
Nel 1800 il mondo era pieno di analfabeti, che però conoscevano a memoria la “Divina Commedia”, l’“Orlando Furioso”, l’“Odissea”, l’“Iliade”, il Tasso, l’Ariosto, le poesie di Foscolo e Carducci. Dato che oggidì i cellulari forniscono in maniera immediata qualsiasi memoria di cui riteniamo aver bisogno, i ragazzini (ma ormai anche una buona parte dei meno giovani) non ricordano a mente neppure la “Vispa Teresa”. Questi dispositivi, in grado di connetterci con il mondo intero, hanno trasformato le nostre vite in modi che, solo qualche decennio fa, sembravano impensabili. Ma cosa succede quando perdiamo o dimentichiamo il nostro smartphone? La risposta risuona attraverso la società contemporanea: ci sentiamo persi. Ed è ciò che accade a Filippo, l’adolescente protagonista dell’esilarante commedia urbana “Chi sa sa, chi non sa… googla/Tko nema u vugla, googla” del Dramma Italiano, che debutta oggi a mezzogiorno al Teatro Nazionale Croato “Ivan de Zajc” di Fiume. La pièce (nell’ottima traduzione e adattamento in lingua italiana dell’attore Giuseppe Nicodemo), per la regia di Peđa Gvozdić e il testo di Petra Cicvarić, è stata insignita del titolo di miglior testo teatrale per bambini nel 2018 al “Naj Naj Naj festival” di Zagabria.
Gli smartphone: custodi della memoria
A detta del regista e attore di Karlovac, che abbiamo incontrato per scambiare due chiacchiere sullo stesso e il cui percorso attoriale, costellato da una miriade di successi, è iniziato nel periodo della scuola elementare, lo spettacolo (i cui costumi e la scenografia sono firmati da Ivan Botički) è rivolto essenzialmente ai giovani. Lui, però, si auspica anche la partecipazione di un pubblico adulto, nello specifico dei genitori, spesso e volentieri altrettanto ingabbiati e imprigionati nell’accattivante, ma a tratti pericolosa rete della tecnologia avanzata. In quanto padre lui stesso e artista sensibile ai cambiamenti della società, che nel suo percorso professionale ha spesso osservato e raccontato con spirito critico ma costruttivo, nel caso dell’avvento (potremmo anche dire sconvolgimento) di quest’ultima Gvozdić non ha potuto fare a meno di preoccuparsi sui suoi effetti e sulla sua influenza sulle giovani generazioni, e non solo.
In concomitanza con tali riflessioni, ci ha spiegato che da quando i cellulari sono entrati nelle nostre vite, abbiamo sviluppato un legame profondo e simbiotico con gli stessi, specificando che “utilizzati non solo per telefonare, bensì anche per inviare messaggi, socializzare, lavorare e gestire le nostre attività quotidiane, sono diventati i custodi della nostra memoria, in cui raccogliamo immagini, note, contatti e informazioni di vitale importanza. La perdita o la dimenticanza del telefonino può innescare sentimenti di ansia, vulnerabilità e una sensazione di isolamento. La tecnologia, pur promettendo di connetterci, spesso ci fa sentire più distanti. Nella pièce teatrale proposta ho voluto invitare alla riflessione proprio su questi punti”.
Lo spettacolo, quindi, nasce con l’idea di segnalare e fare riflettere sulle possibili problematiche relative all’uso smisurato e incontrollato dei social media e sul bello della vita che ci perdiamo dedicandogli troppo spazio, giusto?
“Esattamente. A mio avviso la dipendenza dai cellulari, dai social media, dai giochini, ha anche delle ripercussioni sulle nostre relazioni interpersonali, che stanno diventando sempre più superficiali, fredde e sempre meno sociali, calde e ‘umane’, il che non è da poco. Vuoi mettere una bella e sana comunicazione dal vivo, faccia a faccia, tradotta nello guardarsi negli occhi e percepirsi a livello energetico e sulla base di sensazioni, gesticolazioni, mimiche con uno scritto, breve o lungo che sia, attraverso messaggi su Viber o Whatsapp, tra l’altro non di rado travisabili e quindi creatori di incomprensioni, nonché spesso e volentieri corredati da una valanga di emoji? In effetti, a pensarci bene, da trent’anni a questa parte stiamo reintroducendo i pittogrammi di 4mila anni fa nella nostra scrittura, ma questa volta principalmente per esprimere emozioni e sentimenti. Di fronte a questa sfida, emerge la necessità di sviluppare una maggiore consapevolezza riguardo all’uso della tecnologia e mi auguro che, nel suo piccolo, il nostro spettacolo lo faccia”.
Qual è, in breve, la storia della commedia?
“Per una serie di situazioni il protagonista principale, interpretato da Stefano Iagulli, si ritrova per una giornata intera senza il suo cellulare, il che fa nascere in lui tutte le summenzionate sensazioni. A rendere la situazione ancora più bizzarra sarà l’incontro con Fiona (Aurora Cimino), una coetanea disinteressata e del tutto assente dai social network, assidua lettrice, che al posto di uno smartphone utilizza un vecchio ‘mattone’. Ovviamente, nonostante siano della stessa età, sembra il confronto fra due mondi completamente diversi, i cui risvolti sono molto interessanti e riportano a galla quelle piacevoli sensazioni relative al corteggiamento e all’amore romantico. A dare un significativo contributo al tutto e a fare nascere qualche domanda in più sono l’attore Giuseppe Nicodemo nel ruolo del padre di Filippo, nonché le attrici Annamaria Ghirardelli e Andrea Slama, rispettivamente in quelli della madre di Fiona e della bibliotecaria. La commedia, che è la messa in scena di un testo pluripremiato proposto sia in Croazia che in Serbia (quindi tradotto anche in questa lingua), oltre ad affrontare tematiche serie e attuali attraverso la storia dell’incontro di due coetanei, racconta della collisione di due tempi, mondi e generazioni differenti”.
In un’intervista ho letto che predilige collaborare con attori che conosce bene, sia in qualità di professionisti che dal punto di vista umano. In considerazione di ciò, come si è trovato a lavorare con gli artisti del Dramma Italiano?
“Effettivamente, essendo più a mio agio nel collaborare con persone che frequento e incontro spesso, ero un pochino preoccupato su come avrei affrontato il progetto relativo a ‘Chi sa sa, chi non sa… googla’, sia per ciò che concerne il lavoro con attori ‘nuovi’ piuttosto che quello inerente alla sua rappresentazione in uno spazio molto più grande, quello del Teatro fiumano, dal quale sono abituato. Le mie paure, però, sono svanite sin dal primo incontro con il gruppo di lavoro. Mi hanno accolto con entusiasmo e hanno fatto loro il testo con grande maestria, cogliendo immediatamente le mie intenzioni e, ciò che mi preme maggiormente, il messaggio da trasmettere. In tale contesto, desidero ringraziare Giulio Settimo, a cui mi lega un’amicizia storica, risalente ai giorni in cui frequentavamo insieme l’Accademia, per aver proposto l’idea di portare lo spettacolo a Fiume e di tradurlo in lingua italiana”.
Un’amicizia vera
Ne deduco che entrambi siete soddisfatti della sua realizzazione?
“Certo. Giulio è contento, il che per me è fondamentale, essendo lui il più grande critico del mio lavoro in generale, come lo sono io del suo. Si tratta di interventi amicali, tesi a scambiarci i consigli necessari, a dirci in maniera schietta e sincera se qualcosa non funziona o abbisogna cambiarla, ad aiutarci a vicenda. Non ci risparmiamo e credo che sia la cosa più giusta”.
Come si trova nel capoluogo quarnerino?
“Associo Fiume, in cui ho già lavorato svariate volte e nella quale vengo spesso, a nuove amicizie e nuovi progetti. Mi piace molto, mi ci trovo benissimo e, in qualche modo mi ricorda Trieste. Spero, nel futuro, di venirci e lavorarci ancora”.
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