«La Ricerca» è come un’ancora di salvezza

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«La Ricerca» è come un’ancora di salvezza

ROVIGNO | Un’ancora di salvezza. Così viene vista la storiografia nell’editoriale del nuovo numero de “La Ricerca”, firmato dal redattore Nicolò Sponza.

In un periodo d’insicurezza collettiva, come quello attuale, occuparsi di storia diventa una necessità. “Una sorta di aurea aetas da dove attingere idee e soluzioni possibilmente risolutrici, che ci aiutino a riannodare il filo che lega il presente al passato e l’individuo al territorio”, ritiene Sponza.
Senza farsi, però, troppe illusioni, Sponza intravvede che sono ben altri i reali, dominanti giocatori, nello scacchiere del mondo, per cui “la storiografia è, e rimarrà, sciaguratamente, soltanto missione e pura vocazione”. Rimane vivo, in ogni caso, il bisogno della storia e della memoria, in particolare su territori di confine, come questi.

50 anni di ricerca

“In mezzo a siffatto universo di diversa umanità, il Centro, votato alla documentazione della presenza italiana, ma aperto a una storia di queste terre fatta come dialogo, non come contrapposizione, s’appresta a compiere cinquant’anni di ininterrotta, responsabile, attività di ricerca. Caratteristica che l’ha reso interessante nel suo insieme e nel dettaglio a ricercatori che volevano eludere i confini nazionali e che hanno voluto vedere nell’
Homo adriaticus
una sintesi, della simbiosi culturale romanza e slava, che più volte si era realizzata lungo le sponde orientali di questo mare, quale modello e ispirazione per formulare l’idea di una civiltà basata sull’incrocio”.
Ed è in questo contesto che si colloca il 73º numero della rivista pubblicata dal Centro di ricerche storiche di Rovigno (che quest’anno, tra l’altro, festeggia mezzo secolo di proficua attività), presentato ieri in sede dal redattore, assieme al giovane ricercatore Diego Han.

La Tabula Peuntingeriana

Apre la rivista, il saggio “Cartografia romana: la Tabula Peuntingeriana” di Sergio Zorzon, il quale si concentra sull’unico documento cartografico riferibile al periodo imperiale romano, ordinato dall’imperatore Augusto (63 a.C.-14 d.C.), sulla base dei dati forniti da Marco Vipsiano Agrippa. Si tratta di una carta molto schematica, priva di scala, che rappresenta la rete stradale dell’impero, nonché gli itinerari che attraversano le regioni esterne fino ai limiti orientali del mondo abitato, ossia l’ecumene . Essa rappresenta anche la successione delle varie località e registra, accanto alle singole tappe degli itinerari, quasi sempre le distanze in miglia romane.

La malaria nell’Istria nord-occidentale

Rino Cigui si è occupato invece dell’endemia malarica nell’estremità nord-occidentale dell’Istria nel saggio “L’aria comincia ad esser nociva dalla Punta di Salvore…”.
Una serie di fattori negativi portò, nel XVI secolo, a una decisa recrudescenza delle condizioni igienico-sanitarie nell’estremità nord-occidentale dell’Istria, che ha nella penisola di Salvore e nell’omonimo porto i suoi principali punti di riferimento, per cui nelle corografie cinque-secentesche molte parti della provincia furono definite malariche, prima fra tutte la fascia costiera da Salvore al fiume Arsa. L’Ottocento non portò mutamenti sostanziali nell’evoluzione della malattia, come pure il XIX secolo, segnato dal fenomeno del paludismo come confermato dai registri parrocchiali. Cigui fa menzione, nel saggio, anche delle molteplici strategie messe in atto nel corso del XX secolo per debellare la malaria.

L’organista del Duomo di Dignano

La ricercatrice Paola Delton ricorda, invece, la figura del Mº Domenico Malusà (1887-1946), organista del Duomo di Dignano, attraverso la memoria del figlio Giuseppe.
Malusà fu anche direttore di coro e banda, insegnante di musica e strumento. Molti sono i dignanesi che curano ancora il suo ricordo, tanto che il 10 agosto 2017 la Città di Dignano, in collaborazione con la Comunità degli Italiani locale e la Famiglia Dignanese di Torino, a nome dei concittadini riconoscenti, ha posto in via Merceria (già Calnova) una lapide commemorativa sulla casa natale del Maestro.
Furono almeno dieci i rovignesi prigionieri della Grande Guerra in Russia, in base a quanto scaturito dalle ricerche di David Orlović, il quale ha tentato, nel lavoro che chiude l’ultimo numero della rivista, una ricostruzione, un primo elenco di soldati dell’Impero austro-ungarico, provenienti da Rovigno e dintorni, che durante la Prima guerra mondiale, dopo avere preso parte ai combattimenti sul fronte galiziano, furono catturati dalle truppe russe e da queste internati nel territorio russo come prigionieri di guerra. Grazie agli articoli relativi alle annate 1916 e 1917 del giornale del campo profughi di Wagna, il Lagerzeitung für Wagna – Gazzetta d’accampamento di Wagna, è stato possibile compilare una lista di 1.163 prigionieri provenienti dal Litorale austriaco (Österreichisches Küstenland), di cui 350 provenienti dal Margraviato d’Istria, di cui Rovigno faceva parte.

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