La diplomazia culturale motore di cooperazione

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La diplomazia culturale motore di cooperazione

FIUME | Si è concluso ieri il congresso internazionale “I rapporti culturali internazionali dell’Unione europea – Europa, mondo, Croazia”, organizzato da Fiume CEC 2020, dal Centro studi per la legge e la democrazia “Miko Tripalo” e dall’Università di Fiume. Al congresso, che ha riunito all’Università di edilizia una quarantina di relatori provenienti dalle scene nazionali e internazionali, sono stati messi al vaglio una serie di argomenti che affrontano la sfera della diplomazia culturale e il ruolo che possiede nel favorire la cooperazione internazionale, sia tra Paesi della famiglia europea, sia tra quelli esterni.
Tra gli ospiti del Convegno c’è stato anche il giornalista, scrittore e traduttore, Diego Marani che lavora a Bruxelles presso la Commissione europea, dove si occupa di cultura e promozione del multilinguismo. Marani, nella specifica veste di coordinatore politico per la diplomazia culturale del SEAE, il Servizio europeo per l’azione esterna dell’Ue, è stato il moderatore della tavola rotonda “La diplomazia culturale: il rafforzamento delle relazioni esterne nel mondo globalizzato”. All’appuntamento, posto a chiusura del congresso internazionale, sono intervenutiti Ambasciatori da Croazia, Francia, Irlanda, Norvegia e Paesi Bassi. E proprio in tale occasione abbiamo raggiunto lo scrittore, i cui lavori sono stati tradotti in ben quindici lingue, per chiedergli alcune impressioni sull’appuntamento fiumano che l’ha visto protagonista.
“Alla tavola rotonda abbiamo discusso della diplomazia culturale, ovvero la politica che l’Ue ha lanciato nel 2016 e che porta avanti in collaborazione con i suoi stati membri – ci ha dettoDiego Marani –. La Croazia, che possiede una sua diplomazia culturale, si è aperta con questa conferenza a una cooperazione, per vagliare che cosa si possa fare insieme nello sviluppo delle relazioni culturali tra l’Ue e i Paesi partner nel mondo”.

Quanto è importante la diplomazia culturale?

“È importante perché la cultura rappresenta un canale che rimane sempre aperto nelle relazioni tra i Paesi, anche nei periodi di difficoltà e di incomprensione, rappresenta un terreno in cui è sempre facile dialogare, un campo in cui è possibile fare tante cose insieme per capirsi meglio e produrre cultura insieme. Una delle novità è che sono proprio gli operatori culturali degli Stati membri e dei Paesi partner a lavorare insieme in sinergia. È una diplomazia culturale rivolta alla società civile, agli artisti, ai direttori di Musei e di siti archeologici, a tutta la gente che fa cultura. Non vogliamo fare cultura solo per la classe dirigente e per gli addetti ai lavori. Vogliamo fare cultura assieme a chi la produce e spingere questo tipo di cooperazione perché le associazioni che tessono legami insieme possiedono una vicinanza più forte, più difficile da dividere”.

Secondo lei, quanto può incidere su Fiume, CEC 2020?

“Conosco molto bene la realtà di queste terre perché ho studiato a Trieste. È una regione che prediligo per la sua mescolanza, per la sua varietà culturale, che rappresenta una grande ricchezza. È una forza che tiene aperte tante porte, accese diverse culture e lingue. Il monolinguismo e la monocultura spengono. Occorre produrre insieme una varietà culturale, perché la varietà è il motore dell’innovazione e quindi del progresso. Detto questo, credo che Fiume 2020 sarà una grande opportunità, una vetrina per farsi conoscere. Il capoluogo quarnerino potrebbe svolgere un ruolo molto importante in questa regione, proprio per la sua valenza storica, la sua varietà culturale e posizione geografica. È una città a cavallo di tre frontiere, vicina ai Paesi del Balcani occidentali che sono candidati all’adesione dell’Ue. Per esperienza posso dire che ogni città che finora si è fregiata del titolo di Capitale Europea della Cultura, ha avuto un seguito di prosperità e di sviluppo del settore culturale. Il mio consiglio è di approfittarne pienamente, con tutto l’entusiasmo e la forza possibile”.

Giornalista, scrittore, traduttore ma anche glottoteta: è, anche, il padre dell’europanto, una lingua artificiale creata nel 1996. Di che cosa si tratta?

“L’europanto, nato per gioco, è costituito da un insieme di tutte le lingue d’Europa. Una provocazione che ho inventato per mostrare che non si deve avere paura delle lingue degli altri. Quando non si capisce una lingua, la cosa migliore da fare è conoscerla e non fuggire. La lingua è un’opportunità, una porta aperta su un’altra cultura. Con il gioco dell’europanto, dove mescolo tante lingue, facendone un ‘brodo’ più o meno comprensibile, mostro un processo che è comunissimo nel nostro mondo, ossia in cui tante lingue a contatto l’una con l’altra finiscono alla fine per mescolarsi. E vanno avanti proprio secondo questo procedimento, sono tutte delle mescolanze, non muoiono mai e si trasformano sempre. Con l’europanto ho voluto mostrare i meccanismi di tale processo. È praticamente il lato ludico di un discorso molto serio. Ho scritto diversi articoli in europanto per diversi giornali e ne state scritte anche delle tesi di laurea. La mia idea non è di farne una lingua internazionale che unirà tutti i popoli, soprattutto perché non credo in un’unica lingua che tutti parlino indistintamente. Credo, invece, in tutte le nostre lingue, perché ognuna è l’espressione di una cultura specifica e serve quella per esprimerla e per raccontarla. Credo nel multilinguismo; credo che quando si viva in una regione multilingue, come questa dell’Alto Adriatico orientale, si debbano parlare tutte le sue lingue. Un individuo che è capace di parlare tutte le lingue della terra in cui vive, è pienamente cittadino di quella terra”.

La lingua è anche alla base della sua produzione letteraria?

“La lingua è uno strumento identitario, ma è anche una porta aperta verso nuovi mondi che ci aiuta a vedere meglio noi stessi. Ecco perché scandisce i miei romanzi. Infatti, il protagonista di ‘Nuova grammatica finlandese’, (Bompiani, 2000) è un uomo che ha perso la memoria, non ricorda nemmeno più che lingua parla e quindi nemmeno la sua identità. Con questo romanzo, nel 2001, ho vinto il Premio Grinzane Cavour, proprio grazie alle preferenze della giuria dei giovani, tra cui figuravano pure i ragazzi della Scuola Media Superiore Italiana di Fiume, che partecipavano alla premiazione letteraria”.

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