La decostruzione del siluro nell’opera di Bruno Paladin

L’artista connazionale è stato insignito del premio «Romolo Venucci» alla LIII edizione del Concorso d’Arte e Cultura «Istria Nobilissima»

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La decostruzione del siluro nell’opera di Bruno Paladin

Il premio “Romolo Venucci”, dell’ultima edizione del Concorso d’Arte e Cultura “Istria Nobilissima”, è stato conferito a Bruno Paladin, artista connazionale e uno dei maggiori esponenti della scena artistica fiumana.

 

Con alle spalle una carriera di oltre tre decenni, Paladin è un artista le cui opere si contraddistinguono per una continua innovazione e reinvenzione. È stata “L’essenza” il lavoro premiato nella sezione “Pittura, scultura, grafica, arte digitale e video” della LIII edizione del concorso organizzato dall’Unione Italiana. Si tratta di una serie di lavori presentati nell’ambito dell’omonima mostra, inaugurata a ottobre del 2019 al Museo civico di Fiume, che segnò anche una breve retrospettiva della carriera del nostro connazionale.

Modernità e laboriosità
Una cartella serigrafica con al centro il tema del siluro, “L’essenza” si propone come una decostruzione dell’arma da guerra attraverso una sorta di riduzione in cui il siluro perde la sua caratteristica distruttiva per trasformarsi in opera d’arte. La cartella serigrafica è stata apprezzata dalla giuria “per il lavoro coerente e centrato rispetto alle tematiche del concorso che da un lato rappresenta le parti del siluro, quale invenzione e produzione fiumana dell’epoca, simbolo della modernità e della laboriosità dell’industria; dall’altra si ricollega al momento eroico della serigrafia di quegli anni”.

Abbiamo avuto l’occasione di incontrare Paladin nel suo studio, dove, nel corso di una breve intervista, l’artista ci ha rivelato alcune particolarità legate al lavoro premiato, soffermandosi anche sull’attuale situazione di crisi e di stallo delle attività culturali a causa delle restrizioni antiepidemiche.

Alcune stampe della cartella serigrafica “L’essenza”

Lei è senza dubbio uno degli artisti più premiati al concorso “Istria Nobilissima”. Come ci si sente a essere vincitori di un’altra edizione del concorso?
“Mi fa sempre piacere essere premiato, poiché cerco di presentare ogni volta opere nuove, oppure cicli pittorici, scultorei o in ceramica. Anni fa, dopo aver ottenuto il premio Promozione di “Istria Nobilissima”, avevo deciso di non partecipare più al Concorso. Volevo soprattutto dare spazio ai giovani. Poi, su motivazione di Laura Marchig e altri miei colleghi, ho ripreso a prendervi parte. Mi fa piacere essere premiato per una stampa artistica, pur essendo principalmente un pittore.”

Com’è nata l’idea di lavorare sul tema del siluro?
“È un argomento che avevo già elaborato in altre occasioni. Lo avevo sviluppato in alcuni quadri non legati a Fiume, ma che erano stati esposti in una mostra collettiva a Udine. Il tema di quell’esposizione era sacrale, in un certo senso, e riguardava quel momento particolare in cui le persone, trovandosi in situazioni e difficoltà estreme, cercano l’aiuto di Dio, provando una sorta di fede ritrovata. In precedenza, avevo letto un libro che narrava di uno scontro durante la Seconda guerra mondiale, in cui centinaia di marines dovettero lottare per la sopravvivenza, trovandosi in mare aperto, circondati da squali, in seguito a un attacco siluriero che distrusse il cacciatorpediniere sul quale erano collocati. Credo che in un momento del genere, anche un non credente inizi a pregare. Cercando di immedesimarmi con quelle persone, avevo creato dei quadri che mostravano il lato di una nave che viaggia su un mare rosso, macchiato dal sangue dei soldati caduti. In quell’occasione avevo riflettuto sul danno che un’arma del genere può provocare. Avendo poi avuto l’opportunità di consultare i disegni originali dei siluri nella documentazione curata dal Museo civico di Fiume, ho voluto intervenire su questi schizzi coprendo determinate parti, eliminando ciò che ritenevo superfluo. Distruggendo questi dati, il siluro non può più essere costruito. In questo modo, il disegno iniziale, destinato alla progettazione dell’arma, si trasforma in opera d’arte, assumendo una sorta di calligrafia artistica.”

La pandemia del Covid ha messo in crisi anche la relazione tra lo spettatore e l’opera d’arte. La visione a distanza sta prendendo il posto dell’esperienza diretta. Come interpreta questa nuova realtà che è venuta a crearsi?
“Il rapporto tra l’opera d’arte e lo spettatore è sicuramente cambiato molto. Penso ci sia una grande paura del contagio, siamo bombardati quotidianamente dalle notizie e credo che molte persone facciano fatica ad accettare questa situazione. Molti vivono nel terrore, hanno paura di uscire di casa e di incontrare gli amici. Dall’altro lato, è stato limitato l’accesso ai luoghi d’arte e sono stati imposti dei limiti alle attività culturali. Per questi motivi, credo, c’è il rischio che le arti, per certi versi, cadano nell’oblio. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore, come si usa dire. In aggiunta, oggigiorno capita spesso che le persone, per abbellire gli spazi, comprino un print, un poster, piuttosto che acquistare un’opera d’arte. Non c’è più il rispetto verso le arti, in questo senso. In questo modo viene a mancare quell’incredibile carica d’energia che le opere d’arte possiedono. A me piace acquisire i lavori di altri artisti, di colleghi, mi piace potermi confrontare con le opere degli altri. È incredibile la gioia di possedere l’opera di un artista. Si tratta anche di rispetto verso i colleghi, oltre che verso l’arte in sé. È proprio questo ciò che manca in questo momento.”

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