Italo Svevo, un genio ammirato e contestato

La XXIV Settimana della lingua italiana nel mondo ieri è sbarcata a Pola. Il Dipartimento di Italianistica ha ospitato la lectio magistralis del prof. Fulvio Senardi

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Italo Svevo, un genio ammirato e contestato
Un pubblico di studenti universitari e liceali (“Dante Alighieri”). Foto: DARIA DEGHENGHI

Dal 2001 la terza settimana di ottobre si festeggia la lingua italiana nel mondo e quest’anno la si festeggia nel contesto della fisicità del libro in quanto strumento materiale di trasmissione e diffusione di cultura. Non per niente il tema centrale dell’evento promosso dalla rete diplomatico-consolare in collaborazione con i partner locali è “L’italiano e il libro: il mondo fra le righe”.

Pola ha dato il proprio apporto alla missione con la lectio magistralis di Fulvio Senardi “La lingua di Italo Svevo” proposta dal Dipartimento di Italianistica della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università “Juraj Dobrila” in collaborazione con la società “Dante Alighieri” (Comitati di Pola e Gorizia) e il patrocinio dell’Unione Italiana e del Consolato generale d’Italia a Fiume.

Fulvio Senardi.
Foto: DARIA DEGHENGHI

La contraddizione dello scrittore
Perché Svevo e perché la sua lingua, il suo stile? Ma perché, ci viene da dire così, alla buona, è uno dei nostri ed è mondiale in ogni senso, prova del fatto che ogni goccia cambia il peso del mare e che la correttezza o scorrettezza linguistica è una condizione fortemente condizionata dal contesto materiale e spirituale da cui trae origine. Ecco spiegata l’architettura della conferenza di Senardi: l’esposizione somigliante a un processo all’imputato Svevo, al secolo Aron Hector Schmitz, che “avrebbe potuto scrivere benissimo in tedesco e invece ha scelto di scrivere malissimo in italiano”, seguita dall’epilogo “giudiziario” della sua assoluzione definitiva senza ulteriori possibilità d’appello. Scrittore segnato da una forte contraddizione, Svevo è stato “ammirato per la genialità, le trovate, lo sviluppo della trama, la parola nuova della ‘Coscienza di Zeno’”, e d’altra parte fortemente contestato dalla critica per la lingua, ritenuta carente, difettosa, oltraggiosa nei confronti del lessico e della sintassi perché satura di traduzioni letterali, come quel “fece gli occhi grandi”, calco improponibile del tedesco “große Augen machen”, dove lo stupore o lo sconcerto vengono appunto dipinti con l’immagine caratteristica degli occhi spalancati.

La vocazione letteraria
Ma Svevo, cresciuto nella consapevolezza della propria insicurezza linguistica e tuttavia certo del possesso di una vocazione letteraria, ebbe la risolutezza di rispondere a quella critica intransigente (quando non accompagnata dal desiderio di umiliare), come appunto rispose: “Quella che voi dite disciplina, e che vi allontana dal vostro dialetto, vi impedisce anche di raccontare, e a chi importò di raccontare, tale disciplina mai importò”. Anche questa, tra l’altro, una frase vera benché poco elegante, a proposito della quale “è difficile dire dove abbiamo a che fare con l’idioletto di Svevo e dove invece con la norma più frequente dell’italiano degli anni Venti, prima della radio, prima della televisione e quindi sostanzialmente prima della nascita dell’italiano come lingua nazionale” (Senardi).

Un autore plurinazionale
E ancora parole dello stesso Svevo: “Guardi Enrico Tozzi, che con tanto piccolo sforzo avrebbe potuto saltare nel mare nazionale. Non lo fece, perché le sue stesse qualità glielo impedirono. Ognuno ha le proprie idee ed io ho anche la mia ignoranza. Che amo”. Quindi, nel 2027 abbiamo uno Svevo convinto della sua “ignoranza” con i calchi tedeschi, i dialettalismi, le parole arcaiche prese dalla letteratura. Alla fine ne va fiero, ma non lo è stato da principio. Svevo è triestino, tedesco di origini ebraiche par parte di padre e italiano per discendenza materna, cittadino austro-ungarico. Nella città d’origine “il dialetto prevale sempre, in ogni settore della comunicazione, anche tra parlanti colti, e figuriamoci cent’anni fa”. Parlare un presunto italiano nazionale impeccabile ancora inesistente, in una città così tipicamente dialettofona e per di più con un’amministrazione austriaca al governo, era un’impresa quanto mai difficile.

Grande apertura mentale
Dalla parte dell’accusa, insomma, l’infelicissimo condizionale, l’ipercorrettismo, la sintassi tedescheggiante, l’elemento dialettale triestino, gli arcaismi dovuti all’ammirazione per il toscano appreso dai libri, i francesismi e il lessico del linguaggio bancario, finanziario e industriale, e infine un polimorfismo discordante che permette al “poscia” di convivere con il “poi”, al “d’uopo” di sostituire il “bisogna”, e alla “tal guisa” di subentrare al “tal modo” con l’eleganza del goffo. Per la difesa, invece, la spinta modernizzante della narrativa, ma soprattutto il contesto storico: oggi tutti parliamo l’italiano ma c’è voluta la televisione, la radio e la riforma della scuola. Svevo non è il solo a parlare il suo italiano personale, locale, regionale, imperfetto e in corso d’evoluzione: tutti gli scrittori coevi lo fanno. Quanto al dialetto triestino, come tutti, è “un fiore da conservare non un relitto da schiacciare” come voleva De Amicis. Negli anni Venti c’era ancora una nazione da fare e una lingua da accordare, mentre oggi sono i vernacoli a rischiare l’estinzione nell’era dell’omologazione culturale e linguistica. Il modello linguistico “sregionalizzato” poteva andare bene per Manzoni, ma oggi il crogiolo plurilinguistico di Trieste è una risorsa, non un fardello. È un orto da coltivare. Un gioiello da custodire. Per arrivare al verdetto, basta porsi la domanda: possiamo ancora leggere Svevo con la penna rossa in cerca di errori? Guai. Meglio rifarsi al suggerimento di Domenico Cernecca e “adottare un atteggiamento di grande apertura mentale, contestualizzare e considerare l’aspetto individuale di uno stile peculiare che nulla toglie e nulla aggiunge alla statura del letterato”. Per la cronaca, la conferenza di Fulvio Senardi è stata introdotta da Eliana Moscarda Mirković del Dipartimento di Italianistica. Antonia Blasina Miseri ha presentato il relatore, mentre Lina Pliško, decano della Facoltà di Lettere e Filosofia, ha ringraziato la SMSI “Dante Alighieri” di Pola per la collaborazione con l’Ateneo (i suoi studenti hanno assistito alla conferenza). Ana Ćuić Tanković dell’Unione Italiana ha trasmesso alla platea i saluti del presidente Maurizio Tremul.

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