
Tutta la forza della poesia nelle parole di János Pilinszky in una serata fra musica e poesia dedicata alla letteratura ungherese. È questo l’interessante incontro che si è svolto in occasione della Giornata della poesia ungherese, che ricorre l’11 aprile, organizzato dal Lettorato di lingua ungherese della Facoltà di Lettere e Filosofia di Fiume in collaborazione con l’Istituto Liszt – Centro culturale ungherese di Zagabria e la Comunità degli Italiani di Fiume.
Sconosciuto al pubblico croato
János Pilinszky, secondo l’opinione unanime della critica letteraria ungherese e di un vasto pubblico di appassionati di poesia, è uno dei più grandi poeti ungheresi del ventesimo secolo, ma è quasi completamente sconosciuto al pubblico croato. Ecco il perché è stato scelto per questa serata che si è svolta fra racconti legati alla sua vita, poesie interpretate in lingua originale, ma anche in croato e in italiano, e brani dei suoi compositori preferiti: Bach, Mozart, Schubert e Bartók.
Nato nel 1921 e deceduto nel 1981, Pilinszky ha vissuto un’esperienza travagliata e complessa, come molti uomini del suo tempo. Come spesso accade negli artisti, questa esperienza di vita gli ha però fornito una forza emotiva incredibile, che le sue poesie riescono a trasmettere con estrema efficacia. Non è infatti necessario parlare ungherese per venir colto dalla forza delle sue parole, dal ritmo dei versi, dall’emozione trasmessa dall’eccellente interpretazione fornita da Marica Fačko e Stipan Đurić, artisti drammatici croato-ungheresi del Teatro di Pécs, nonché da Dinko Šokčević, storico e traduttore letterario, accompagnati al pianoforte da Valér Hegedűs.
Redimersi grazie all’arte
“La sua poesia tocca vari temi, primo fra tutti le difficoltà che si incontrano nella vita, e la possibilità di redimersi dai propri peccati grazie all’arte. Pilinszky però, come tutti i poeti, compone anche poesie d’amore, con un altro importante filone che riguarda il suo rapporto con Dio e con la fede. Nonostante questo però in vita ha voluto specificare come egli non sia un poeta di poesie religiose, bensì semplicemente un poeta che pratica la fede”, ha affermato Eszter Tamaskó, responsabile del Lettorato di lingua ungherese.
Il presidente della CI, Enea Dessardo, ci ha spiegato come la Comunità sia stata inclusa grazie all’iniziativa del Lettorato, che ha proposto autonomamente di fare il tutto anche in italiano. “Questo è un ottimo esempio di multiculturalità. È sempre bello vedere come la nostra lingua venga sempre apprezzata molto, anche da chi non la parla come madrelingua”, ha affermato Dessardo.
Abbiamo chiesto un’opinione anche a Flavio Cossetto, uno dei pochi fiumani rimasti che in famiglia hanno sempre parlato in ungherese. “È stata una serata interessante. Devo ammettere che non conoscevo questo poeta, ma sono contento di come la cultura trovi sempre la sua strada per farsi conoscere”, ha affermato Cossetto.

Foto: IVOR HRELJANOVIĆ
Immagini di immensa sofferenza
Pilinszky era un giovane laureando della Facoltà di Filosofia, le cui poesie erano già state pubblicate da alcune riviste letterarie di Budapest e che collaborava lui stesso con una di esse, quando si trovò improvvisamente, nell’autunno del 1944, coinvolto nella guerra come soldato. Sebbene fosse privo di armi e senza alcuna formazione militare, la sua unità fu trasferita in Germania, dove Pilinszky trascorse la fine della guerra nella zona di occupazione americana. Tuttavia, le immagini di immensa sofferenza umana e distruzione che il giovane vide tra il novembre del 1944 e l’estate del 1945 cambiarono radicalmente sia la sua visione del mondo che il suo approccio alla poesia.
Il poeta stesso ha illustrato questa trasformazione in alcune interviste e poesie, narrando un episodio significativo di quel periodo: quando fu chiamato alle armi, Pilinszky riempì il suo zaino di libri. Durante il viaggio in treno verso la Germania, sempre più immerso nel vortice della guerra, gettò via tutti i suoi libri preferiti (tranne il Nuovo Testamento), poiché le idee degli autori gli apparivano vuote e le loro parole prive di peso rispetto alla tragica assurdità che lo circondava. Ted Hughes, poeta inglese e traduttore delle poesie di Pilinszky, scrisse nel 1976 nell’introduzione alla raccolta Selected Poems: “L’esperienza vissuta nei campi di concentramento ha evidentemente aperto davanti a Pilinszky il settimo sigillo”.

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