La questione adriatica: stampa e letteratura

Si è concluso a Trieste il Convegno internazionale in occasione del Centenario del Trattato di Rapallo. I lavori proseguiranno nelle città di Rapallo e Belgrado

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La questione adriatica: stampa e letteratura

Si è concluso all’Unione degli Istriani di Trieste il Convegno internazionale in occasione del Centenario del Trattato di Rapallo. A introdurre le relazioni della mattinata è stata Biljana Vučetić, dell’Istituto di Storia di Belgrado, che ha affrontato il tema dell’opinione pubblica statunitense sulla questione adriatica nel periodo 1918-19. Dopo di lei Vjeran Pavlaković, dell’Università di Fiume, ha parlato della stampa jugoslava e delle sue reazioni al Trattato di Rapallo, Alessandro Vagnini, della Sapienza di Roma, ha affrontato il tema delle relazioni con l’Ungheria, mentre Cristina Benussi, dell’Università di Trieste, ha parlato degli scrittori legionari a Fiume.

In rosso i territori assegnati all’Italia con il Trattato di Rapallo

Divisione tra democratici e repubblicani

Dalle relazioni è emerso un quadro interessante del dibattito internazionale attorno alla questione adriatica; di quanto rilievo abbia assunto su scala globale e in particolare sulla stampa degli Usa, la vicenda della definizione del confine italo-jugoslavo. Si è evidenziato inoltre come lo stato del Montenegro e la sua sorte vennero trascurati: un Paese alleato, di cui si doveva decretare la scomparsa, fu questione di grande imbarazzo per il Presidente degli Stati Uniti Wilson. Vučetić ha sottolineato la divisione tra la stampa degli Usa democratica, favorevole al presidente, e quella repubblicana: da Parigi il corrispondente del “Chicago Tribune” scriveva che Wilson aveva raggirato gli italiani, mentre il “New York Times” era più accondiscendente nei confronti del Presidente. Il “Washington Post” asseriva che i croati erano nemici dell’Italia ma anche degli Stati Uniti; se Fiume fosse caduta in mano agli slavi sarebbe stata un pericolo per entrambi i Paesi. Ma si è evidenziata anche la grande sproporzione della propaganda serba e quella italiana sul suolo statunitense. La Serbia veniva accusata di investire nella propaganda negli Stati Uniti i soldi dati dagli americani a favore delle popolazioni affamate, mentre gli italiani con poche risorse scrivevano sulle riviste degli emigrati. Circolava persino l’accusa che Wilson fosse vittima del fascino delle mogli dei diplomatici jugoslavi e che tutta l’azione serba agisse anche sui professori dell’Inquiry americano, che collaborava con il Presidente.

Rapporti con l’Italia

Vjeran Pavlaković ha riferito di un regno slavo con un governo e una diplomazia più debole, di un Paese con problemi di natura interna e con difficili confini esterni con gli altri Paesi, circondato insomma da nemici. Per i giornali jugoslavi Fiume era punto fondamentale della contesa e D’Annunzio era visto come un assassino violento o come un clown, si pubblicavano vignette satiriche su quest’argomento. Quando Wilson scomparve dalla scena, la stampa rifletté tutta la frustrazione e amarezza per i rapporti con l’Italia, nonché l’esigenza di voler arrivare a una conclusione del negoziato, delusa della giustizia internazionale, nella quale aveva nutrito fiducia. Sempre il “Koprive” dichiarava che i diplomatici slavi non avevano studiato il Machiavelli e che, supportati da Zagabria, avevano dimenticato Lubiana e Belgrado. “Si affacciò persino l’ipotesi che i serbi non volessero troppi cattolici nel regno, preferendo perdere piuttosto cittadini – ha riferito Pavlaković -. Nel 1920 il ‘Novi List’ pubblicò un messaggio di vendetta futura, nella quale è ipotizzabile ravvisare l’azione di Tito e dei suoi partigiani mentre avanzano verso Trieste e l’Austria. Il ‘Nova doba’ il 15 novembre 1920 raccontava delle proteste, delle bandiere nere in segno di dolore per la conclusione del Trattato. I semi della violenza nella Seconda guerra mondiale furono gettati in quegli anni. Ancora oggi la conclusione del Trattato di Rapallo è usata in modo populista nella politica contemporanea”.

Il compromesso su Fiume

Fiume era stata parte del Regno d’Ungheria, che dovette rinunciarvi con il Trattato del Trianon. Nella disputa tra Roma e Belgrado pertanto il Paese magiaro, che vedeva minacciati i suoi confini meridionali e orientali, sperava di mantenere un accesso economico sulla città portuale attraverso l’Italia. I servizi segreti italiani contribuirono a creare queste aspettative. “Gli ungheresi pertanto speravano che D’Annunzio continuasse a creare problemi – ha riferito Vagnini -, sapendo che sulla città quarnerina ci sarebbe stato un compromesso. Pallavicini, membro della Camera alta ungherese, sostenne pubblicamente l’interesse del Paese ad essere amico e alleato dell’Italia. Dopo la guerra l’Ungheria si trovava costretta nei confini, con il 30 p.c. della popolazione magiara fuori dal suo territorio, con perdite pesantissime e un trauma postbellico terribile”. E a Fiume cosa succedeva intanto? Cristina Benussi ha riferito dei due fenomeni intellettuali che si scontravano con forza nella città: da una parte Filippo Tommaso Marinetti con il suo manifesto futurista, dall’altra la rivista “Yoga” di Giovanni Comisso e Guido Keller, che guardavano alla natura e ai suoi valori sociali. Con il Trattato di Rapallo, i due intellettuali reagirono in maniera violentissima, perché vincevano così i nazionalismi. Il Convegno si è concluso, ma non finisce qui. I lavori proseguiranno a Rapallo il 29 maggio e l’11 settembre riprenderanno a Belgrado.

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