La recensione «A riveder le stelle»

Il libro del giornalista del Corriere della Sera, Aldo Cazzullo, ci rende orgogliosi di essere italiani e partecipi di un patrimonio unico al mondo. Mediante l’opera l’autore ci porta nel periodo in cui Dante e La Divina Commedia costruivano le fondamenta della lingua e della cultura

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La recensione «A riveder le stelle»

Dante è il più grande poeta della storia dell’umanità e la sua Divina Commedia è il più bel libro scritto dagli uomini. È un mostro d’intelligenza, neppure un essere umano. Vive nel momento più alto della cultura italiana, nel periodo straordinario che va da Federico II, dal 1230 circa, fino alla peste nera del 1348. È anche il periodo figurativo più alto, con Giotto e allievi e tante scuole di pittura. La cultura è diffusa ovunque e in essa Dante è l’astro più splendente.
Qualunque persona racconti il proprio tempo sa che Dante lo ha già fatto per sempre. Sa che i suoi personaggi sono perpetuamente contemporanei, perché il poeta ha colto in loro qualcosa di profondamente universale con la sua capacità di intendere l’animo umano, di penetrare l’esistenza e di rappresentarla. La Divina Commedia ha interessato e affascinato autori di ogni tempo e nazione. Molti poeti si sono ispirati alla sua opera: Eliot, Pound, Pessoa, Borges, Mallarmé, Gongora ed altri.
Mentre infuria il Covid-19, il giornalista Aldo Cazzullo del Corriere della Sera ha riletto l’Inferno a modo suo e, a 700 anni dalla morte dell’autore, ha pubblicato per la Mondadori “A riveder le stelle”. Il poeta che inventò l’Italia – così lo definisce nel sottotitolo spiegando che Dante non ci ha dato soltanto una lingua, ma ci ha dato soprattutto un’idea degli italiani, un’idea di noi stessi e dell’importanza dell’Italia nel mondo.

 

Un viaggio collettivo
Già nel celeberrimo incipit “Nel mezzo del cammin di nostra vita” Cazzullo trova la chiave di lettura nella parola nostra, perché Dante non sta parlando a sé stesso ma sta parlando a noi. Il suo viaggio all’Inferno è collettivo e ci riguarda tutti. Ci riguarda ancora, 700 anni dopo. Nella primavera del 1300, la notte del venerdì santo del 25 marzo, Dante compirà in sei giorni il viaggio nell’oltretomba, accompagnato da Virgilio, sua guida e maestro, a partire da un momento della sua vita in cui si era smarrito nella “selva oscura” dei peccati e degli errori. Aldo Cazzullo da bravo cronista ricostruisce il viaggio all’Inferno come un viaggio iniziatico, una specie di ricerca del Graal, della salvezza. Ma, prima di salire verso il cielo, verso Dio, bisogna purificare l’anima. E allora si deve sprofondare nella voragine, nel regno dei morti, sempre più giù lungo i nove gironi, si deve provare tutto il dolore degli umani sulla propria pelle, piangere tutte le lacrime del mondo, sentire la fiamma del peccato e della punizione inflitta ai dannati. Solo dopo aver visto tutto il peggio di questo mondo, si può reimparare cos’è il bene e cos’è il male, sempre usando la ragione, non i sentimenti, non la passione, ma la ragione, perché solo la ragione può riportare Dante sulla via della rinascita. Ciò vale per tutti. Ciò è accaduto tante volte agli italiani nella storia, che non è fatta di vittorie militari e di passeggiate trionfali ma di tribolazioni, miseria, sacrifici, epidemie, cui ogni volta è seguita la rinascita.

 

Personaggi maledetti
Cazzullo descrive gli incontri con un’umanità complessa, in cui si susseguono, uno dopo l’altro, lussuriosi, golosi, avari, ignavi, taccagni, suicidi, scialacquatori, demoni, giganti, sodomiti, eretici, violenti, traditori, falsari, fraudolenti, malati di lebbra, politici corrotti, Papi simoniaci, banchieri usurai, ladri, praticamente tutti coloro che antepongono l’interesse privato a quello pubblico: nessuno deve restare impunito. La legge del contrappasso vuole che l’anima dannata sia punita con una pena contraria o simile al peccato commesso. Tanti sono i personaggi maledetti ma grandiosi: Ulisse, Farinata degli Uberti, il conte Ugolino, Vanni Fucci, Brunetto Latini, Pier delle Vigne, Filippo Argenti, Bocca degli Abati, Grifolino d’Arezzo, Tebaldello Zambrasi e altri. Il personaggio preferito è Ulisse, Dante si sente come lui, eroe della conoscenza che non si accontenta, che non torna a casa, che supera le colonne d’Ercole per andare ad esplorare terre sconosciute, che vuole intraprendere un viaggio molto arduo, perché “fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza”. Sono le prime parole dell’uomo moderno.

La copertina del libro

La donna, il capolavoro di Dio
Non solo. Dante è il poeta delle donne. È solo grazie alla donna se la specie umana supera qualsiasi cosa contenuta nel “cerchio della luna”, vale a dire sulla terra. La donna è il capolavoro di Dio, la meraviglia del creato. In tempi in cui si dubitava che le donne avessero un’anima, Beatrice, la donna amata, per Dante è la meraviglia delle meraviglie, è la donna forte che si prenderà cura di lui e lo condurrà alla salvezza. Ha parole straordinarie anche per le donne infelicemente innamorate come Francesca da Rimini, vittima di un femminicidio, o come Medea, vittima della violenza dei pregiudizi e della vigliaccheria maschile. In tempi in cui il latino dominava sovrano, il volgare fiorentino, la lingua madre, parlata dai mercanti, dal popolo, riceve con Dante il prestigio che meritava e trova nella Divina Commedia la sua legittimazione. L’autore difende questa scelta e ne spiega il motivo: arrivare a tutti con la lingua dell’istinto, dei sentimenti, e tuttavia poterla utilizzare in ogni dove, per ogni discorso in qualsiasi prosa dottrinale.

 

Le divisioni tra i singoli
Cazzullo intanto segue Dante nel secondo viaggio, un viaggio parallelo e molto più tangibile e altrettanto appassionante di quello interiore. Esso si svolge in superficie attraverso l’Italia, che lui ha battezzato col nome di Bel Paese dove il sì suona. Sono descritti in una logica inevitabilmente medievale il lago di Garda, Scilla e Cariddi, l’Istria e la Dalmazia, l’arsenale di Venezia, le acque di Mantova, la fortunata terra di Puglia, la bellezza nonché gli scandali di Genova, Roma, Firenze e altre città toscane.
Dante ama l’Italia, ma è severissimo con gli italiani, non risparmia invettive a nessuno di coloro che l’hanno ridotta al rango di “bordello”, governata com’è da ignoranza, corruzione, malcostume e diffuse tirannidi. I pistoiesi sono biscazzieri corrotti, i bolognesi sono tutti ruffiani, i genovesi e i pisani si combattono vergognosamente tra di loro (“Ahi Pisa, vituperio de le genti del bel paese là dove ’l sì suona…”), guelfi contro ghibellini, Montecchi contro Capuleti, e poi Bianchi contro Neri, una famiglia contro l’altra, un ramo della stessa famiglia contro l’altro. La piaga dell’Italia sono le divisioni. L’ira che il poeta rivolge contro la patria, è frutto dell’amore che lui nutre per lei, perché la vorrebbe diversa, la crede destinata a un ruolo universale, a una grande missione, perché ha già conquistato il mondo due volte, raccogliendo sia l’eredità dell’Impero romano e del mondo classico (Virgilio, Ovidio) e sia la cristianità. Un binomio che concilia la tradizione classica e la fede cristiana agli albori dell’Umanesimo. Dante capisce la loro importanza e converte in lingua le loro civiltà.

 

Arte e cultura crearono l’Italia
Ricordando i tempi del liceo, noi lo temiamo, temiamo il conte Ugolino a memoria, Paolo e Francesca a memoria, lo temiamo e lo nominiamo con soggezione e nello stesso tempo con estrema familiarità come si fa con un papà, lo chiamiamo confidenzialmente per nome, padre Dante, anzi, per soprannome, perché in verità si chiamava Durante Alighiero degli Alighieri. Parliamo la sua lingua, la lingua del padre dell’Italia che si fa nazione e che sviluppa il sentimento nazionale molto prima della nascita dello Stato italiano. Senza esistere come entità politica, esisteva già da molti secoli. L’Italia non è nata da una guerra come la Francia, non è nata da un matrimonio dinastico come la Spagna, non è nata da un trattato diplomatico, da un matrimonio. L’Italia nasce da un sistema di bellezza, di arte, di cultura, di poesia. Nasce dagli affreschi di Giotto e dai versi di Dante Alighieri.

 

A tutto c’è rimedio
Cosa possiamo fare noi oggi per Dante? Leggere la cantica dell’Inferno che Cazzullo ha divulgato col linguaggio contemporaneo. Ma il giornalista del Corriere ha un merito ancor più grande, quello di averci consegnato in piena epidemia il messaggio ricavato dalla lettura tramite i tanti accostamenti felici tra lo spirito della Commedia e i tempi in cui viviamo. Il suo libro ci rende un po’ più consapevoli e orgogliosi di essere italiani, partecipi di un patrimonio unico al mondo, fonte inesauribile di arte, di cultura, di poesia, di bellezza, di insegnamenti. Ci ricorda che la generazione successiva a quella del sommo poeta fu spazzata via dalla peste nera, e che una generazione dopo ha compiuto il miracolo del Rinascimento. Ma non tutto era ancora finito, c’erano altre montagne da scalare. E le hanno scalate: gli italiani sono ripartiti. È questo il messaggio di Dante rilanciato da Cazzullo: non esiste un inferno tanto profondo dal quale non si possa uscire e non esiste crisi tanto dura che non possa essere superata. Anche per questo è bello appassionarsi a Dante in momenti così difficili come quelli che stiamo vivendo. Brutti tempi, ma destinati come quelli della “selva oscura” a rigenerarsi e rifiorire fino a portarci di nuovo in superficie a rivedere il cielo stellato. Dio lo voglia, e noi con Lui. Amen.

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