioia immensa dei triestini per l’arrivo dei soldati italiani. “Alla fine di quella giornata, eravamo tutti in piazza ad attenderli fin dalle 6 del mattino, tornai a casa bagnato fradicio, tanto che mi presi una bronchite”, ha ricordato. Da una parte la felicità, dall’altra la consapevolezza che “mai più ritorneremo a casa”.
Necessaria una comprensione reciproca
Presentare le due facce della medaglia, recuperare e trasmettere la storia, senza alcuna velleità, né di revanscismo, né apologetiche, né di rassegnazione, ma far vedere una realtà complessa e difficile, in cui non esistono solo il bianco e il nero, ma ci sono il bianco, il nero e il grigio. “Guardiamoci bene dalla guerra, le soluzioni ai problemi non si devono ricercare attraverso il conflitto – ha detto Degrassi, lanciando un monito sulle conseguenze dei nazionalismi sfrenati –, ma con l’incontro, il dialogo, la comprensione reciproca, cercando di comprendere le ragioni uno dell’altro, ricercando la convivenza pacifica”, ha concluso.
Uno spaccato particolare
All’apertura, accanto al presidente Degrassi, alla vicepresidente dell’Irci, Grazia Tatò e al direttore Delbello, sono intervenuti l’assessore della Regione Friuli Venezia Giulia, Alessia Rosolen (Lavoro, formazione, istruzione, ricerca, università e famiglia), mentre alla presentazione organizzata per stampa e autorità hanno assistito, tra gli altri, anche il senatore Roberto Menia, l’assessore regionale Pierpaolo Roberti (Autonomie locali, funzione pubblica, sicurezza e immigrazione), Emanuela Milan, dirigente della Prefettura di Trieste, il vicepresidente del Consiglio regionale FVG, Francesco Russo, il consigliere regionale Markus Maurmair… Quello che si offre al pubblico è uno spaccato molto particolare, molto sentito da parte di coloro che l’hanno allestito e pure del pubblico. Lo si è percepito dalla partecipazione al “taglio del nastro”, da alcuni commenti che i materiali esposti hanno suscitato nella gente; materiali che hanno fatto rievocare memorie ed esperienze personali, aggiungendo altri tasselli, emotivi, a un itinerario già denso di significati. La mostra, accompagnata da un ricco catalogo di oltre 250 pagine, sarà visitabile fino al 30 marzo 2025.
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