La complessa storia dell’Istria e degli istriani

A Trieste, presso la libreria Ubik, è stato presentato il saggio «Identità di confine» di Mila Orlić, docente al Dipartimento di storia dell’Università di Fiume

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La complessa storia dell’Istria e degli istriani
Mila Orlić nel suo volume parte dalla guerra, indietreggia al periodo fascista degli anni Venti e Trenta e si sofferma sulle dinamiche del settembre 1943. Foto: ŽELJKO JERNEIĆ

Mila Orlić è docente al Dipartimento di storia dell’Università di Fiume, vive a Trieste. L’ultimo suo lavoro si intitola “Identità di confine – Storia dell’Istria e degli istriani dal 1943 a oggi”, edizioni Viella. È stato presentato a Trieste, presso la libreria Ubik con la partecipazione di due colleghe: Marta Verginella dell’Università di Lubiana e Tullia Catalan dell’Università di Trieste.

Il contesto internazionale
Nella sua introduzione al saggio, Marta Verginella lo ha definito importante perché affronta la complessità della storia dell’Istria e degli istriani, e non soltanto dal ‘43 ad oggi. “Si tratta – ha affermato – di una lettura di lunga durata a processi storici che sono stati ampiamenti studiati, narrati e storicizzati. Mila Orlić parte dalla guerra e indietreggia al periodo fascista degli anni Venti e Trenta, si sofferma su dinamiche del settembre 1943, che vedono l’apice della violenza nell’area istriana, avvenuta anche nell’ultimo anno di guerra. La novità di questo libro sta nella non necessità di parlare solo di violenza e vittime, bensì nella volontà di analizzare e riferire la storia della penisola istriana in un contesto internazionale, anche attraverso la lettura di autori non italiani, molte volte completamenti rimossi nelle narrazioni che trattano di questo periodo. Mette in evidenza la storiografia croata, tra centro e periferia, tra Zagabria e l’Istria, tra classe dirigente croata e popolazione locale. Affronta fonti, finora non analizzate, e analizza fenomeni politici in una società variegata, partendo dall’economia istriana, povera, già dalle sue dinamiche degli anni Venti, poi al centro delle politiche di occupazione nel contesto jugoslavo, ne fa emergere un contesto spesso trascurato a seguito di una visione etnocentrica”.

Una realtà multifocale
“Analizza il multilinguismo, l’ibridismo, la questione della transizione dopo l’occupazione, i poteri popolari, i problemi che la classe comunista affronta nei primi anni del dopoguerra, la mobilitazione della popolazione, nel contesto croato, simile peraltro alla situazione slovena – prosegue Marta Verginella –. Studia i rapporti tra clero e popolazione contadina, tra clero e poteri esterni e borghesia italiana. Si pone l’obiettivo di rappresentare una realtà storica complessa multifocale, dove le semplificazioni sono fuorvianti, in un uso fortemente politico di questa storia, acutizzato negli ultimi due decenni dopo l’avvio del Giorno del ricordo. Affronta anche la questione dei Censimenti e della diplomazia. Racconta l’indifferenza nazionale, il rifiuto cioè nel secondo dopoguerra – conclude Verginella – di appartenere a una nazione, per il sentire della sola appartenenza regionale ‘eravamo e siamo istriani’, una forte identità regionale”.

Il rapporto con la Chiesa
Tullia Catalan suggerisce tra l’altro la questione del rapporto con la Chiesa in Istria, della distinzione necessaria tra alto e basso clero, di una posizione non sempre filo-italiana, delle discordanze con il Vaticano. Suggerisce un’altra chiave di lettura della necessità di sopravvivenza degli istriani mentre si sta costruendo un nuovo confine in un contesto di economia distrutta dalla guerra; di una popolazione istriana statica, che reagisce agli eventi non rispondendo, con una forma di resistenza quindi anche alla ricostruzione materiale. “Questo saggio – ha affermato Catalan – nasce dalla tesi di dottorato di Mila Orlić, è una ricerca vera proseguita poi nel tempo”.
L’autrice ha raccontato che la sua ricerca nacque dalla scoperta che a Modena c’era una comunità di esuli al Campo di Fossoli (nato nel 1942 come campo di prigionia. Diventò nel 1943 campo di concentramento e transito di ebrei e oppositori politici. Riadattato nel 1954 ospitò i profughi dall’Istria, successivamente divenendo Villaggio san Mauro). Attraverso le interviste e testimonianze sul campo, l’autrice ha costruito un quadro interessante di quanto difficile fu l’integrazione nel tessuto dell’Emilia del dopoguerra. Ha affermato che la storia sociale delle comunità è entrata in ombra dopo il Giorno del ricordo, mancando di evidenziare lo scontro che ci fu con le popolazioni locali e il loro rifiuto totale del diverso, considerato fascista, delle difficoltà dei bambini a scuola che parlavano solo dialetto, visti come slavi, crumiri perché gli esuli non scioperavano.

Una situazione complicata
“Ci si è appiattiti a una lettura sul piano nazionale, senza approfondire le difficoltà degli esuli in Italia. Ho raccolto tante fonti archivistiche – ha raccontato Orlić –, dagli archivi istriani a Zagabria e da quelli centrali della Federazione a Belgrado. Da questo approfondimento sono arrivata alla conclusione che la situazione era più complicata, non in bianco e nero. Per il nuovo Stato, imporre nuove riforme era un grande problema, banalmente riscuotere le tasse ancor più, visto che si era affermato che non ci sarebbero più state. Che strumento avevano i contadini per dimostrare la loro contrarietà? Non seminare, ad esempio. Alcuni avevano addirittura tagliato i cavi telefonici per evitare che venisse segnalata l’anarchia. I Censimenti del ‘45, manipolati delle autorità preposte, rivelano comunque che la popolazione in blocco rifiuta di dichiararsi, i confini non sono ancora definiti e i contadini aspettano di capire cosa succederà. L’Istria non era mai stata jugoslava. Sotto chi starò meglio? Ogni decisione può riservare amare delusioni. Il clero nel frattempo si schiera con la Jugoslavia e sul piano locale inizia una lotta per le anime e per il predominio su giovani e bambini – ha ricordato l’autrice –. Dove c’è un prete forte si deve mettere un insegnante forte, queste sono le direttive del Partito comunista, contro il clero, per la conquista della gioventù”.

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