La pazzia è sempre presente tra noi

Il volume del primario del CCO «Sestre milosrdnice» di Zagabria, è stato presentato in seno al programma «Libro nei posti più impensati» promosso dalla Biblioteca civica di Fiume

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La pazzia è sempre presente tra noi

In un’epoca di politicamente corretto, tutela della privacy, protezione dei dati personali, moderazione dei termini e ridimensionamento dei rapporti con le altre persone in nome di un rispetto che spesso è solo nominale e non effettivo, lo psichiatra Robert Torre, primario del CCO “Sestre milosrdnice” di Zagabria, ha deciso di dedicare il suo nuovo libro alla pazzia. Il termine è voluto. Niente disturbi psichici, disturbi mentali, alterazioni della personalità o altri termini più neutrali, Robert Torre torna indietro nel tempo, quando la psichiatria clinica non esisteva ancora e analizza quella che una volta veniva definita semplicemente “pazzia”. A differenza di quanto si potrebbe pensare, la pazzia esiste ancora, non è stata sradicata né medicata, ma continua a porre quesiti e sfide sia ai medici, che al resto della società. Motivo per cui il titolo del nuovo libro di Torre, presentato in seno al programma “Libro nei posti più impensati” della Biblioteca civica di Fiume, si chiama “Ludilo uzvraća udarac. Povijest ludila osuđenog na psihijatriju” (La pazzia colpisce ancora. La storia della pazzia condannata alla psichiatria). L’incontro con il medico è avvenuto in fondo all’ex via dell’Industria, nei pressi dell’ex Mercato ittico e a parlare con l’autore è stato il suo editore e amico, Neven Kepeski.

Robert Torre

Un approccio filosofico alla disciplina

“Proprio come il mio primo libro ‘Ima li života prije smrti’ (C’è vita prima della morte?), anche questo volume è in realtà molto personale – ha esordito Torre -. Mi chiedo spesso se noi psichiatri negli ultimi decenni siamo riusciti a migliorare la vita dei nostri pazienti e quale sarà il nostro lascito alle future generazioni. Ho parlato della pazzia perché avevo bisogno di un termine senza connotazioni o pregiudizi medici, un termine neutrale e universale, in quanto presente in tutte le culture e in tutte le epoche. Il mio non vuole essere un libro per specialisti, anche perché sono sicuro che i miei colleghi non lo leggeranno, ma saranno piuttosto persone nel campo umanistico a trovarlo interessante. Ho assunto un approccio filosofico utilizzando al contempo i dati delle ricerche più recenti dei miei colleghi in Germania e nei Paesi scandinavi. Però nonostante questo cambio di prospettiva, ho rifuggito al massimo la romanticizzazione della pazzia. La pazzia vuol dire sofferenza, è un’esperienza orrenda da vivere quotidianamente ed è l’oggetto di studio della psichiatria, non uno scenario hollywoodiano”.

La copertina del libro di Robert Torre

La salute mentale non esiste

Robert Torre ha spiegato che sono poche le persone che hanno bisogno effettivo di psicofarmaci e che spesso è stato criticato perché li prescrive solo per brevi periodi di tempo e in dosi molto leggere.
“Dobbiamo capire che un po’ di tristezza o ansia non si curano coi farmaci – ha spiegato il medico – e per questo motivo aborro l’espressione ‘salute mentale’. La salute mentale non esiste, esiste solo la malattia mentale. Quello che noi chiamiamo salute mentale è un ideale che nessuno di noi potrà mai raggiungere, perché se miglioriamo un segmento della nostra personalità o dei rapporti interpersonali, ne sacrifichiamo per forza un altro. Il mio libro parla proprio di questo, della necessità di curare i veri malati, i veri pazzi e non le persone ‘normali’ che stanno vivendo un momento difficile, la massa di milioni di ipocondriaci sani. Ognuno di noi è unico nella sua pazzia o unico nella sua normalità”.
La lezione di Torre, per quanto possa sembrare seria, è stata una serata piacevole e con non pochi momenti di umorismo in cui il medico spiega che l’uomo moderno legge su Internet dei disturbi mentali per sapere quali sintomi manifestare, oppure del rapporto difficile che ha avuto con suo padre, il quale lo ha spinto verso il campo della medicina, anche se si era diplomato all’indirizzo giornalistico del liceo che frequentava.
“Sapevo da subito di voler fare lo psichiatra perché speravo di ritrovarmi tra le persone marginalizzate – ha puntualizzato Torre -, ma non ho trovato la verità che stavo cercando, quindi mi reputo molto deluso della mia professione. Per fare bene lo psichiatra ci si deve dare anima e corpo, sviluppare una connessione profonda coi pazienti che spesso poi ci prosciuga e lascia poco spazio alle persone care. Quindi paradossalmente i risultati maggiori si hanno in ufficio, piuttosto che a casa”.

Neven Kepeski e Robert Torre

Il Covid ha aggravato la situazione

Per quanto riguarda la pandemia da Covid-19, Torre ha spiegato che il virus ha portato a galla dei problemi che esistevano da prima, ovvero ha accelerato dei processi. Le misure epidemiologiche sono dannose in quanto riducono l’articolazione della nostra vita sociale e ci fanno “uscire nudi sulla neve”. Per tutelare la stabilità mentale, infatti, è necessario mantenere contatti sociali e avere una solida base economica, che garantisca sicurezza. Un buon programma sociale, in questo senso, può fare più di migliaia di prescrizioni psichiatriche.

Ma proprio come non ci possiamo aspettare dal nostro meccanico di dirci dove guidare, ma solo di aggiustare la nostra macchina, lo stesso vale per la psichiatria, che cura i sintomi più gravi, ma non ci può insegnare ad affrontare i problemi della vita. La salute mentale, lo ha detto la stessa Organizzazione mondiale della Sanità, non esiste e le persone che abbiamo maggiormente idolatrato e idealizzato nel corso della storia, erano individui estremamente malati mentalmente.

”Considero un grande traguardo personale il fatto che in nessun periodo della mia vita mi sono reputato mentalmente sano e tuttora sono molto in basso sull’indice della soddisfazione personale”, ha concluso scherzosamente Torre, volendo condividere con il pubblico la sua condizione, tutt’altro che ideale secondo gli standard spesso in uso dalla psicologia.

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